Sahrawi, i profughi
dimenticati
(Leo Colucci) - “Campi profughi speciali”. Sono le
parole con cui Mansour, il governatore di uno dei quattro accampamenti
Sahrawi
nei dintorni di Tindouf in Algeria, descrive la situazione dei circa
40.000 profughi cacciati con le armi dal Sahara Occidentale. Trent’anni
fa, infatti, la loro terra nativa passò dalla colonizzazione spagnola
all’occupazione da parte di Marocco e Mauritania, stati confinanti
attratti da una terra ricca di giacimenti di fosfati e con una costa ad
elevata pescosità.
I Sahrawi sono “speciali” perchè a differenza di tutti gli altri profughi
del mondo si sentono fortemente uniti dall’obiettivo di fare ritorno nella
loro terra e sono guidati da un importante organo politico militare, il
Fronte Polisario, impegnato per il raggiungimento dell’indipendenza e per
il riconoscimento a livello internazionale della R.A.S.D. (Repubblica
Araba Saharawi Democratica).
Nel corso degli anni i guerriglieri del Fronte Polisario sostengono
numerose battaglie contro gli occupanti e nel 1979 raggiungono un accordo
di pace con la Mauritania che lascia il territorio nelle sole mani del
Marocco. Quest’ultimo decide di attuare la “strategia dei muri” cioè una
fortificazione di sabbia e mine per migliaia di chilometri, con lo scopo
di rendere impossibile qualsiasi tentativo di rientro in patria da parte
dei Sahrawi. Il Sahara Occidentale diventa così l’unico paese al mondo
completamente recintato e i cui nativi sono costretti a viverne fuori.
Dopo un periodo di guerre, oggi, la libertà viene coraggiosamente
inseguita attraverso i rapporti diplomatici con i Paesi occidentali senza
far uso di violenza e terrorismo. L’appoggio internazionale potrebbe
effettivamente cambiare il corso degli eventi ed indurre l’O.N.U. ad
attuare la risoluzione internazionale risalente all’ormai lontano 1991 che
riconosceva ai Sahrawi il diritto all’autodeterminazione. Ma le libere
elezioni vengono continuamente rimandate a causa dell’abile e costante
boicottaggio attuato dal governo marocchino e così il ritorno in patria
resta un miraggio. L’unica fonte di sostentamento è costituita dagli aiuti
umanitari che garantiscono cibi in scatola e alimenti a base di grano,
come farina e pasta. I Sahrawi accettano la collaborazione della comunità
internazionale cercando di mantenersi autonomi nell’organizzazione e nel
governo della vita politica e sociale: l’ennesima differenza con gli altri
campi profughi che esistono nel mondo. Sono gli stessi Sahrawi, infatti,
che si occupano degli aspetti principali della comunità tramite comitati
popolari che assicurano istruzione e sanità per tutti e distribuiscono
equamente gli aiuti umanitari. Un modello democratico di auto
organizzazione che consente alla popolazione di sopravvivere
dignitosamente fra condizioni di vita estreme in una delle zone più
inospitali del deserto del Sahara.
La realtà dei campi Sahrawi non sembra quella di un paese islamico. La
conferma di ciò sono le donne che qui guidano la vita sociale ed in parte
anche quella politica. Sono donne forti, sorridenti, avvolte in
affascinanti melfe colorate ed in grado di sostenere la comunità
incoraggiandola a resistere. Accolgono gli stranieri nelle tende o nelle
piccole capanne di sabbia raccontando la storia del loro popolo giunta ad
una situazione di stallo causata dalla disinformazione a livello
internazionale. E chi ascolta non può che rimanerne colpito anche perché
sono un popolo umile e caloroso, rispettoso dei valori della pace, della
libertà e della democrazia.
All’ospite viene dato il benvenuto con il tè che per loro non è
solo una semplice bevanda ma qualcosa di profondo e intimo, un rito lento
attorno al quale intrecciare rapporti umani, tramandarsi le storie del
deserto e aprire i cuori alla fratellanza. Quel tè travasato da un
bicchiere all’altro con abile maestria crea sintonia tra le persone e
predispone il visitatore ad entrare delicatamente in contatto con la loro
grande anima.
Durante la permanenza nei campi i membri delle delegazioni straniere
soggiornano presso le famiglie del posto, rendendosi direttamente conto
dei molteplici problemi in cui versa la popolazione: carenze nutrizionali,
insufficienti condizioni igienico-sanitarie, mancanza di acqua potabile e
vegetazione, inquinamento causato dai rifiuti “a cielo aperto”, un clima
impietoso che fa salire la temperatura estiva a 60°C e rende gelido
l’inverno. Trascorrere un periodo insieme ai Sahrawi però, oltre ad una
sensazione di amaro non può che lasciare una piacevole gioia nel cuore per
i volti sempre sorridenti, per la dignità nell’offrire il proprio cibo per
accontentarsi di ciò che ne avanza, per gli abbracci sinceri, per la
volontà ed il coraggio di vivere nonostante tutto. E così quando il sole
invade lo sconfinato orizzonte ed il meraviglioso tramonto preannuncia la
fine di un’altra giornata, i Sahrawi si preparano alla silenziosa notte
sperando, segretamente, che anche il nuovo giorno sia accompagnato da
quella misteriosa magia che rende possibile la dura vita nel deserto. |