Wong Kar-Way, 2046, Hong Kong, 2004
(Emanuela Evangelisti)
- 2046 non è nel tempo più di quanto non sia nello spazio. Nell’ultimo
inebriante lavoro cinematografico
di
Wong Kar Way, Chow Mo-Wan scrive un romanzo in cui il numero è infatti un
luogo, la destinazione di coloro che vogliano recuperare i propri ricordi
e si trova a una distanza raggiungibile attraverso un semplice viaggio in
treno, della durata però variabile e non immediatamente percepibile. 2046
è anche il numero di una stanza d’albergo, quella in cui Chow Mo-Wan,
giornalista indipendente oltre che scrittore di romanzetti erotici per
guadagnarsi da vivere, ha racchiuso i ricordi di Su Li-Zhen, donna amata e
perduta, solo ipoteticamente dimenticata e cercata in modo inconsapevole e
irriflesso in una condotta apparentemente fredda e superficiale, animata
da incontri con numerose altre donne e da uno stile di vita licenzioso e
intenso. Una trama articolata si dipana dunque attraverso un’affascinante
cornice visiva che alterna immagini di una Hong Kong di bettole, locande e
circoli da gioco a l’Hotel in cui il protagonista ha scelto di risiedere,
nella stanza 2047, nell’impossibilità improvvisa di accedere alla 2046,
successivamente occupata da Bai Ling, futura amante non amata di Mo-Wan,
pur innamorata e bellissima. E a queste si aggiungono le immagini
futuristiche del romanzo, in cui i personaggi ricalcano quelli incontrati
realmente dal suo autore che in qualche modo qui smette di nascondersi e
insegue apertamente il desiderio per Wang Jing Wen, la romantica
incompresa figlia del proprietario dell’albergo, innamorata di un
Giapponese che il padre si ostina a misconoscere. Poeticamente
coinvolgente la scena di questa nell’atto di fumare che, dilatato
attraverso un inevitabilmente gratuito rallentamento del movimento del
braccio, emana echi di stanislavskiana consapevolezza corporea nonché la
sensuale immagine di un desiderio ferito e perciò più forte e sottile. In
questo film ogni figura femminile sembra esprimere una diversa sfumatura
di sofferenza. Quella di Jing Wen appare come viscerale, primordiale e
tragica in tutto ciò che questo termine condivide con l’idea di bellezza.
È una sofferenza ineluttabile in quanto poetica. E dunque estetica. Da qui
la sequenza della sigaretta, osservata di nascosto da Chow Mo-Wan e
riportata nel suo treno immaginario verso il 2046. Sebbene legato al
precedente In the Mood for Love, il film a detta del suo autore non
è un seguito di quello. “In realtà, i personaggi di 2046 devono
sperimentare e affrontare dei sentimenti e dei problemi più profondi e più
sinceri, e ciò ha necessitato un approccio differente per costruirli. Me
ne sono reso conto guardandomi intorno, e osservando alcune persone della
mia cerchia andare dagli incontri alle rotture, e altre incapaci di
afferrare l’amore o di riconquistarlo. Tutto ciò mi ha ispirato”. Il
risultato di questa ispirazione prende la forma di un viaggio, non solo
quello di coloro che si dirigono verso 2046, ma anche quello immobile di
spettatrici e spettatori che, attraverso la ricostruzione di quelli
altrui, rivivono, consapevolmente o no, i propri ricordi, e con essi le
proprie inquietudini, i propri desideri e sogni. |