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Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005

 LETTURE

La poesia e le donne: Saffo
(Antonietta Chiariello) - Certamente è difficile nella nostra cultura occidentale trovare molte poetesse, soprattutto nella storia passata. La prima di cui abbiamo notizia è “Saffo divina, dal dolce sorriso, dal crine di viola” (Alceo), “Saffo la bella”, (Platone), che nacque nell’isola di Lesbo, a Mitilene, da nobile famiglia tra la fine del 600 e l’inizio del 500 a.C.; fu una donna colta, impegnata attivamente anche in politica, tanto che lottò per il suo partito aristocratico, contro i capi del partito democratico, divenuti “tiranni” della città: per le sue idee subì l’esilio e visse vari anni in Sicilia finché poté rientrare in patria dove trascorse il resto della sua vita. Si sposò ed ebbe anche una figlia, a cui diede il nome della madre, Cleide “bella come fiori d’oro”.
Saffo visse circondata da un “tiaso” di fanciulle, una specie di collegio femminile d’alta classe, la cui ragione di esistere era “l’amore”. Per questo forse Saffo oggi è nota più per l”amore lesbico” (dovuto forse ad una errata interpretazione) che per i suoi meriti letterari. Nel tiaso si praticava la poesia, la musica e la danza; le fanciulle si trastullavano cogliendo fiori, adornandosi di ghirlande, ungendosi di profumi, danzando e cantando, soprattutto l’amore. Era una vita raffinata, anche lussuosa e sofisticata; ma lasciamo che questa poetessa di 2.500 anni fa parli con i suoi versi, ancora oggi così ardenti e leggeri. “Io amo la raffinatezza. Quale contadina ti ammalia la mente, che non sa portar la veste sopra le caviglie?” Nelle sue poesie spesso ci parla di vesti, di gioielli, di ornamenti; per lei è un’imperdonabile colpa vestire una tunica con poca eleganza, ma non si pensi che il suo era un mondo frivolo: al contrario, la raffinatezza di Saffo è soprattutto spirituale: “Altri dice che sulla terra nera la cosa migliore sia un esercito di cavalieri, altri di fanti, altri una flotta di navi; io dico che la cosa migliore è ciò che si ama”. L’amore nelle sue poesie è cantato con dolcezza e spregiudicatezza, come passione ardente, come gelosia, come dolore.
Una scena di separazione: “Vorrei proprio esser morta! Ma va, sii felice e ricordati di me; tu sai quanto t’ho amato. Ma se non lo sai, voglio ricordarti io di quante cose belle abbiamo gioito insieme”.  L’amore a volte è amaro e tempestoso: “Eros che scioglie le membra di nuovo mi agita, fiera invincibile dolce-amara”.
 Il contrasto dolcezza - amarezza torna nell’ode più famosa di Saffo, l’ode alla gelosia: “Quell’uomo mi pare simile agli dei, che ti siede di fronte e da presso t’ascolta dolcemente parlare e ridere amorosamente. Questo mi fa tremare il cuore nel petto. Come ti vedo, non mi viene più la voce, ma la lingua mi si spezza, subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle, e non vedo più con gli occhi, e mi rombano gli orecchi, e il sudore gocciola, e un tremore mi prende tutta, e io divento più verde dell’erba, e appaio poco lontana da morte…
L’ode fu tradotta da Catullo, da Foscolo e da molti altri poeti, ma nessuno è riuscito a raggiungere l’intensità di sentimenti di Saffo, che pure è capace anche di espressioni dolcissime: “Espero, tutte le cose tu riporti, quante ne ha disperse l’Aurora: riporti la pecora, riporti la capra, riporti il figlio alla madre”…riporta anche il mio amore, vorrebbe dire la poetessa. Sentimenti di una donna che seppe distinguersi ed affermarsi in una società, quella greca classica, di 2.500 anni fa.

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Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005