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Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005

 CULTURA E COSTUME

I Mapuche e la Benetton
Caterina Rosolino (catenindenizi@libero.it) - “Noi non diciamo che la terra ci appartiene ma che noi apparteniamo alla terradetto del popolo Mapuche, uno dei popoli nativi d’America.
Il giorno 11/11/2004 all’università “La Sapienza” di Roma, grazie all’associazione “Radici”, si è svolto un convegno che ha visto la partecipazione dei rappresentanti del popolo Mapuche: Mauro, Rosa Nahuelquir e Atilio Curinanco, del loro avvocato Gustavo Manuel Macayo e del professore Colaianni. Prima del dibattito è stato proiettato un video realizzato in Patagonia. Nel video viene ripreso un rito cerimoniale che i Mapuche fanno per ristabilire il contatto tra la terra e il popolo. Questa cerimonia ha un grande significato per la loro cultura, infatti così dice Atilio: “Noi diamo moltissima importanza alla terra. Quando lavoriamo la terra ci sentiamo partecipi della natura, siamo noi stessi un elemento naturale. La terra è legata alla forza dei nostri antenati e non è qualcosa che si può vendere. Tutto appartiene alla terra”. Atilio è un contadino, con lui vive Rosa che ci racconta la sua storia…”In seguito alla chiusura della fabbrica tessile dove lavoravo, la mia famiglia decise di recuperare la terra che non sapeva fosse divenuta della Benetton. Cominciammo a lavorarla. Allora avvenne lo sgombero, fummo cacciati, e venne distrutto ogni cosa: le case, la terra che avevamo lavorato…Il bestiame ci è stato portato via. Hanno persino deviato il corso dei fiumi. Adesso è necessario chiedere il permesso per muoversi, per bere, per pescare”. Chi resiste in quei luoghi, vive e lavora sotto la continua minaccia dello sgombero, i funzionari della provincia del Chubut promettono abitazioni e terreni a basso costo in altre zone. In pochi rifiutano. Infatti dei Mapuche rimasti la maggior parte è dislocata in città. Ma Rosa e Atilio non sono soli nella lotta. Ci sono ad esempio otto poverissime famiglie mapuche che difendono il loro diritto di vivere a Leleque, una minuscola stazione ferroviaria in disuso lungo il percorso della “Trochita”, il vecchio espresso della Patagonia argentina. Sono poco meno di dieci ettari di terra, ma le istituzioni della provincia del Chubut, e la Compañia de Tierras (padrona di circa 900 mila ettari di suolo della Patagonia, ed oggi controllata da Edizione Holding, la società madre che è anche la finanziaria del Gruppo Benetton) li ritengono indispensabili ad un progetto di sviluppo turistico commerciale. Il progetto conta di riattivare il percorso della “Trochita” fino ad includere la visita al Museo Leleque, fondato grazie a un investimento Benetton di 800 mila dollari. Tuttavia come spiega il professore Colaianni:”La crisi contro la Benetton è solo l’ultimo anello della catena. L’Argentina infatti si è formata con la distruzione della comunità indigena, e con la conseguente emigrazione degli europei in questi territori. Fino al 1812 l’indio ancora godeva dei suoi diritti. Dopo il 1820 la situazione cambia. Viene organizzata la I campagna punitiva di sterminio dal governatore Rodriguez che si esprime con le seguenti parole: “I popoli civilizzati non possono trarre vantaggi da comunità indios”. Al 1875 risale la campagna “Sanca della pampa”. Nel 1883, in seguito alla cacciata degli indios, il presidente Roca dichiarerà che l’onda dei barbari, che aveva “invaso” i territori pampa e che costringeva le altre genti nelle terre ristrette del Buenos Aires, è stata sconfitta. Nel 1885 si legge su di un quotidiano del Buenos Aires: “All’estero si saprà con giubilo che non ci sono più indigeni, quindi i bianchi possono venire qui tranquilli”. In seguito all’ultima campagna di sterminio lo stato argentino aggregò la Patagonia, e cominciò la vendita di terre. Tuttavia nessuno, secondo la legge, poteva appropriarsi di più di una certa quantità di terra. Ma “echa la ley, echa la trampa”. Fu così che una società inglese s’impossessò di un territorio di gran lunga più esteso del dovuto…”. Nel 1889 i latifondisti inglesi costituirono una Compagnia a Londra, consorziando i loro possedimenti, già oltre 700 mila ettari di terra, poi aprirono una sede a Buenos Aires e scelsero il nome di The Argentine Southern Land Company Limited. Questa restò inglese fino al 1982, quando divenne argentina. Nove anni più tardi fu comprata da Edizione Holding, famiglia finanziaria del gruppo Benetton. Attualmente i Mapuche resistono all’usurpazione delle terre, la loro battaglia dunque è la prosecuzione di antiche lotte contro un invasore che ha cambiato volto nel corso dei secoli. Queste hanno avuto anche esiti positivi. Ricorre proprio a due anni fa una grande vittoria che i Mapuche hanno ottenuto nei confronti del progetto per lo sfruttamento di una miniera d’oro. È accaduto il 25 marzo 2003. Una notizia che aveva immediatamente varcato i confini nazionali e fatto scalpore nelle Borse di tutto il mondo. In un referendum cittadino, l’81% degli abitanti di Esquel aveva rifiutato il progetto della miniera d’oro El Desquite così il progetto viene sospeso. La società mineraria Meridian Gold aveva comprato, dalla inglese Bancote Holdings, la miniera di El Desquite, situata a soli sette chilometri dalla città, per un miliardo e 400 milioni di dollari. La dinamite avrebbe dovuto cominciare a devastare le meravigliose montagne della Cordillera argentina dal gennaio del 2003: due esplosioni al giorno per 10 anni. Il progetto serviva ad estrarre la “barra dorée”, una lega di oro e argento. In 10 anni, le entrate stimate per lo stato sarebbero state di 9 milioni di dollari, quelle della Meridian Gold di 189. Inoltre dei 400 posti di lavoro promessi dalla Meridian, soltanto 293 erano destinati “temporaneamente” agli abitanti di Esquel. Un po’ pochini per giustificare le 6 tonnellate di cianuro al giorno che avrebbero devastato i boschi millenari di “lenga” e “ñire” (due dei molti alberi patagonici che non esistono in altri luoghi del pianeta), e le purissime acque. L’avvelenamento da cianuro poi non è uno scherzo: per uccidere un uomo ne basta una quantità grande come un chicco di riso! “La resistenza di un paese ferma lo sviluppo minerario”, titolarono esterrefatti i giornali statunitensi. Un pugno di paesani aveva sconfitto uno dei maggiori colossi minerari del mondo. Alla fine del convegno gli indios hanno ringraziato calorosamente l’associazione italiana “Radici” che ha consentito loro di venire in Italia a rendere nota questa storia. Anche noi ringraziamo loro e l’associazione italiana, che ci ha permesso di conoscere in parte la magia di questo popolo dall’immensa spiritualità.

 CULTURA E COSTUME

Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005