Soltanto una vita
(Cristina Stillitano) - “Le storie non si limitano a
staccarsi dal narratore, lo formano anche: raccontare è resistere”.
Così Guimarães Rosa conduceva la sua battaglia, affrontando la realtà
attraverso una proposta poetica. Realtà destinata a scivolare
inesorabilmente nella direzione dell’aridità e della contaminazione,
finché qualcuno - ancora capace di immaginazione - oppone una parola. L’ha
portata dentro di sé per una vita intera, coltivandola nelle profondità
ove tutto “silenziosamente si inabissa”. Quella parola le
appartiene e riaffiora prepotente in superficie, a sprigionare la sua
forza tra le grida e i balbettii dei tanti. Ecco la biografia di Laura
Lombardo Radice: la storia di un linguaggio d’amore mai sopito e
continuamente speso per gli altri. Ricostruita attraverso le sue lettere,
poesie, articoli, appunti dalla figlia Chiara Ingrao, che ad ogni capitolo
antepone un “Prologo” introduttivo di ricordi e riflessioni, “Soltanto una
vita” (Baldini Castoldi Dalai, pp. 371, 18 euro) è qualcosa di più del
racconto di una esistenza, seppur ricchissima di eventi. È il dialogo
postumo, il confronto intimo tra due generazioni di donne le quali, nella
diversità delle scelte e dei momenti storici, riannodano il filo
dell’affetto e della continuità attraverso il lessico che le univa.
Perdere qualcuno è anche rinunciare a un linguaggio, a meno che non vada a
recuperarlo la memoria, la più ostinata e pervicace delle proprietà
femminili. La donna, storicamente sedentaria, fedele, in attesa, la donna
sempre presente per chi ama, è colei che tesse il discorso dell’assenza e
sa ricavarne anche una forza, cioè un valore. La vicenda di Laura è tutta
segnata da questa consapevolezza, che si risolve in una inesauribile
propensione per gli altri, quasi che “essere viva” non fosse “reale”, se
non per qualcuno. “L’intellettuale deve operare” aveva scritto il suo
amico e compianto Giaime Pintor, e fin dai tempi oscuri della Resistenza
antifascista diventa anche il suo imperativo esistenziale, oltre che
politico. Donna colta e raffinata, attiva nel mondo delle idee e della
cultura, Laura scende in campo senza timore di lordarsi le mani. Milita
nel partito comunista, partecipa a tante battaglie sociali; a più di 70
anni, ormai in pensione, decide di sperimentare il volontariato nelle
carceri, tornando a insegnare ai “dimenticati da tutti”, “i miei
assassinetti”, come li aveva ribattezzati con la sua solita ironia. A
questi impegni si aggiunge la gioiosa dedizione alla propria famiglia, i
cinque figli e l’amatissimo marito Pietro, conosciuto durante la guerra
per “lavoro di cospirazione” e mai più abbandonato. Per lui saprà
elaborare una interpretazione tutta femminile dell’impegno politico,
compiendo spesso la più difficile delle scelte, la rinuncia. Ma per Laura
Lombardo Radice essere comunista significava proprio questo: lungi
dall’individualismo egoista del nostro presente, trovarsi immersa in una
esperienza collettiva di solidarietà e di contatto. “Parola complessa e
avvolgente”, comunismo “portava dentro come una radice etimologica
inestirpabile, l’appartenenza a una comunità di uomini e donne, di
compagne e compagni…”.
Nella lunga imposizione di “cartesiani” modelli interpretativi del mondo,
la verità di una parola è l’immaginazione di una possibilità diversa.
Accesa dal discorso di una donna e della sua esistenza, non è filosofia
dell’amore, ma ciò che più desideriamo. Sua semplice affermazione. |