“The take” di Naomi
Klein e Avi Lewis
(Caterina Rosolino) - Nel mese di marzo è stato proiettato,
nella sala del politecnico fandango a Roma, il documentario “The Take”
scritto da Naomi Klein, autrice del bestseller “No Logo”, e diretto dal
marito giornalista canadese Avi Lewis. Ambientato nell’Argentina prostrata
dalla crisi economica, il filmato ripercorre la vicenda di un gruppo di
operai di Buenos Aires che, dopo essere stati licenziati a causa del
fallimento della loro fabbrica, decidono di occupare la struttura e di
riavviare le macchine per autogestirla.The take nasce dalla
necessità di contrastare quella che gli stessi autori definiscono
“pornografia della protesta”. “In televisione le uniche immagini che si
fanno vedere sono quelle degli scontri tra polizia e manifestanti - dice
la documentarista -. Questo perché i momenti di forte violenza hanno
maggiore appeal sugli spettatori. Anche noi mostriamo gli operai
tirare i sassi contro i poliziotti e questi ultimi sparare contro la
folla, ma questo non è che un aspetto di quel processo che entra in atto
quando si verifica un cambiamento sociale e che noi mostriamo dall’inizio
alla fine, dedicando grande spazio alla parte umana. Tuttora l’idea del
cambiamento sociale è un’idea misteriosa e i media si perdono la parte più
interessante del processo: la discussione, la parte umana del cambiamento.
È questa che volevamo mostrare”. Per tre mesi Noami Klein e Avi Lewis
hanno seguito la vicenda degli operai di una ventina di fabbriche, “alla
fine abbiamo scelto di raccontare la storia della Forja perché siamo
riusciti a riprenderne in diretta l’occupazione” spiega Lewis. “I
movimenti sociali in Argentina stanno diventando sempre più forti e con
loro anche i partiti di sinistra” spiega la Klein. Il cambiamento sta
coinvolgendo anche Uruguay, Bolivia e Venezuela. “Pure in questi paesi i
governi sono diventati più ricettivi alla politica di occupazione delle
fabbriche”. Di certo gli Stati Uniti non staranno a guardare. “I primi
segni arrivano dal fatto che l’amministrazione Bush ha già iniziato a
demonizzare Chavez in Venezuela”. Ma come mai i documentari oggi hanno
tanto successo? “Sopperiscono alla profonda crisi dei mezzi di
informazione - risponde Lewis -. La storia della crisi argentina è un
esempio perfetto. Per qualche settimana i tg ci hanno mostrato la parte
più folcloristica della protesta, le pentolate in piazza. Ma chi ha
raccontato quello che è successo dopo? The Take fornisce alcune
risposte. So che nel vostro Paese avete una forte concentrazione nel
controllo dei media. Ma la gente vuole la verità e i documentari
rispondono a quest’esigenza, approfondiscono, regalano emozioni e danno
un’immagine tridimensionale della realtà”. Naomi Klein spiega con queste
parole il messaggio del documentario: “Ci si inizia ad interrogare sulla
distanza tra economia e diritto alla sopravvivenza. Ci sono paesi in cui
certo ho il diritto di voto, ma poi non ho quello alla casa, al lavoro,
alla vita stessa: mi vengono negati gli stessi diritti umani. Questa è la
democrazia in versione Bush. Per questo in America Latina si dice
“Vogliamo tutto”, vogliamo il diritto alla vita. Come mostriamo in The
Take.” Non poteva mancare nelle parole di Naomi Klein una riflessione
sul movimento no global. “In Italia avete sempre usato questa espressione
“no global” che non ho mai ben capito cosa indicasse. Negli Usa non la
conosciamo. Più che un movimento, infatti, credo si sia trattato di un
momento, un momento di riconoscimento globale. I soggetti isolati a
livello nazionale hanno trovato insieme una sorta di identificazione.
Così come è successo a Seattle, Genova, Porto Alegre. Ed è stato
importante. Importante condividere delle idee, che poi, anche grazie alla
rete, hanno trovato una maggiore possibilità di scambio”. Quello che
rispetto ad allora è cambiato, sostiene oggi Naomi Klein, “è che adesso
sappiamo che queste lotte sono locali e vanno combattute e vinte nei
luoghi dove si vivono”. È il caso per esempio delle battaglie contro la
privatizzazione dell’acqua in Bolivia, dei Sem Terra in Brasile, delle
fabbriche autogestite dagli operai in Argentina, appunto, come racconta
The Take. “Lo stesso sta avvenendo anche in Italia -prosegue Naomi
Klein-. Da Genova le lotte del movimento sono proseguite con le battaglie
dei giovani contro il lavoro precario e il sostegno ai migranti. Con la
nascita di San precario -che a Roma ha tenuto a battesimo
l’anteprima del film- santo patrono di tutti i lavoratori senza garanzie”.
|