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Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005

 LETTURE

Soltanto una vita
(Cristina Stillitano) - “Le storie non si limitano a staccarsi dal narratore, lo formano anche: raccontare è resistere”. Così Guimarães Rosa conduceva la sua battaglia, affrontando la realtà attraverso una proposta poetica. Realtà destinata a scivolare inesorabilmente nella direzione dell’aridità e della contaminazione, finché qualcuno - ancora capace di immaginazione - oppone una parola. L’ha portata dentro di sé per una vita intera, coltivandola nelle profondità ove tutto “silenziosamente si inabissa”. Quella parola le appartiene e riaffiora prepotente in superficie, a sprigionare la sua forza tra le grida e i balbettii dei tanti. Ecco la biografia di Laura Lombardo Radice: la storia di un linguaggio d’amore mai sopito e continuamente speso per gli altri. Ricostruita attraverso le sue lettere, poesie, articoli, appunti dalla figlia Chiara Ingrao, che ad ogni capitolo antepone un “Prologo” introduttivo di ricordi e riflessioni, “Soltanto una vita” (Baldini Castoldi Dalai, pp. 371, 18 euro) è qualcosa di più del racconto di una esistenza, seppur ricchissima di eventi. È il dialogo postumo, il confronto intimo tra due generazioni di donne le quali, nella diversità delle scelte e dei momenti storici, riannodano il filo dell’affetto e della continuità attraverso il lessico che le univa. Perdere qualcuno è anche rinunciare a un linguaggio, a meno che non vada a recuperarlo la memoria, la più ostinata e pervicace delle proprietà femminili. La donna, storicamente sedentaria, fedele, in attesa, la donna sempre presente per chi ama, è colei che tesse il discorso dell’assenza e sa ricavarne anche una forza, cioè un valore. La vicenda di Laura è tutta segnata da questa consapevolezza, che si risolve in una inesauribile propensione per gli altri, quasi che “essere viva” non fosse “reale”, se non per qualcuno. “L’intellettuale deve operare” aveva scritto il suo amico e compianto Giaime Pintor, e fin dai tempi oscuri della Resistenza antifascista diventa anche il suo imperativo esistenziale, oltre che politico. Donna colta e raffinata, attiva nel mondo delle idee e della cultura, Laura scende in campo senza timore di lordarsi le mani. Milita nel partito comunista, partecipa a tante battaglie sociali; a più di 70 anni, ormai in pensione, decide di sperimentare il volontariato nelle carceri, tornando a insegnare ai “dimenticati da tutti”, “i miei assassinetti”, come li aveva ribattezzati con la sua solita ironia. A questi impegni si aggiunge la gioiosa dedizione alla propria famiglia, i cinque figli e l’amatissimo marito Pietro, conosciuto durante la guerra per “lavoro di cospirazione” e mai più abbandonato. Per lui saprà elaborare una interpretazione tutta femminile dell’impegno politico, compiendo spesso la più difficile delle scelte, la rinuncia. Ma per Laura Lombardo Radice essere comunista significava proprio questo: lungi dall’individualismo egoista del nostro presente, trovarsi immersa in una esperienza collettiva di solidarietà e di contatto. “Parola complessa e avvolgente”, comunismo “portava dentro come una radice etimologica inestirpabile, l’appartenenza a una comunità di uomini e donne, di compagne e compagni…”.
Nella lunga imposizione di “cartesiani” modelli interpretativi del mondo, la verità di una parola è l’immaginazione di una possibilità diversa. Accesa dal discorso di una donna e della sua esistenza, non è filosofia dell’amore, ma ciò che più desideriamo. Sua semplice affermazione.

 LETTURE

Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005