Il
Castello di Porto
(Tania Simonetti-Marco Cacciotti ) - Ubicato in località Porto,
sul lato sinistro della via Portuense, procedendo
da Roma verso il litorale, l’episcopio di Porto, più noto come Castello
di Porto, è l’unico complesso edilizio che, grazie ai numerosi
interventi di restauro e di ristrutturazione che si sono succeduti nel
corso dei secoli, è possibile ammirare nella sua imponente magnificenza.
Si offre agli occhi dei visitatori nel suo caratteristico aspetto di borgo
di origine medievale, con una cinta muraria ancora integra ed il portale
di accesso ben conservato (dove è possibile distinguere le insegne di
papa Sisto IV), il quale apre sulla corte, dove sorge la chiesa dei Santi
Ippolito e Lucia. Nessuna testimonianza riguardante la dignità di sede
episcopale di questo incantevole borgo medioevale, si riscontra prima del
XV secolo. Il Castello medioevale fu fatto costruire dall’imperatore
Claudio ed ampliato da Traiano. Ricordato per la prima volta in un
documento di donazione dell’anno 983 con il nome di rocca, l’attuale
episcopio ebbe inizialmente funzione di castrum, cioè di insediamento
fortificato, cinto da mura difensive e dotato di rocca, alcune citazioni
confermano che si trattasse di un castello, come risulta dalla bolla
emessa da papa Benedetto VIII nel 1018 allo scopo di confermare alla
Chiesa il possesso di alcuni beni nel territorio di Porto: nel testo si
ricorda un Castello nella parte antica della città, e un episcopio con
vigne e orti al di fuori della città stessa, presso Sant’ Ippolito,
dove evidentemente rimanevano ancora le strutture dell’antica sede
vescovile, che lì era rimasta fino al suo spostamento all’Isola
Tiberina nel IX secolo. La rocca medioevale costitituisce probabilmente il
nucleo dell’odierno complesso e attorno ad essa si raccolse nel corso
del XII secolo l’esigua popolazione rimasta nella zona. L’aspetto
dell’insediamento, però cambiò ben presto con il sopravvento della
famiglia romana degli Stefaneschi, che diede il via alla costruzione di un
complesso residenziale, non modificando tuttavia la funzione di
roccaforte, che allora diventò un vero e proprio castello fortificato.
Solo intorno alla metà del XV secolo, terminato il dominio dell’antica
famiglia patrizia, la proprietà tornerà alla Chiesa e nel 1463 papa Pio
II Piccolomini verrà ricevuto dal Vescovo di Porto, il Cardinal Juan de
Carvajal, proprio nel Castello ormai in abbandono: dalle descrizioni della
visita pontificia, si apprende infatti che il cardinale, non potendo
ospitare il papa nel palazzo, approntò dei ripari temporanei tra le
rovine. La situazione dovette però in breve tempo migliorare e pochi anni
dopo papa Sisto IV sarà invece sontuosamente accolto a Porto dal nuovo
vescovo Rodrigo Borgia, il futuro Alessandro VI, i cui stemmi posti sulle
mura e sulle porte del cosiddetto episcopio testimoniano i suoi interventi
di ripristino al complesso che, dotato probabilmente proprio in questo
periodo anche della chiesa di Santa Lucia (che dal 1990 ha ufficialmente
la doppia intitolazione a Santa Lucia e Sant’ Ippolito), divenne una
sede episcopale fortificata. La chiesa ha infatti rivestito, a partire da
un momento imprecisabile e fino al 1960, il ruolo di cattedrale di Porto,
ma il palazzo, destinato ad essere sede di una diocesi la cui titolarità
apparteneva ad un cardinale (vescovo importante della Curia Romana)
impegnato e quindi lontano dal territorio di sua competenza, era in genere
abitato dai suoi vicari. Il complesso ricorda ben poco la sua origine
medioevale, la chiesetta, con le sue proporzioni rinascimentali, è frutto
del rifacimento tardo cinquecentesco voluto dal cardinale Fulvio Corneo.
Nella sua posizione appartata, circondata da ampi spiazzi all’interno
della cinta muraria di origine medioevale quasi completamente rifatta,
immersa in un silenzio accompagnato dal discreto fluire del fiume, è la
cornice ideale di molti matrimoni. Il Castello di Porto dal 1932 è sede
parrocchiale, e dal 1933 ospita la Congregazione dei Figli di Maria.
Bibliografia: (Istituto Italiano Castelli Lazio- www.castit.it- Rendina
–Bonechi- Bonaventura )
Precisazioni sui possedimenti
tuscolani
(Claudio Comandini) - Se la Roma medievale è un “fantasma
inafferrabile” (Mario Sanfilippo), Tuscolo ne
è l’anima, tanto viva ai suoi tempi quanto dimenticata oggi: metterne
in luce ruoli e vicende può quindi in qualche modo dare voce al
“fantasma”, fantasma dal quale peraltro si formano istituzioni e
concetti che ancora caratterizzano il nostro stesso mondo. Inoltre la
storia dei luoghi, al di là di ogni retorico “localismo”, può
offrire dettagli che nella loro concretezza sono ampiamente chiarificatori
dei processi collettivi: soprattutto rispetto alla struttura feudale,
“trionfo della dispersione locale dei poteri” (Jacques le Goff). Ora,
quello che ci rimane di Tuscolo è pressappoco questo: siti cancellati,
resti dispersi, dati carenti e fonti manipolate. Se l’accanimento
distruttivo è stato notevole e anche protratto nel tempo in modo costante
(il saccheggio arriva fino ad oggi), sostanzialmente insignificante sembra
la tutela che si è espressa nel tempo (nonostante alcuni recenti e
decisivi impegni, come un’ancora irrisorio per quanto elegante Museo
Tuscolano a Frascati, e gli scavi archeologici nell’area, curati
dall’Accademia Spagnola e quindi in qualche modo espressione di
interessi “deterritorializzati”). Inoltre si può tranquillamente
affermare che i cronisti dell’epoca (ad esempio Pier Damiani e Rodolfo
il Glabro, e prima ancora Liutprando da Cemona) non erano lontani dal
gossip giornalistico odierno, tanto vincolanti erano gli interessi da cui
dipendevano e tanto esagerati, e spesso grotteschi, i toni che usavano per
raccontare le loro storie. Quello che ancora oggi riusciamo a vedere del
paesaggio perduto di Tuscolo è quindi strappato alla polvere: non sono
tanto i resti a portarci testimonianze, quanto ciò che è andato
distrutto. Riguardo i possedimenti tuscolani nei secoli XI e XII, periodo
in cui alla potenza dei Conti di Tuscolo segue il loro declino e la
definitiva distruzione della città, i riferimenti già forniti
(Controluce 9/XII) necessitano, per quanto possibile, approfondimenti e
precisazioni. Sulla collina al centro della Valle Latina, la rocca e la
città dell’antica Tusculum sono ben difese dalla cinta muraria. Le
ville patrizie prevalgono sul versante nord-ovest (Frascati) e la suburra
si sviluppa verso sud (Grottaferrata), mentre verso est l’Algido (Rocca
Priora) è popolato dalle chiese e dai monasteri di s. Aurea, s. Nicola,
s. Biagio, (proprietà dell’Abbazia dei monaci Basiliani di s. Nilo),
con anche la chiesa di s. Michele Arcangelo, e l’antico convento di s.
Agata fondato da Giovanni di Cappadocia (poi castello della Molara, e oggi
Castellaccio). I Conti di Tuscolo hanno inoltre feudi e castelli nei
territori degli attuali comuni di Frascati, Grottaferrata, Monteporzio,
Montecompatri, Colonna, Rocca Priora, Rocca di Papa (che compongono ancora
oggi la diocesi tuscolana, già di Labico Quintanense), con propaggini che
coinvolgono le zone di Marino, Castel Gandolfo, Albano (civitas
Albaniensis, che ha un suo episcopato), Ariccia, Genzano, Nemi, Lanuvio,
Artena, Lariano, Velletri (Velitris, che ha un suo episcopato), Zagarolo e
Gallicano. Il territorio, costituito dai residui del vulcano laziale, ha
una sua naturale continuità geografica, e si muove fra dolci colline e
piccoli laghi, su cui spicca con i suoi boschi la mole del mons Albanum o
Cabuum (monte Cavo). I suoi prolungamenti seguono la via Labicana
(grossomodo parallela all’attuale Casilina, e importante direttrice
delle basiliche cristiane), la via Tuscolana (che rappresenta una strada
minore), la via Latina (parzialmente l’attuale Anagnina, strada decisiva
nei traffici verso il sud), e la via Appia antica (la via sacra dei Romani
antichi); le strade sono difese da diverse torri, attualmente in rovina.
Andando verso Roma, sulla via Labicana possono esser attribuite ai Conti
di Tuscolo le fortificazione di Torre Gaia (antica stazione ad duos lauros,
presso Grotte Celoni), le Due Torri di Caminetti (presso colle Carcariola,
dopo lo snodo verso Tuscolo), Torre Maura (antica chiesa di s. Maura
all’incrocio dello svincolo che ricongiunge con la Via Latina), e forse
Tor Vergata (ora scomparsa) e la Torre di Centocelle (già Torre di s.
Giovanni, sulla via Palmiro Togliatti), mentre Torrenova apparteneva (con
diverso nome) ai rivali Crescenzi (sarà poi dei Cenci e poi degli
Aldobrandini); dalla parte opposta, Torre Jacova (dei Colonna, presso
Colonna) non esisteva ancora. Invece, sulla via Tuscolana, che si
congiunge alla via Latina (all’altezza del Raccordo Anulare), i Conti
possiedono il monastero fortificato detto di Hierusalem (ora Torrione
Micara, presunto sepolcro di Lucullo) e altre fortificazioni presso la
Torre dei ss. Quattro e Tor di Mezza Via (con costruzioni più antiche
delle attuali). Sulla via Latina hanno il Torraccio della Marrana (ora
lungo la ferrovia di Frascati), il castello di Borghetto (Castel Savelli)
e la valle Marciana. La via Appia (antica) è controllata dalla
fortificata villa dei Quintili, dal “castello” di Cecilia Metella, e
si congiunge alla via Latina con la valle della Caffarella.
A Roma, di cui i Conti di Tuscolo si definiscono Consoli e Senatori, e
dove hanno controllato strettamente l’istituzione del papato e le
cariche cittadine, sono attestate (seppur non tutte nello stesso periodo)
proprietà come il palazzo di via Lata (ss. Apostoli, già casa di
famiglia degli Anici, poi abitazione di Teofilatto, poi palazzo Colonna),
il palazzo sull’Aventino (s. Maria del Priorato, già casa di Marozia e
Alberico, donato ai Benedettini cluniacensi, passerà poi ai Templari), e
zone come il circo di Massenzio e la tomba di Romolo, ed anche Silva
Candida (via Aurelia) e Porto (Fiumicino), mentre è ipotizzabile che
venisse già utilizzato anche il sito della Torre dei Conti (già occupato
dal Templum Telluris), edificata inizialmente verso il 867 da Niccolo I
(probabilmente della gens Anicia, e forse antenato dei Conti di Tuscolo,
comunque vicino alla loro estrazione) e poi completata da Innocenzo III
(dei Conti di Segni, nato a Gavignano, già dal 1153 feudo di Giordano dei
Conti di Tuscolo, e quindi loro discendente diretto).
La potente casa baronale ha nel periodo del suo acme la proprietà anche
di zone costiere (Gregorio I è prefecto navalis) come Nettuno, Torre
Astura e Terracina (questa sulla via Latina), inoltre fra i monti Lepini e
la palude Pontina possiede Ninfa e Norma (l’una al mezzo e l’altra
alla fine delle loro vicende), la sua influenza si estende a zone della
Tuscia come Galeria (via Clodia) Mazzano (valle del Treja), Celleno (sotto
Viterbo, presso il lago di Bolsena) e Vico (presso il lago omonimo,
successivamente distrutta dal papato), nella Sabina ha come alleata la
filoimperiale abbazia di Farfa, e al sud ha rapporti di parentela con il
duca di origine longobarda Gaumario di Salerno. I Conti di Tuscolo hanno
come congiunti e discendenti più diretti i Conti di Galeria, i Conti di
Segni, i Prefetti di Vico, i Monticelli da Tivoli, i Colonna, gli
Annibaldi e i Frangipane, e hanno inoltre intrecci dinastici con
discendenti dei carolingi (il papa Giovanni XIIl è figlio di Alberico II
e di Alda, figlia di Ugo di Provenza), poi con la casa di Franconia (il
conte Tolomeo II sposa una figlia naturale dell’imperatore Enrico V), e
relazioni politiche con gli Ottoni (gli stretti e controversi rapporti fra
Ottone I e Giovanni XII, e fra Ottone III e Gregorio I). Negli anni
intorno al 1000 i Conti hanno anche amministrato, poi sostituiti dai loro
rivali Crescenzi (che dal canto loro controllano Palestrina, Praeneste),
l’ampio territorio di Tivoli (Tibur), sede vescovile e ducato autonomo,
che spoliata di beni a favore dei Benedettini di Subiaco, arriva a
diventare filoimperiale per difendersi contro Roma.
Le vicende di Tivoli rappresentano un parallelo piuttosto interessante a
quelle di Tuscolo, ed un altro elemento di decodifica della storia
“nascosta” di Roma, che riguarda non tanto i “monumenti” del
centro storico e la straordinaria capacità di assimilazione e di
ospitalità che l’Urbe testimonia nel carattere composito dell’epoca
dei Re e dell’Impero, quanto la spietata pretesa di dominazione e la
rigida impostazione militare e fiscale, a cui si collega la sistematica
distruzione delle città ribelli, già dal Gregorovius messa in evidenza
come azione tipica sia della fase dell’antica Repubblica romana che del
Comune medioevale. E infatti della Tuscolo un tempo potente oggi non ne
resta più traccia. |