L’etica del bello e buono
(Serena Grizi) - La commessa digita velocemente lo scontrino
del fragrante sapone (cinque centimetri per quattro), costosissimo, che
sto comprando: un regalo. So benissimo che nel prezzo astronomico sono
inclusi i costi di almeno venti centimetri di scontrino (per un solo
acquisto), la busta sgargiante della catena di vendita (una busta enorme
in materiale non riciclabile che se fosse per me ne farei a meno, ma è un
regalo), gli stipendi di una commessa ogni cinque metri. Il logo della
catena significa io sono, ma anche marmellata, melting
pot di culture di generi, cose colorate che fanno la felicità, per
mezzo secondo, degli under 18 che le regalano e le ricevono. Con un
veloce giro in centro verifico la pulizia delle strade, le abbaglianti
gallerie, i caffè all’aperto dall’aria finalmente europea, le
librerie book-coffee-meeting, e mi riavvio all’auto. Qualche
fermata di metro lontano dal centro, ma non è ancora periferia. Accanto al
parcheggio, enorme, sempre così da anni, affiancato da vecchie baracchette
da mercato povero, alcuni giardinetti restaurati ennesimo pugno nello
stomaco. Non che stamattina parcheggiando fossero meno brutti, solo che
adesso sulle panchine prima vuote ci stanno sedute delle persone, le
uniche che puoi vedere alle tre di pomeriggio se non sei al centro della
Capitale: sembrano una donna a ore molto stanca, forse dell’est, un paio
di extracomunitari. Si riposano o mangiano il panino di mezzodì in mezzo a
chili di immondizia non spazzata da giorni. L’erba ai loro piedi è gialla
e malaticcia, accanto alle panchine una strana struttura di ferro
completamente ricoperta di scritte inutili…e ancora questa immondizia che
prende il sopravvento su tutto imprimendosi nella retina, imbruttendo il
resto, penetrando nei pori come polvere fina, appesantendo il contesto già
grave di palazzoni grigi a venti piani, giardini mal disegnati e male
impiantati, squallore voluto e vissuto.
Dell’etica greca del kalòs kai agaqòs (bello e buono, eccellente sotto
ogni aspetto, canoni estetici perfetti, valore, lealtà, e bontà espressa
dall’adesione completa ai valori condivisi e perciò giusti) dai greci
stessi attribuita ad atleti ed eroi e forse non completamente
condivisibile dall’uomo moderno, abbiamo comunque deciso di sbarazzarci da
un pezzo. A parte uno yogurt la cui pubblicità dice che è buono
(si mangia e non può essere bello) e fa bene, negli ultimi sessant’anni
ci siamo impegnati a fondo a costruire il brutto e perciò
cattivo dei casamenti progettati senza occhio al fattore umano
(potrebbero raccontarlo coloro che nelle architetture folli di chi si è
fatto strada nel mondo, devono poi passarci la vita) ed a convivere
con l’immondizia che già per il solo aspetto, non certo attraente,
dovrebbe convincerci che non è buona per la nostra salute. Chi può
permetterselo si rifugia negli appositi templi dello spendere e del
turismo mordi e fuggi dove tutto è pulito e certe volte bello, ma produce
per poca attenzione e ancor meno lungimiranza scarti cattivi, brutti e
dannosi per la salute. Pacchetti e carte inutili e ingombranti delle quali
ci si disfa senza aspettare di arrivare al bidone sono solo la punta di un
consumismo (anche della ragione) che non ci fa più guardare alla qualità
generale del nostro vivere ed alle strutture dove organizzare il
quotidiano. Un esempio sono le scuole dove vivono tutto il giorno i
ragazzi: strutture fatiscenti, brutte nel migliore dei casi e non troppo
buone per l’educazione e l’esempio civico che dovrebbero dare, e che gli
stessi ragazzi distruggono stupidamente come rimando al messaggio ricevuto
così sono considerato e così considererò da oggi in poi tutto quello
che è bene comune. Per non parlare di strutture ospedaliere pubbliche
che dovrebbero essere belle e buone, che a volte non sono né l’uno ne
l’altra, a volte buone, ma mai nemmeno per sbaglio belle, e si sa quanto
l’ambiente influenzi il benessere psico-fisico di un malato.
Il bello e quindi buono per sua natura intrinseca, che nel nostro caso
potrebbe significare sano, ecologico, logico per un nostro futuro meno
intossicato e più civile, che non inficia la salute, bello e quindi buono
per l’occhio, nella civiltà di un guardare continuamente depresso da
immagini di abbandono e voluta sporcizia, non è un concetto estetico
effimero destinato a tutto quello che fa copertina e perciò solo
vestito, corpo perfetto, patina, ma è premessa del buono che potrebbe
verificarsi se vivessimo in mezzo ad un più bello per tutti, più
democratico, più popolare, destinato anche a chi non può pagare, a chi non
può permettersi fughe da tutto ciò che è pubblico e perciò in pietoso
stato di abbandono. |