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Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005

 FILOSOFIA

La concezione del mondo in Verga
(David Salvi) - Alla base della visione del mondo di Verga c’è un profondo pessimismo: la società è dominata dal meccanismo crudele della ‘lotta per la vita’, per cui il più forte schiaccia necessariamente il più debole. La generosità disinteressata, l’altruismo, la pietà non trovano posto nella realtà, gli uomini sono mossi dall’interesse individuale e dalla volontà di sopraffare gli altri. Questa, secondo Verga, è una legge di natura universale che governa qualsiasi società, in ogni tempo e luogo, sia umana che animale che vegetale. In quanto legge di natura è immodifìcabile, perciò non ci sono alternative alla realtà presente, né nel futuro, nella realizzazione di una società più giusta, né nel passato, nel tornare a forme superate dal mondo moderno, né nel trascendente.
Influenzato dal determinismo naturalistico, Verga vede il progresso come evoluzione e l’ordine sociale come ordine naturale. Manca la fiducia romantica nella storia e nell’uomo che può costruirla e determinarla. Il suo è un radicale antistoricismo. La vita umana è come quella animale, non conosce mutamenti ma ripetizioni anche perché l’evoluzione è lenta e graduale e non ammette salti. È dunque illusorio pensare di poter mutare stato: bisogna rassegnarsi e accettare l’ordine esistente: una tassa ingiusta non è diversa da un cattivo raccolto: è inutile protestare, è meglio lavorare di più per pagarla. Questa è la filosofìa di padron ‘Ntoni ma anche di Alfio, Mena, Nunziata, ne ‘I Malavoglia’, racchiusa nel proverbio ‘meglio contentarsi che lamentarsi’. 0Ne ‘I Malavoglia, il tentativo di mutare stato da parte di ‘Ntoni o del nonno (il commercio di lupini, la vendita delle acciughe rimandata ad Ognissanti) viene punito con il fallimento. La subordinazione alla durezza della legge naturale impone la rinuncia, di per sé eroica: rinuncia all’amore, alla giovinezza, al desiderio, perfìno agli affetti stessi della famiglia. I grandi protagonisti del romanzo possono affermare se stessi solo negandosi e scegliere il proprio destino solo scegliendo eroicamente i modi per la propria sconfìtta. È così per padron ‘Ntoni che si fa portare all’ospizio, ma anche per Mena che rinuncia ad Alfìo e per ‘Ntoni che sceglie l’emarginazione e la perdita d’identità. ‘Ntoni incarna le forze disgregatrici della modernità. Dal suo primo apparire evidenzia una personalità complessa e contraddittoria, oscillante tra egoismo e fannullaggine e buon cuore, tra impulsi di rivolta e generosità, ribellione romantica all’ambiente: ‘perché sono tornato soldato?’ e riconoscimento delle proprie radici ‘è una bella cosa tornare a casa’. Ntoni esprime i turbamenti di una generazione ancora romantica stretta tra ribellione e accettazione dell’ordine, adesione a un mondo di ideali e rinuncia ad essi in nome della logica economica e della cultura positivistica che la impone. Lo scontro padron ‘Ntoni /’Ntoni allude al rapporto di continuità/rottura, affinità/differenza che contrappone padre e figlio, ma, oltre ad avere un valore simbolico, ne ha uno ideologico culturale basato sulla possibilità o opportunità di mutare stato e se assumere o no la condizione degli animali come modello di vita.
Padron ‘Ntoni, come Mena, prende a modello le formiche e la passera che torna sempre nello stesso nido. ‘Ntoni, al contrario, non vuole essere una passera e respinge la vita immobile della natura con il suo ritmo ciclico che, invece, affascina il nonno, Mena e Alessi. Avendo conosciuto il progresso delle grandi città, non considera le leggi sociali come quelle naturali: una tassa non è come un cattivo raccolto. Si scontrano, dunque, due diverse concezioni del mondo: una ispirata a un darwinismo sociale che vede la società specchio della natura e invita ad un’accettazione fatalistica della lenta evoluzione naturale, l’altra romantica. ‘Ntoni sceglie dunque la città, il progresso e il fallimento è già implicito a priori nella partenza. Al ritomo diventa il mantenuto della Santuzza e la sua degradazione ad animale viene scandita con metafore e similitudini con maiali e cani: prima è un ‘cane grasso’ e ‘unto’, poi ‘un cane rognoso’, infine ‘un cagnaccio da strada’. Anche il rapporto con il nonno viene rovesciato: cessa di vergognarsi per la sua condotta e non ne teme i rimproveri ma, con un discorso disperato in cui denuncia l’assurdità della fatica quotidiana, scuote le certezze del vecchio. Alla fine estraneo alla famiglia, emarginato dal paese e cacciato dalla Santuzza, entra nel contrabbando. ‘Ntoni è il simbolo dell’escluso, è l’eroe problematico de ‘I Malavoglia’ e ne determina il messaggio conclusivo: la  salvezza è possibile solo al riparo del tempo etnologico in cui si muove Alessi, nell’ideale dell’ostrica, ma è una salvezza a cui l’uomo moderno, ‘Ntoni ma anche Verga, non può che dare l’addio. Il percorso di ‘Ntoni viene continuato da Gesualdo il quale non conserva niente del tradizionale immobilismo della realtà arcaico-rurale,è l’esponente più tipico della logica economica del moderno e del self-made man.
Secondo Verga la lotta per la ‘roba’ non è che un aspetto della lotta per la vita e ognuno deve combatterla da solo, ma essa condanna ad una vigilanza costante, a una perenne alienazione da se stessi e dagli affetti. Il controllo dei sentimenti con la razionalità economica è possibile solo attraverso una devastazione ulteriore che finisce per rendere impossibile proprio quella autorealizzazione che l’arrampicatore sociale si propone. Questa è la morale del romanzo che contrasta con la filosofìa della vita che, all’inizio, Gesualdo espone a Diodata: ‘ognuno si fa con le proprie mani il proprio destino, c’è chi è abile e intelligente e perciò diventa ricco e chi invece è inetto, come il fratello Santo, e dunque non ha nulla’. Se da una parte ‘la roba’ è condizione necessaria per autorealizzarsi, dall’altra la logica di essa impone scelte che rendono impossibile tale autorealizzazione. Al suo interno non c’è possibilità né di felicità né di salvezza. Il risvolto negativo del successo economico si misura nel privato, infatti, pur essendo affezionato a Diodata, la sua serva amante, da cui ha avuto due figli, Gesualdo sposa Bianca, per ottenere l’appoggio dei parenti di lei, i nobili del paese, per i suoi affari. Ma il matrimonio accentua la sua solitudine perché finisce con l’essere estraneo sia alla classe a cui appartiene che a quella della moglie che non gli perdona le sue origini. Le delusioni affettive gli fanno lentamente percepire l’inutilità della fatica e a mettere in discussione la logica economica che ha regolato le sue scelte: il matrimonio è stato un affare sbagliato, l’educazione della fìglia, per farne una signora, l’ha allontanata da lui e spinta a vergognarsi del padre, i fratelli mirano a degradarlo, i figli avuti con Diodata lo odiano, il padre nutre rancore nei suoi confronti. Dalla lotta epica per la roba, dunque, Gesualdo ha ricavato solo odio, amarezza e dolore che si concretizza in un cancro allo stomaco e muore nella più completa solitudine. La sua morte dimostra l’assurdità della fatica produttiva e dell’accumulo capitalistico, la corsa verso la roba è una corsa verso il nulla: la morte giunge inevitabile. (continua)

 FILOSOFIA

Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005