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Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005

 CULTURA E COSTUME

L’etica del bello e buono
(Serena Grizi) - La commessa digita velocemente lo scontrino del fragrante sapone (cinque centimetri per quattro), costosissimo, che sto comprando: un regalo. So benissimo che nel prezzo astronomico sono inclusi i costi di almeno venti centimetri di scontrino (per un solo acquisto), la busta sgargiante della catena di vendita (una busta enorme in materiale non riciclabile che se fosse per me ne farei a meno, ma è un regalo), gli stipendi di una commessa ogni cinque metri. Il logo della catena significa io sono, ma anche marmellata, melting pot di culture di generi, cose colorate che fanno la felicità, per mezzo secondo, degli under 18 che le regalano e le ricevono. Con un veloce giro in centro verifico la pulizia delle strade, le abbaglianti gallerie, i caffè all’aperto dall’aria finalmente europea, le librerie book-coffee-meeting, e mi riavvio all’auto. Qualche fermata di metro lontano dal centro, ma non è ancora periferia. Accanto al parcheggio, enorme, sempre così da anni, affiancato da vecchie baracchette da mercato povero, alcuni giardinetti restaurati ennesimo pugno nello stomaco. Non che stamattina parcheggiando fossero meno brutti, solo che adesso sulle panchine prima vuote ci stanno sedute delle persone, le uniche che puoi vedere alle tre di pomeriggio se non sei al centro della Capitale: sembrano una donna a ore molto stanca, forse dell’est, un paio di extracomunitari. Si riposano o mangiano il panino di mezzodì in mezzo a chili di immondizia non spazzata da giorni. L’erba ai loro piedi è gialla e malaticcia, accanto alle panchine una strana struttura di ferro completamente ricoperta di scritte inutili…e ancora questa immondizia che prende il sopravvento su tutto imprimendosi nella retina, imbruttendo il resto, penetrando nei pori come polvere fina, appesantendo il contesto già grave di palazzoni grigi a venti piani, giardini mal disegnati e male impiantati, squallore voluto e vissuto.
Dell’etica greca del kalòs kai agaqòs  (bello e buono, eccellente sotto ogni aspetto, canoni estetici perfetti, valore, lealtà, e bontà espressa dall’adesione completa ai valori condivisi e perciò giusti) dai greci stessi attribuita ad atleti ed eroi e forse non completamente condivisibile dall’uomo moderno, abbiamo comunque deciso di sbarazzarci da un pezzo. A parte uno yogurt la cui pubblicità dice che è buono (si mangia e non può essere bello) e fa bene, negli ultimi sessant’anni ci siamo impegnati a fondo a costruire il brutto e perciò cattivo dei casamenti progettati senza occhio al fattore umano (potrebbero raccontarlo coloro che nelle architetture folli di chi si è fatto strada nel mondo, devono poi passarci la vita) ed a convivere con l’immondizia che già per il solo aspetto, non certo attraente, dovrebbe convincerci che non è buona per la nostra salute. Chi può permetterselo si rifugia negli appositi templi dello spendere e del turismo mordi e fuggi dove tutto è pulito e certe volte bello, ma produce per poca attenzione e ancor meno lungimiranza scarti cattivi, brutti e dannosi per la salute. Pacchetti e carte inutili e ingombranti delle quali ci si disfa senza aspettare di arrivare al bidone sono solo la punta di un consumismo (anche della ragione) che non ci fa più guardare alla qualità generale del nostro vivere ed alle strutture dove organizzare il quotidiano. Un esempio sono le scuole dove vivono tutto il giorno i ragazzi: strutture fatiscenti, brutte nel migliore dei casi e non troppo buone per l’educazione e l’esempio civico che dovrebbero dare, e che gli stessi ragazzi distruggono stupidamente come rimando al messaggio ricevuto così sono considerato e così considererò da oggi in poi tutto quello che è bene comune. Per non parlare di strutture ospedaliere pubbliche che dovrebbero essere belle e buone, che a volte non sono né l’uno ne l’altra, a volte buone, ma mai nemmeno per sbaglio belle, e si sa quanto l’ambiente influenzi il benessere psico-fisico di un malato.
Il bello e quindi buono per sua natura intrinseca, che nel nostro caso potrebbe significare sano, ecologico, logico per un nostro futuro meno intossicato e più civile, che non inficia la salute, bello e quindi buono per l’occhio, nella civiltà di un guardare continuamente depresso da immagini di abbandono e voluta sporcizia, non è un concetto estetico effimero destinato a tutto quello che fa copertina e perciò solo vestito, corpo perfetto, patina, ma è premessa del buono che potrebbe verificarsi se vivessimo in mezzo ad un più bello per tutti, più democratico, più popolare, destinato anche a chi non può pagare, a chi non può permettersi fughe da tutto ciò che è pubblico e perciò in pietoso stato di abbandono.

 CULTURA E COSTUME

Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005