La sposa turca, di
Fatih Akin - Germania 2003
(Federico Scrimaglio) - Gegen die Wand. Questo è il
titolo originale del film che si può tradurre: “Contro il muro”. Sta a
indicare un momento del film, pressochè l’inizio, in cui Cahit,
protagonista maschile, ubriaco al volante di un’automobile si schianta
contro un muro; forse tentando il suicidio. La sua esistenza è avvolta dal
mistero riguardo un passato che affiora brevemente nel nome di una moglie
morta e che lo segna nei tratti duri e scavati del volto; nelle abrasioni
sul collo e negli occhi tristi ma pronti anche ad animarsi di rapida e
istintiva rabbia. Dopo esser andato a sbattere contro il muro incontra in
un ospedale psichiatrico la giovane e bella Sibel, piena di vita eppure
sopravvissuta a un ennesimo tentativo di suicidio. Sibel a diciannove anni
vuole vivere: conoscere uomini, fare quello che le pare e che la rigida
tradizione patriarcale della sua famiglia le vieta. Gli occhi del padre e
del fratello le sono sempre addosso. Sibel e Cahit sono entrambi turchi:
lei figlia di immigrati e lui arrivato in Germania dal suo paese natale.
Per questa loro comune origine possono salvarsi. Salvarsi dalle loro vite
alla deriva, affondate nella disperazione più nera. Il piano di Sibel è
semplice: sposarsi per compromesso, senza vincoli tra loro; solo come
occasione, per lei, di affrancarsi dalla pesante tutela della famiglia e
magari, per Cahit, di cambiare vita. Anche se all’inizio non è così. Un
cambiamento troppo drastico e molte volte, a stento, tollerato. Poi, è
così difficile stare vicino a una ragazza che, appena uscita dalla tutela
familiare, vuole fare e provare tutto. Senza considerare le prime
manifestazioni di quello che sarà un amore tormentato; soprattutto perché
Cahit si innamora sul serio e vede in Sibel la donna che veramente gli ha
salvato la vita. Dopo di lei non ha più senso riprovare a sbattere contro
il muro. Come finirà la loro storia? Quel vincolo di compromesso che ha
sancito la loro apparente unione agli occhi del mondo può diventare vero
amore, accettato da entrambi?
Il film abbraccia un periodo di tempo lungo, in cui i personaggi mutano
profondamente e Sibel da giovane ragazza desiderosa di provare tutto
diventa una donna matura e consapevole delle dure esperienze vissute.
Perché nel facile gioco di ingannare tutti, forse anche se stessi, e
cercare la libertà si innestano tragiche svolte del destino che cambiano
radicalmente l’esistenza. Si può anche andare a finire in Turchia per
tentare di ricominciare o perdersi definitivamente.
Il film può essere visto come un’opera di formazione attenta a certe
situazioni interiori e sociali che possono svilupparsi in un contesto come
quello degli immigrati turchi in Europa e particolarmente di una ragazza
nata e cresciuta in una famiglia molto rigida. Le letture di quest’opera
sono diverse e si prestano a interpretazioni sociali, psicologiche e via
dicendo. Ma ciò che rimane, che veramente val la pena per vedere questo
bel film è la capacità del regista di descrivere personaggi, situazioni e
svolgimenti immergendoli in un duro realismo senza abbracciare, potremmo
dire, quel “pessimismo realistico” di fondo che, più o meno evidente,
tragico e inevitabile, affiora in tanti film che trattano temi pesanti.
(Girati, poi, frequentemente, in stile dogma: camera a mano in ogni
inquadratura; fotografia sporca e trascurata per dare un effetto “reale”;
assenza di ricerca di composizione dell’immagine; montaggio ridotto al
minimo e lunghe riprese senza stacco). Il modo di raccontare di Akin
sembra sorretto da una luce, da un senso della bellezza e della speranza
che dà le ali al suo film. Forse così si possono leggere i siparietti
girati a Istanbul con Santa Sofia sullo sfondo che intervallano l’opera:
dove Sibel, accompagnata da una piccola orchestra, canta le vicende della
sua vita e del suo amore per Cahit. Come se la storia, appunto, fosse una
Canzone: di quelle portate in giro dai vecchi cantastorie; una vicenda
esemplare dove si può anche cantare o dove ha più senso cantare, dopo il
dolore e la sofferenza. |