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La fine crudele delle donne

La fine crudele delle donne
Marzo 03
14:45 2020

(Serena Grizi) Un posto in società. Convenzioni sociali e nuovi veli. Donne che muoiono o che stentano a sopravvivere. L’orizzonte delle relazioni sane. Un pensiero, infine…

Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l’aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.(…)

Riditela della notte,
del giorno, delle strade
contorte dell’isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l’aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei. P. Neruda

 La fine crudele delle donne in questo scorcio di secolo sembra un fenomeno….senza fine. Con tutta probabilità non si tratta neppure d’un fenomeno, perché di tali fatti è densa la storia, e non può sorprendere più di tanto molte donne capaci di vedere una strettoia comportamentale dentro la quale la società s’aspetta che si cammini tutte com’è vero che ciascuna ha sperimentato come adottare uno dei comportamenti appresso elencati, o più di uno, sia ancora ritenuto disdicevole: alle donne non è concesso discutere animatamente in nessun contesto, andando a toccare nodi di qualsiasi genere perché subito considerate pericolosamente polemiche, e mai discutere di politica, s’intende; dover stare fisicamente e mentalmente, anche fingendo ovviamente, un passo indietro ai molti uomini che incrociamo nell’esistenza siano essi compagni, figli, colleghi; indossare, sicuramente da adulte, un velo invisibile che non consente molti scambi sinceri con individui di sesso maschile perché donne sposate, accompagnate, a meno che non si voglia essere tacciate di leggerezza. Questo velo invisibile, che spesso nasconde rapporti incapaci di emanciparsi e che vedono come limite proprio la differenza, è considerato segno di ‘rispetto’ anche nelle frequentazioni fra coppie di amici perché per una donna ogni manifestazione verso l’altro che non siano le amiche sarà considerata disdicevole, lo stesso per gli uomini, capace di fomentare gelosie: perciò generazioni nate solo pochi lustri fa cenano assieme in pizzeria con i tavoli divisi tra area uomini e area donne.

La convenzione sociale, in Italia non chissà dove, vuole che le donne non escano sole di sera, non mangino per strada, soprattutto se adulte, non ridano, non parlino a voce alta, che siano, insomma, un tetro condensato di buone maniere da manuale e non per questioni di galateo ma perché effettivamente assolti i loro obblighi biologici dovrebbero dedicarsi più che altro a…scomparire (quante donne adulte si sentono fantasmi nel 2020 in Italia?). Le donne in questo Paese, in realtà, possono fare tutto, anche lasciare il compagno di un anno o d’una vita; chiedere il divorzio, vivere del loro lavoro, fare politica attiva, essere brave, intelligenti, in gamba, qualche volta più preparate d’un uomo… ma in realtà è meglio che non lo facciano perché in alcuni casi diventeranno vittime d’una mano omicida, oppure oggetto di odio sociale e social (in alcuni casi condotte al suicidio) attraverso quel bullismo esercitato dagli adulti, che s‘ostinano a vederlo nei ragazzi i quali, invece, imparano da cotanti esempi.

Ogni donna sa di doversi muovere con circospezione nell’esistenza e alcune, lo dimostrano le cronache, avrebbero avuto ragione di farlo poiché non avendo previsto la follia di compagni, amanti o mariti hanno perso la vita. Hanno creduto, come molte, d’essere libere di scegliere oppure, in altri casi, che quella forma di possessività e controllo da parte degli uomini che avevano attorno fosse amore. Non è ingenuità femminile, è più un condizionamento sociale-educativo operato nei confronti delle bambine dalla nascita, quando c’è papà che pensa a tutto; condizionamento che guida ancora molte, spesso indenni per fortuna, dall’infanzia al matrimonio, alla famiglia. Attraverso tappe tradizionali che molte donne vivono con soddisfazione e senza chiedere altro ma che altre donne, invece, vogliono sentirsi libere di non accettare essendo presto tacciate d’isteria e d’essere pazze, scatenando riprovazione sociale e, alla peggio, esclusione, violenza.

Le donne che muoiono per mano d’un familiare (padre, fratello, marito, cognato, molti casi rispecchiano sorti capitate a ragazze straniere) sono donne davvero sfortunate. Gli omicidi in qualche caso provano a togliersi la vita dopo aver ucciso, perché subito consci del danno (soprattutto d’immagine, davanti agli altri che non li credevano così); altri si ‘suicidano male’ e quindi dopo qualche giorno d’ospedale tornano a vivere, chissà come, perché qualche volta oltre la compagna hanno eliminato anche un figlio bambino, adolescente, adulto, o che doveva nascere, seguendo un chiaro istinto che non ha nulla d’umano.

Le donne che scampano alla mano omicida di mariti, compagni, genitori, dovrebbero essere quelle fortunate. Invece sono sfortunate due volte. Perché hanno provato la paura d’essere uccise e perché sono sopravvissute. Queste, infatti, subiscono presto la curiosità degli uomini e delle altre donne in quanto appena si parla di ‘femminicidio’ molti credono che l’oggetto ‘passionale’ del delitto sia una tizia bella e fedifraga che voleva tradire il senso della coppia, del matrimonio. Solo qualche settimana fa una giornalista, al telegiornale Rai parlava del movente ‘passionale’ d’un femminicidio, roba da non credere: quando si dice che la definizione di passione è completamente travisata dai fatti e s’insiste ancora col codice Rocco! In questi omicidi il movente non è né la passione né l’amore, ma l’incapacità di vivere nel proprio tempo, di attribuire all’altro l’importanza che si dà a se stessi, di rispettare l’altro da noi come fossimo noialtri, di accettare un disaccordo, un momento difficile. Le donne che sopravvivono alla mano omicida sono guardate con sospetto dai familiari del compagno, se non dai propri, e rivivono ogni giorno il domani della loro tragedia personale. Il tempo poi lenisce tutto e non tutte le situazioni sono così disgraziate.

Giova forse ricordare, però, come nell’universo maschile così in quello femminile, libertà non possa considerarsi la volontà di sopraffare e ridurre al nulla l’altro, non quella di umiliarlo, non quella di voler raggiungere i propri scopi attraverso qualcuno, peggio che mai se attraverso i figli, e una coppia non potrà certo essere l’apoteosi di questo genere di intenti. La coppia non sarà, come insistono a pubblicizzare manuali insulsi, storielle idiote, film e serie tv altrettanto tali, la continua tensione degli opposti, ma la paziente continua composizione degli stessi, nell’esercizio del volersi bene, un pezzetto, tutti i giorni.

Non è un orizzonte rasserenante. Le constatazioni qui espresse appaiono dure ma sono il prezzo dell’ignoranza dei sentimenti e della ruvidezza a cui ci si è consegnati di questi tempi di pace apparente nei quali pare facile amare tutto (i fiori, gli hobby, i viaggi, gli animali, l’arte e molto altro) e può accadere, invece, di considerare d’intralcio i propri simili o che proprio con questi sia impossibile comunicare perché magari ci si sente troppo delusi e mai contenti di quello che possono offrirci.

Una rosa, questa sì, del colore del sangue e della vita e di ciò che poteva essere e non sarà mai più è dedicata alle povere Rosalia, Monica, Fatima che aspettava un figlio, Speranza, le ultime vittime di storie, alcune atroci, spese tra solitudine, rincorsa dell’impossibile, nessuna traccia d’amore, nessuna passione, nessun indizio di tranquillità, o storie forse all’apparenza normali mentre queste donne le vivevano e mentre qualcuno molto vicino a loro decideva che il tempo a disposizione era terminato. A loro, che erano o sono state ragazze, i versi del poeta Pablo Neruda in apertura di questo scritto.

Letture: Un giorno perfetto di Melania Mazzucco (e il film omonimo di Ferzan Ozpetek); Sera in paradiso di Lucia Berlin; L’ibisco viola di Chimamanda Ngozi Adichie

Film: Fortunata di Sergio Castellitto; La bicicletta verde di Haifaa Al-Mansour; Le regole del caos di A. Rickman

Teatro: gli spettacoli teatrali Milf (mamma insegnami la felicità) di e con Natalia Magni; I monologhi della vagina tratto da un testo di Eve Ensler (qui una delle molte versioni esistenti: è uno spettacolo ‘staffetta’ portato nel mondo da molte valide attrici)

Ricordiamo l’8 marzo (e tutta la strada ancora da percorrere) con il divertente cartoon di Makkox/Marco D’Ambrosio da Propaganda Live – La7, puntata dell’08/02/2020 https://youtu.be/GUndJgx4Ck4

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2 Commenti

  1. Serena
    Serena Marzo 07, 10:09

    Vero Maria, grazie! Continuando a ripetere oltre il disinganno….

    Reply to this comment
  2. maria
    maria Marzo 04, 18:00

    troppa verità per essere creduta e compresa e accettata e riflettuta da tutti/tutte e in ogni ambito. ma solo dichiarando e ripetendo la verità si può tentare di strappare i troppi veli che la stravolgono. primo fra tutti l’autoinganno
    “per ogni goccia di essenza/quante rose sgozzate!”

    Reply to this comment

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