I Mapuche e la Benetton
Caterina Rosolino (catenindenizi@libero.it) - “Noi non
diciamo che la terra ci appartiene ma che noi apparteniamo alla terra”
detto
del popolo Mapuche, uno dei popoli nativi d’America.
Il giorno 11/11/2004 all’università “La Sapienza” di Roma, grazie
all’associazione “Radici”, si è svolto un convegno che ha visto la
partecipazione dei rappresentanti del popolo Mapuche: Mauro, Rosa
Nahuelquir e Atilio Curinanco, del loro avvocato Gustavo Manuel Macayo e
del professore Colaianni. Prima del dibattito è stato proiettato un video
realizzato in Patagonia. Nel video viene ripreso un rito cerimoniale che i
Mapuche fanno per ristabilire il contatto tra la terra e il popolo. Questa
cerimonia ha un grande significato per la loro cultura, infatti così dice
Atilio: “Noi diamo moltissima importanza alla terra. Quando lavoriamo la
terra ci sentiamo partecipi della natura, siamo noi stessi un elemento
naturale. La terra è legata alla forza dei nostri antenati e non è
qualcosa che si può vendere. Tutto appartiene alla terra”. Atilio è un
contadino, con lui vive Rosa che ci racconta la sua storia…”In seguito
alla chiusura della fabbrica tessile dove lavoravo, la mia famiglia decise
di recuperare la terra che non sapeva fosse divenuta della Benetton.
Cominciammo a lavorarla. Allora avvenne lo sgombero, fummo cacciati, e
venne distrutto ogni cosa: le case, la terra che avevamo lavorato…Il
bestiame ci è stato portato via. Hanno persino deviato il corso dei fiumi.
Adesso è necessario chiedere il permesso per muoversi, per bere, per
pescare”. Chi resiste in quei luoghi, vive e lavora sotto la continua
minaccia dello sgombero, i funzionari della provincia del Chubut
promettono abitazioni e terreni a basso costo in altre zone. In pochi
rifiutano. Infatti dei Mapuche rimasti la maggior parte è dislocata in
città. Ma Rosa e Atilio non sono soli nella lotta. Ci sono ad esempio otto
poverissime famiglie mapuche che difendono il loro diritto di vivere a
Leleque, una minuscola stazione ferroviaria in disuso lungo il
percorso della “Trochita”, il vecchio espresso della Patagonia argentina.
Sono poco meno di dieci ettari di terra, ma le istituzioni della provincia
del Chubut, e la Compañia de Tierras (padrona di circa 900 mila ettari di
suolo della Patagonia, ed oggi controllata da Edizione Holding, la società
madre che è anche la finanziaria del Gruppo Benetton) li ritengono
indispensabili ad un progetto di sviluppo turistico commerciale. Il
progetto conta di riattivare il percorso della “Trochita” fino ad
includere la visita al Museo Leleque, fondato grazie a un investimento
Benetton di 800 mila dollari. Tuttavia come spiega il professore Colaianni:”La
crisi contro la Benetton è solo l’ultimo anello della catena. L’Argentina
infatti si è formata con la distruzione della comunità indigena, e con la
conseguente emigrazione degli europei in questi territori. Fino al 1812
l’indio ancora godeva dei suoi diritti. Dopo il 1820 la situazione cambia.
Viene organizzata la I campagna punitiva di sterminio dal governatore
Rodriguez che si esprime con le seguenti parole: “I popoli civilizzati non
possono trarre vantaggi da comunità indios”. Al 1875 risale la campagna
“Sanca della pampa”. Nel 1883, in seguito alla cacciata degli indios, il
presidente Roca dichiarerà che l’onda dei barbari, che aveva “invaso” i
territori pampa e che costringeva le altre genti nelle terre ristrette del
Buenos Aires, è stata sconfitta. Nel 1885 si legge su di un quotidiano del
Buenos Aires: “All’estero si saprà con giubilo che non ci sono più
indigeni, quindi i bianchi possono venire qui tranquilli”. In seguito
all’ultima campagna di sterminio lo stato argentino aggregò la Patagonia,
e cominciò la vendita di terre. Tuttavia nessuno, secondo la legge, poteva
appropriarsi di più di una certa quantità di terra. Ma “echa la ley, echa
la trampa”. Fu così che una società inglese s’impossessò di un territorio
di gran lunga più esteso del dovuto…”. Nel 1889 i latifondisti inglesi
costituirono una Compagnia a Londra, consorziando i loro possedimenti, già
oltre 700 mila ettari di terra, poi aprirono una sede a Buenos Aires e
scelsero il nome di The Argentine Southern Land Company Limited. Questa
restò inglese fino al 1982, quando divenne argentina. Nove anni più tardi
fu comprata da Edizione Holding, famiglia finanziaria del gruppo Benetton.
Attualmente i Mapuche resistono all’usurpazione delle terre, la loro
battaglia dunque è la prosecuzione di antiche lotte contro un invasore che
ha cambiato volto nel corso dei secoli. Queste hanno avuto anche esiti
positivi. Ricorre proprio a due anni fa una grande vittoria che i Mapuche
hanno ottenuto nei confronti del progetto per lo sfruttamento di una
miniera d’oro. È accaduto il 25 marzo 2003. Una notizia che aveva
immediatamente varcato i confini nazionali e fatto scalpore nelle Borse di
tutto il mondo. In un referendum cittadino, l’81% degli abitanti di Esquel
aveva rifiutato il progetto della miniera d’oro El Desquite così il
progetto viene sospeso. La società mineraria Meridian Gold aveva comprato,
dalla inglese Bancote Holdings, la miniera di El Desquite, situata a soli
sette chilometri dalla città, per un miliardo e 400 milioni di dollari. La
dinamite avrebbe dovuto cominciare a devastare le meravigliose montagne
della Cordillera argentina dal gennaio del 2003: due esplosioni al giorno
per 10 anni. Il progetto serviva ad estrarre la “barra dorée”, una lega di
oro e argento. In 10 anni, le entrate stimate per lo stato sarebbero state
di 9 milioni di dollari, quelle della Meridian Gold di 189. Inoltre dei
400 posti di lavoro promessi dalla Meridian, soltanto 293 erano destinati
“temporaneamente” agli abitanti di Esquel. Un po’ pochini per giustificare
le 6 tonnellate di cianuro al giorno che avrebbero devastato i boschi
millenari di “lenga” e “ñire” (due dei molti alberi patagonici che non
esistono in altri luoghi del pianeta), e le purissime acque.
L’avvelenamento da cianuro poi non è uno scherzo: per uccidere un uomo ne
basta una quantità grande come un chicco di riso! “La resistenza di un
paese ferma lo sviluppo minerario”, titolarono esterrefatti i giornali
statunitensi. Un pugno di paesani aveva sconfitto uno dei maggiori colossi
minerari del mondo. Alla fine del convegno gli indios hanno ringraziato
calorosamente l’associazione italiana “Radici” che ha consentito loro di
venire in Italia a rendere nota questa storia. Anche noi ringraziamo loro
e l’associazione italiana, che ci ha permesso di conoscere in parte la
magia di questo popolo dall’immensa spiritualità. |