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Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005

 DAL MONDO

Sahrawi, i profughi dimenticati
(Leo Colucci) - “Campi profughi speciali”. Sono le parole con cui Mansour, il governatore di uno dei quattro accampamenti Sahrawi nei dintorni di Tindouf in Algeria, descrive la situazione dei circa 40.000 profughi cacciati con le armi dal Sahara Occidentale. Trent’anni fa, infatti, la loro terra nativa passò dalla colonizzazione spagnola all’occupazione da parte di Marocco e Mauritania, stati confinanti attratti da una terra ricca di giacimenti di fosfati e con una costa ad elevata pescosità.
I Sahrawi sono “speciali” perchè a differenza di tutti gli altri profughi del mondo si sentono fortemente uniti dall’obiettivo di fare ritorno nella loro terra e sono guidati da un importante organo politico militare, il Fronte Polisario, impegnato per il raggiungimento dell’indipendenza e per il riconoscimento a livello internazionale della R.A.S.D. (Repubblica Araba Saharawi Democratica).
Nel corso degli anni i guerriglieri del Fronte Polisario sostengono numerose battaglie contro gli occupanti e nel 1979 raggiungono un accordo di pace con la Mauritania che lascia il territorio nelle sole mani del Marocco. Quest’ultimo decide di attuare la “strategia dei muri” cioè una fortificazione di sabbia e mine per migliaia di chilometri, con lo scopo di rendere impossibile qualsiasi tentativo di rientro in patria da parte dei Sahrawi. Il Sahara Occidentale diventa così l’unico paese al mondo completamente recintato e i cui nativi sono costretti a viverne fuori.
Dopo un periodo di guerre, oggi, la libertà viene coraggiosamente inseguita attraverso i rapporti diplomatici con i Paesi occidentali senza far uso di violenza e terrorismo. L’appoggio internazionale potrebbe effettivamente cambiare il corso degli eventi ed indurre l’O.N.U. ad attuare la risoluzione internazionale risalente all’ormai lontano 1991 che riconosceva ai Sahrawi il diritto all’autodeterminazione. Ma le libere elezioni vengono continuamente rimandate a causa dell’abile e costante boicottaggio attuato dal governo marocchino e così il ritorno in patria resta un miraggio. L’unica fonte di sostentamento è costituita dagli aiuti umanitari che garantiscono cibi in scatola e alimenti a base di grano, come farina e pasta. I Sahrawi accettano la collaborazione della comunità internazionale cercando di mantenersi autonomi nell’organizzazione e nel governo della vita politica e sociale: l’ennesima differenza con gli altri campi profughi che esistono nel mondo. Sono gli stessi Sahrawi, infatti, che si occupano degli aspetti principali della comunità tramite comitati popolari che assicurano istruzione e sanità per tutti e distribuiscono equamente gli aiuti umanitari. Un modello democratico di auto organizzazione che consente alla popolazione di sopravvivere dignitosamente fra condizioni di vita estreme in una delle zone più inospitali del deserto del Sahara.
La realtà dei campi Sahrawi non sembra quella di un paese islamico. La conferma di ciò sono le donne che qui guidano la vita sociale ed in parte anche quella politica. Sono donne forti, sorridenti, avvolte in affascinanti melfe colorate ed in grado di sostenere la comunità incoraggiandola a resistere. Accolgono gli stranieri nelle tende o nelle piccole capanne di sabbia raccontando la storia del loro popolo giunta ad una situazione di stallo causata dalla disinformazione a livello internazionale. E chi ascolta non può che rimanerne colpito anche perché sono un popolo umile e caloroso, rispettoso dei valori della pace, della libertà e della democrazia.
All’ospite viene dato il benvenuto con il che per loro non è solo una semplice bevanda ma qualcosa di profondo e intimo, un rito lento attorno al quale intrecciare rapporti umani, tramandarsi le storie del deserto e aprire i cuori alla fratellanza. Quel travasato da un bicchiere all’altro con abile maestria crea sintonia tra le persone e predispone il visitatore ad entrare delicatamente in contatto con la loro grande anima.
Durante la permanenza nei campi i membri delle delegazioni straniere soggiornano presso le famiglie del posto, rendendosi direttamente conto dei molteplici problemi in cui versa la popolazione: carenze nutrizionali, insufficienti condizioni igienico-sanitarie, mancanza di acqua potabile e vegetazione, inquinamento causato dai rifiuti “a cielo aperto”, un clima impietoso che fa salire la temperatura estiva a 60°C e rende gelido l’inverno. Trascorrere un periodo insieme ai Sahrawi però, oltre ad una sensazione di amaro non può che lasciare una piacevole gioia nel cuore per i volti sempre sorridenti, per la dignità nell’offrire il proprio cibo per accontentarsi di ciò che ne avanza, per gli abbracci sinceri, per la volontà ed il coraggio di vivere nonostante tutto. E così quando il sole invade lo sconfinato orizzonte ed il meraviglioso tramonto preannuncia la fine di un’altra giornata, i Sahrawi si preparano alla silenziosa notte sperando, segretamente, che anche il nuovo giorno sia accompagnato da quella misteriosa magia che rende possibile la dura vita nel deserto.

 DAL MONDO

Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005