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Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005

 SPETTACOLI

La sposa turca, di Fatih Akin - Germania 2003
(Federico Scrimaglio) - Gegen die Wand. Questo è il titolo originale del film che si può tradurre: “Contro il muro”. Sta a indicare un momento del film, pressochè l’inizio, in cui Cahit, protagonista maschile, ubriaco al volante di un’automobile si schianta contro un muro; forse tentando il suicidio. La sua esistenza è avvolta dal mistero riguardo un passato che affiora brevemente nel nome di una moglie morta e che lo segna nei tratti duri e scavati del volto; nelle abrasioni sul collo e negli occhi tristi ma pronti anche ad animarsi di rapida e istintiva rabbia. Dopo esser andato a sbattere contro il muro incontra in un ospedale psichiatrico la giovane e bella Sibel, piena di vita eppure sopravvissuta a un ennesimo tentativo di suicidio. Sibel a diciannove anni vuole vivere: conoscere uomini, fare quello che le pare e che la rigida tradizione patriarcale della sua famiglia le vieta. Gli occhi del padre e del fratello le sono sempre addosso. Sibel e Cahit sono entrambi turchi: lei figlia di immigrati e lui arrivato in Germania dal suo paese natale. Per questa loro comune origine possono salvarsi. Salvarsi dalle loro vite alla deriva, affondate nella disperazione più nera. Il piano di Sibel è semplice: sposarsi per compromesso, senza vincoli tra loro; solo come occasione, per lei, di affrancarsi dalla pesante tutela della famiglia e magari, per Cahit, di cambiare vita. Anche se all’inizio non è così. Un cambiamento troppo drastico e molte volte, a stento, tollerato. Poi, è così difficile stare vicino a una ragazza che, appena uscita dalla tutela familiare, vuole fare e provare tutto. Senza considerare le prime manifestazioni di quello che sarà un amore tormentato; soprattutto perché Cahit si innamora sul serio e vede in Sibel la donna che veramente gli ha salvato la vita. Dopo di lei non ha più senso riprovare a sbattere contro il muro. Come finirà la loro storia? Quel vincolo di compromesso che ha sancito la loro apparente unione agli occhi del mondo può diventare vero amore, accettato da entrambi?
Il film abbraccia un periodo di tempo lungo, in cui i personaggi mutano profondamente e Sibel da giovane ragazza desiderosa di provare tutto diventa una donna matura e consapevole delle dure esperienze vissute. Perché nel facile gioco di ingannare tutti, forse anche se stessi, e cercare la libertà si innestano tragiche svolte del destino che cambiano radicalmente l’esistenza. Si può anche andare a finire in Turchia per tentare di ricominciare o perdersi definitivamente.
Il film può essere visto come un’opera di formazione attenta a certe situazioni interiori e sociali che possono svilupparsi in un contesto come quello degli immigrati turchi in Europa e particolarmente di una ragazza nata e cresciuta in una famiglia molto rigida. Le letture di quest’opera sono diverse e si prestano a interpretazioni sociali, psicologiche e via dicendo. Ma ciò che rimane, che veramente val la pena per vedere questo bel film è la capacità del regista di descrivere personaggi, situazioni e svolgimenti immergendoli in un duro realismo senza abbracciare, potremmo dire, quel “pessimismo realistico” di fondo che, più o meno evidente, tragico e inevitabile, affiora in tanti film che trattano temi pesanti. (Girati, poi, frequentemente, in stile dogma: camera a mano in ogni inquadratura; fotografia sporca e trascurata per dare un effetto “reale”; assenza di ricerca di composizione dell’immagine; montaggio ridotto al minimo e lunghe riprese senza stacco). Il modo di raccontare di Akin sembra sorretto da una luce, da un senso della bellezza e della speranza che dà le ali al suo film. Forse così si possono leggere i siparietti girati a Istanbul con Santa Sofia sullo sfondo che intervallano l’opera: dove Sibel, accompagnata da una piccola orchestra, canta le vicende della sua vita e del suo amore per Cahit. Come se la storia, appunto, fosse una Canzone: di quelle portate in giro dai vecchi cantastorie; una vicenda esemplare dove si può anche cantare o dove ha più senso cantare, dopo il dolore e la sofferenza.

 SPETTACOLI

Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005