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#Nonleggeteilibri – La città dei vivi, Roma si specchia (anche) nel crimine

#Nonleggeteilibri – La città dei vivi, Roma si specchia (anche) nel crimine
Maggio 15
09:02 2021

«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)

(Serena Grizi) La città dei vivi di Nicola Lagioia, Einaudi 2020 € 22,00 isbn 9788806233334 e-book € 10,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net

Non facile resistere alla tentazione di farsi l’idea che una città fondata su altre città e su la se stessa di secoli prima sia a tutti gli effetti una terra ctonia, nera, dove il fratricidio che l’ha fondata si ripeterebbe all’infinito nelle cronache nere, il malaffare infilerebbe di continuo la testa sott’acqua ad un futuro piccolo e nato male. Poi Roma s’illumina del sole e del riverbero della luce del mare e allora tutto cambia, cambierebbe. A tratti pare che i toni di Lagioia non siano così adatti (tanto lontani da La ferocia) per raccontare la morte del giovane Varani per mano di Marco Prato e di Manuel Foffo, in ambiente che per faciloneria si definirebbe gay, quello dei locali che in un tempo pre covid esistevano nella notte romana che per altro sembra, invece, sempre avara di diversivi, e quei pochi li tiene ben nascosti. Ma la faciloneria non è l’approccio dello scrittore: questo che potrebbe definirsi un ‘male senza fine’ (e senza inizi) è narrato per scene, brevi e incisive, che cercano di mostrare come il dentro (delle persone) e il fuori (complesso) riverberino l’uno nell’altro ed anche come la vita del cronista e di chi lavora sia poi molto meno avventurosa di quel che si creda, anche a Roma. Lo scrittore, proprio per il suo non essere romano racconta meglio di altri cosa significhi ‘credere’ che ad una certa ora del giorno, o della notte, in questa città si possa pensare che in fondo si è tutti uguali (ragazzi delle borgate, imprenditori, nobili, modelli, magari accomunati dalla strisce bianche e onnipresenti della cocaina), nel bene o nel male, qui nel male, quello fondo e inconfessabile dove i destini d’un ragazzo semplice e con pochi mezzi, che chissà cosa sognava però, di un potenziale giovane affarista estromesso dagli affari familiari e d’un giovane pr gay si sono incrociati per una notte ed un giorno di troppo producendo l’irreparabile. Il libro, come nei capolavori del maestro del genere Emmanuel Carrère (L’avversario, vite che non sono la mia), misto di cronache e romanzo e note autobiografiche, infonde amarezza e grande pietà verso gli attori del ‘fattaccio’, due non ci sono nemmeno più, qui lo sguardo non è quello di chi pensa ‘a me non capiterà mai, non sarebbe capitato’ ma di chi riconosce che spesso nell’adolescenza si è fatto in tempo a scegliere i giusti ‘correttivi’ alle derive che si stavano per prendere, scappando via per un pelo come sembra sia capitato all’autore che per altro durante questa indagine scappa anche dalla Capitale, si rifugia a Torino, credendo di ‘guarire’ da quell’inquietudine viva che Roma sa mettere addosso: «La straordinarietà di Roma non stava nel richiamo della trascendenza, che solo gli idioti potevano sentire, ma nell’onnipresente consapevolezza che tutto è umano e tutto si corrompe. (…) Mai presente è più prezioso come quello di chi sa di dover morire». Fra le varie trame del libro c’è anche un paradigmatico turista del sesso, straniero, che ci trasporta nel suo tristo vagare, a vedere da vicino cos’è che ‘offrono’ oggi le società che sono ricche perché svendono tutto…

Lagioia ci ricorda la capacità di stare dentro e fuori le cose di un altro notevole libro, La scuola cattolica di Edoardo Albinati; oltre che scrivere un bel documento sulla vita del giornalista di ‘nera’, quello che fa gli orari impossibili, sta sempre per strada, prende appuntamenti nei caffè, e che poi s’affeziona alle famiglie del caso che segue per mesi, passando anche del tempo con loro, accompagnandole nel dolore perché è diventato uno di cui ci si fida.  Roma, da parte sua, la Roma del 2016, quella odierna, si conferma valida ‘metropoli tentacolare’, avrebbero scritto nel bel tempo che fu, senza averne l’aspetto: tra ‘Mondo di mezzo’ e vie eleganti, invasioni di sorci e marmi antichi, vivissimi bar del centro e ‘monnezza’. Il crimine che si consuma in queste oltre 400 pagine, sei parti, animate da colleghi scrittori, frequentatori dell’abisso, cocainomani, tutori dell’ordine in gamba e umani, garanti, non ha tempo per le figurine, qui esistono persone e non restano ‘mostri’ dopo il lungo lavoro che Lagioia fa con i suoi sofferenti personaggi. Storia che lascia a lungo attoniti: non può lasciare indifferenti perché, ripensandoci, la mente continua a ripetersi che per questi ragazzi sarebbe dovuta andare diversamente: «Non avevano sconfitto il padre, non avevano fatto ricredere la madre. Avevano distrutto se stessi». Notevole.

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