1799, La rivoluzione
mancata
Commento al film Il resto di niente di Antonietta De Lillo
(Antonino Musicò) - Sembrerebbe poco attraente parlare di
rivoluzione all’inizio del terzo millennio, quando la rivoluzione, intesa
come ribaltamento o
nemesi
dell’ordine costituito, è diventata anche nel lessico, un termine obsoleto
se non inutile, e quanto rimane del suo afflato romantico lo scorgiamo in
singolari primi piani di alcuni rivoluzionari che campeggiano come icone
piatte su splendide t-shirt, nei mercati rionali o nelle vetrine dei
negozi più trandy delle boteriane città occidentali, d’altronde le utopie
e gli ideali che hanno informato i movimenti rivoluzionari della nostra
storia si sono sciolti in una strana melassa di concetti e idee sulla
comunità globale e sulla nuova democrazia mondiale da cui non si prescinde
più, i concetti, non sempre chiari, di rete globale, democrazia
partecipata e di impero e moltitudine hanno preso il posto di termini come
massa, lotta di classe, abbattimento dello stato borghese e prima ancora,
di Repubblica e indipendenza. In effetti il mutamento del linguaggio
corrisponde a quello della storia e delle velleità dei popoli, il fine da
perseguire è cambiato in funzione delle prospettiva teleologica dell’uomo.
La rivoluzione come catarsi, rinnovamento, checché se ne dica, è confluita
nell’alveo del cosiddetto riformismo mondiale. Quindi una discussione
sulla rivoluzione, oggi, appare anacronistica ancorché inutile ma se
rivolgiamo lo sguardo attentamente alle vicende umane più che a quelle
storiche, ci accorgiamo che il bisogno di sondare il nostro passato
attraverso gli uomini e le donne che lo hanno segnato è assolutamente
utile se non indispensabile, per avere qualche riferimento all’interno di
una civiltà assai difficile da decifrare. Molto probabilmente il concetto
di rivoluzione ha a che fare con quello di modernità mentre l’epoca post
moderna non contiene più i codici che lo determinavano. Insomma, quella
della rivoluzione è un’immagine senza corpo o comunque di un corpo senza
vitalità che viene ridestato dalle rappresentazioni che di esso se ne
fanno e che ancora agitano il nostro immaginario. Probabilmente vi sono
degli episodi della nostra storia ancora non interamente metabolizzati o
non compresi del tutto, che hanno la peculiare caratteristica di ridestare
delle energie che sembravano sopite, insieme a delle domande che non
hanno ancora trovato risposta. È per questo che la regista Antonietta De
Lillo, dopo cinque anni di peripezie produttive è riuscita caparbiamente a
terminare il suo film sulla Rivoluzione napoletana del 1799. Il resto
di niente, che è la storia di Eleonora Pimentel De Fonseca, tratto dal
romanzo omonimo di Enzo Striano, che diversamente dal testo sintetizza,
nelle due ore precedenti l’esecuzione della donna, la vicenda legata alla
rivoluzione giacobina del 1799 a Napoli di cui “donna Eleonora” è stata
eroica protagonista. Ma cosa è stata questa rivoluzione? Perché ancora
aleggia come un fantasma su di noi e su un popolo che dopo più di due
secoli la ricorda ancora come un’occasione mancata, l’occasione che ha
lasciato un marchio indelebile sul futuro della città e forse del sud
Italia, un forte senso di castrazione che ne ha determinato
successivamente le scelte, l’accontentarsi di quello che passa il
convento; l’arrangiarsi con quello che si ha, agendo all’interno del
cosiddetto familismo amorale di cui ancora tutto il meridione è marchiato.
Una delle risposte, appunto, potrebbe trovare luce dall’analisi delle
vicende legate alla rivoluzione del 1799 e nel personaggio simbolo - nella
sua assoluta modernità e allo stesso tempo fragilità femminile - di
Eleonora de Fonseca Pimentel, che in un particolare momento storico per
l’Europa, decise di dare voce e sostanza all’esperienza giacobina in una
Napoli lazzarona, sudicia, senza coscienza della propria condizione e
insieme ad altri personaggi appartenenti alla borghesia e aristocrazia
napoletana condusse una vera e propria rivoluzione borghese e illuminista.
Però, come si sa, le rivoluzioni hanno successo quando sussiste anche una
reale e consapevole adesione popolare e che se un popolo, come quello
napoletano, non riuscì ad accogliere le istanze del 1799, è perché non
era preparato a scegliere il proprio sogno ma abituato a far parte di
quello degli altri.
Il film, dopo cinque anni di traversie e difficoltà produttive varie,
arriva nelle sale italiane, si spera con meno problemi nella
distribuzione, la protagonista del film è Maria de Medeiros, un’attrice
portoghese come Eleonora, che coniuga la delicatezza alla grande
determinazione che il personaggio della Pimentel esige. Nel film, molti
dei luoghi descritti nel romanzo mancano, non vi è traccia della breve
esperienza romana di Eleonora, del viaggio e delle emozioni suscitate
dalla città del golfo, tutto è concentrato nelle due ore prima della sua
morte, ore in cui è l’afflato elegiaco a dominare, tra la prigione e la
sua abitazione, dove compare un personaggio assente nel romanzo e in
quello specifico contesto storico, il filosofo-giurista Gaetano Filangieri
(morto nel 1788), interpretato da Enzo Moscato, cui Eleonora racconta con
acutezza e intelligenza cosa sia stata questa utopia cui molti giovani
napoletani hanno dedicato la propria vita, cosa sia stata la sua di vita:
un figlio morto, un marito impostole e brutale e l’amore per una strana
città italiana, cui gli eventi l’hanno costretta a una rivoluzione, non
ancora pronta per fare a meno di un padre e di un Re. Nel film della De
Lillo non c’è spazio né per il melodramma (di Rivombrosa memoria) né per
la descrizione storica minuziosa, c’è la forte consapevolezza del
fallimento di un sogno in cui è imprigionata ancora un’anima bella, quella
di donna Eleonora. |