Nel bunker insieme al
Fuehrer
(Federico Gentili) - La prima riflessione che si fa,
provando un senso di liberazione all’uscita dalla sala, dopo aver visto il
film sugli ultimi giorni di Adolf Hitler, è come mai questa pellicola
abbia scatenato tante polemiche in Germania. Ci si chiede stupiti perchè
“La caduta” di Oliver Hirschbiegel, sia stato accusato di presentare un
ritratto eccessivamente umanizzante della persona che invece
nell’immaginario collettivo è la perfetta sintesi del male assoluto. Quasi
che Hitler, quale moderna personificazione dell’AntiCristo, non possa
essere presentato con fattezze umane, due gambe, due braccia e una testa,
un comportamento a volte educato e gentile, altre irascibile, folle e
visionario. Perchè per il resto, il pazzo dittatore ne esce, come era
ovvio, davvero a pezzi. Non solo non si riesce a rintracciare nel film il
pur minimo tentativo di giustificazione o attenuante all’esperienza
nazista, si prova invece, durante tutta la visione, un senso di
claustrofobica nausea. Le polemiche comunque sono piuttosto eloquenti
circa il fortissimo complesso nutrito ancora oggi in Germania per quanto
avvenuto in quei deliranti dodici anni. Continuando la riflessione
postfilmica, dopo le orrende pagine del Novecento, come può esistere
ancora uno strumento di risoluzione di problemi chiamato guerra? E come si
fa a chiamare intelligenti le bombe e umanitari gli interventi di tank e
caccia bombardieri? Forse l’orribile epopea di Hitler, il capitolo più
terrificante della storia tedesca ed europea, non è bastato all’uomo? La
storia di quegli eventi viene narrata nel film dalla giovanissima Traudl
Junge, la segretaria di Hitler, che rimase vicina a lui e al suo più
ristretto gruppo di uomini, vivendo sotto terra i giorni della fine.
Mentre sopra la Germania bruciava e Berlino era ridotta a un cumulo di
macerie, nel rifugio si consumavano le ultime farneticazioni del capo e le
follie finali di un pugno di uomini rimasti ciecamente ai suoi ordini. “La
caduta” è il primo film tedesco ad affrontare il personaggio di Hitler
dopo quello di G. W. Pabst del 1956, “Der leste akt”, raccontato dal punto
di vista di un semplice soldato tedesco, interpretato da Oscar Werner.
Alcuni pensano che non si debba mettere Hitler sotto i riflettori, perchè
in tal modo si offrirebbe un podio ad un mostro. Ma la storia è fatta da
persone, anche dalle più orrende. Al Fuerher, splendidamente interpretato
da Bruno Ganz, non bastava il mito della sua caduta e della sua morte,
ricercava l’annientamento del suo intero popolo. “Se la guerra è persa,
non mi importa che il popolo muoia. Non verserò una sola lacrima per loro;
non meritano nulla di meglio.” Il modo in cui si è lottato in Germania per
superare il torbido passato è encomiabile. La coscienza storica tedesca è
stata da sempre tormentata dallo spettro nazista. Una simile opera era
necessaria anche per questo motivo, parte del lento, graduale ma
inesorabile processo di vedere l’esperienza nazista come storia. Non come
qualcosa di ineffabile e inclassificabile. Il produttore tedesco del film,
Bernd Eichinger, in un’intervista ha detto che è forse “giunto il momento
per i registi tedeschi di avere il coraggio di portare sulla scena
qualcosa che è nato in Germania. Dovrebbe ricordare alle nuove generazioni
che l’intolleranza, il razzismo e il fanatismo portano inesorabilmente
nell’abisso.” Di questi tempi è meglio non dimenticare. |