Mola
e il suo tempo. Pittura di figura dalla
collezione Koelliker
Ariccia, Palazzo Chigi, 22 Gennaio - 23 Aprile
(Valentina Leone) - Oltre a definire l’assetto urbanistico
della cittadina, e a progettare
la chiesa di S. Maria
dell’Annunziata, Gian Lorenzo Bernini, su commissione di Papa Alessandro
VII, al secolo Fabio Chigi (1655-1667), si occupò negli anni ’60 del
1600 anche della ristrutturazione e dell’ampliamento del palazzo che la
famiglia Savelli aveva innalzato nel tardo cinquecento e poi venduto nel
1661 ad Agostino Chigi, nipote del Papa. Con la collaborazione del giovane
allievo Carlo Fontana egli trasformò l’antico palazzo-castello in una
fastosa dimora barocca, ideando una particolare struttura, sintesi fra il
modello a “U” delle ville romane e quello a blocco rettangolare con
torri angolari dei castelli francesi dell’Ile de France, adottando per
la superficie esterna il “colore dell’aria”, una tonalità grigio
azzurrina, variabile in relazione alle condizioni atmosferiche, al fine di
conferire all’insieme un aspetto il più possibile leggiadro e delicato.
Si tratta di una delle pochissime dimore barocche europee rimaste
sostanzialmente intatte nell’arredamento originario: conserva rari
mobili del Seicento come la Farmacia di Carlo Fontana, le bellissime
consolle di Bernini, numerosi mobili realizzati dall’intagliatore
Antonio Chiari, i parati in cuoio stampato di “Cordova” oltre a una
vasta collezione di stoffe e vestiti d’epoca. La raccolta di opere
d’arte è molto ricca: tra i dipinti capolavori del Baciccio, di Carlo
Maratta, di Pierfrancesco Mola, del Cavalier d’Arpino, di Salvator Rosa,
di Jacob Ferdinand Voet, di Giovanni Maria Morandi, fra le sculture opere
di artisti di ambito berniniano come Melchiorre Caffà, Giuseppe Mazzuoli,
Bernando Fioriti, Orfeo Borselli, tra le decorazioni murarie la celebre
sanguigna del Bernini con San Giuseppe con il Bambino, oltre ai bellissimi
affreschi del Tempesta e ai cicli neoclassici di Giuseppe Cades, Liborio
Coccetti, Felice Giani e Giovanni Campovecchio.
Il palazzo è stato venduto al Comune di Ariccia dal Principe Agostino
Chigi Albani nel 1988, e dopo lunghi lavori di restauro è stato riaperto
al pubblico nel 1999; oggi è possibile visitare sia il piano terra che il
piano nobile del palazzo, anche in occasione delle interessanti mostre
temporanee che qui vengono svolte. In particolare la mostra in oggetto
riguarda Piefrancesco Mola e le più importanti personalità ad esso
collegate nel contesto romano fra gli anni ’40 e gli anni ’60 del
1600, e presenta una ricca serie di tele di proprietà del mecenate
milanese Luigi Koelliker, proprietario di una delle più imponenti
collezioni private italiane di recente formazione, la quale comprende una
gran quantità di dipinti, soprattutto del 1600, sculture, mobili,
strumenti antichi e oggetti da wunderkammer. La presenza di un cospicuo
numero di opere del Mola nella raccolta ha fornito l’idea di incentrare
la mostra sull’artista, italo-svizzero proprio come il collezionista, e
sulle personalità che per diverse motivazioni possono essere relazionate
a questo, includendo sia opere di artisti molto noti, sia opere di artisti
solo recentemente riscoperti e studiati, proposte ora alla considerazione
del pubblico e degli esperti, fra i quali sono stati coinvolti i più
autorevoli studiosi del Seicento romano.Si tratta di un gruppo di opere
abbastanza omogeneo, che vede come protagonista la pittura di figura e in
particolare il ritratto, genere molto amato e ricercato sia dal
collezionista, che dal curatore dell’evento Francesco Petrucci.
Risulta
piuttosto complessa figura centrale di PierFrancesco Mola pittore,
frescante, e produttivo disegnatore, nato a Coldrerio in Svizzera nel 1612
e morto a Roma prematuramente nel 1666. «Fra i bravi professori…forse
niuno è stato com’egli generosamente riconosciuto, e nobilmente
trattato da’ sovrani», racconta Lione Pascoli nella biografia che
scrisse del Mola, testimoniando la fama e il consenso guadagnati dal
pittore dalla fine del pontificato di Innocenzo X e in particolare sotto
quello di Alessandro VII, culminati nell’elezione a principe
dell’Accademia di S. Luca nel 1662, ma altrove, anche nella biografia
che scrisse di lui Giovan Battista Passeri,
leggiamo di un artista tendenzialmente insoddisfatto, ansioso di
dimostrare il proprio talento in ogni genere pittorico, spesso escluso, e
in un caso abbastanza grave anche vittima di incomprensioni con i
committenti. Egli non potè mai del tutto integrarsi nella Roma Barocca e
classicista, poiché cercò di combinare le istanze pittoriche in voga a
Roma con le suggestioni emiliane e venete della sua eclettica cultura
figurativa, avvicinò tutte le tendenze radicatesi nella capitale senza
farne esclusivamente propria nessuna: partecipò con una voce originale e
personale alla formulazione di un nuovo stile pittorico contro il rischio
di esclusivismo della maniera pittorica al tempo trionfante. Giunto a Roma
nel 1616 iniziò la sua formazione presso la bottega del Cavalier d’Arpino,
ma le prime influenze stilistiche significative le ricevette dalla
corrente neoveneta che si sviluppava a Roma già dagli anni ’20:
l’amore per il colorismo dei maestri veneti del ‘500 lo spinse ad un
lungo viaggio di studio e ricerca, che lo portò a Bologna, dove lavorò
per l’Albani e a Venezia, dove fece un significativo periodo di
esperienza presso la bottega del Guercino.
Fatta eccezione per alcuni capolavori come il bellissimo affresco nella
Galleria di Alessandro VII al Quirinale con
Giuseppe riconosciuto dai fratelli, che consacrò pubblicamente
l’artista fra il 1656 e il 1657, fu nell’ambito della pittura di
figura e di paesaggio che egli realizzò le opere più riuscite della sua
produzione, quelle che fecero grande la sua fortuna presso la committenza.
Libero dall’impaccio che gli provocava affrontare superfici su larga
scala, fu in questo tipo di composizioni che egli potè mostrare il vero
segno distintivo della sua arte, che consisteva nell’uso innovativo del
colore, nella sensibilità tutta veneziana e neo-guercinesca meglio
esprimibile negli impasti sulle tele dipinte a olio che sulle levigate
superfici murarie. Raggiunse i massimi vertici della sua arte nelle
liriche figure isolate di filosofi, poeti, soggetti biblici, anacoreti e
personaggi di foggia orientale, tutti soggetti congeniali ad un
temperamento personale profondamente intimista, da caratterizzare con un
vivissimo pittoricismo, in modo così riuscito da farne modelli per
generazioni di allievi e imitatori.
Dopo il carismatico Guerriero Orientale del Louvre, spicca come vero
capolavoro fra le “mezze figure” del Mola il Dio Padre Onnipotente
(fig.1), eletto ad emblema della mostra per la sua inquietante forza
espressiva, resa dai connotati fortemente realistici. Cara al suo
immaginario fu anche la misteriosa figura di Omero, che nell’inedita
tela in mostra egli rappresenta focalizzando l’attenzione sul solo volto
che emerge solennemente dal fondo scuro, con gli occhi chiusi sia in segno
di cecità sia per evidenziare lo stato di profonda meditazione.
Influenzato dal Guercino egli diede al colore un impasto
ricco, un modellato morbido reso da una pennellata fluida e
sull’esempio di questi egli sovraccaricò di colore alcune tele dove la
figura si costruisce tramite i guizzi chiari dei colpetti di pennello e i
loro effetti luminescenti: ne sia esempio l’inedita Testa di vecchio,
resa in alcune parti con rapidi segni lineari condotti velocemente col
pennello a setole larghe, quasi lasciate allo stato di abbozzo, secondo
l’inclinazione, caratteristica dell’ultima fase della sua carriera, ad
un pittoricismo sempre più libero che la vicinanza del Bernini e la
conoscenza della ritrattistica del suo ambito poteva suggerirgli.
Campo frequentemente praticato dal Mola fu anche quello dei soggetti
mitologici, di cui è un esempio l’Endimione (fig.2), da confrontare con
quello conservato alla Pinacoteca Capitolina: il soggetto, congeniale allo
spirito fondamentalmente romantico dell’artista, è immerso nella luce
argentea di un paesaggio condotto sbrigativamente quasi a macchia tipico
delle sue opere, e l’attenzione maggiore al disegno costruttivo visibile
nello scultoreo panneggio del manto rosso, testimonia dell’attenzione
volta dal pittore in fase matura all’ambiente classicista gravitante
attorno all’Accademia di S. Luca. L’ambiente gravitante intorno al
Mola, di cui la mostra vuole e riesce ad evocare un quadro efficace, si
compone dei suoi maestri, degli artisti a lui contemporanei più
significativi che possono essere entrati direttamente o indirettamente in
contatto con lui, nonché dei suoi allievi.
Fra coloro che possono essere considerati i suoi maestri è presente in
mostra il Cavalier d’Arpino, presso il quale Mola fece il suo primo
apprendistato e l’Albani, dal quale egli fu influenzato soprattutto dal
punto di vista della sensibilità paesaggistica.
Come significativi punti di riferimento per l’artista figurano il
ferrarese Guercino, del quale segnalo il bellissimo Ercole e il Bernini,
rappresentato da due originali esempi della sua ritrattistica che molto
colpì il Mola per la materia cromatica stesa così rapidamente e
liberamente e la grande scioltezza nella pennellata. Fra gli artisti a lui
contemporanei più significativi sono inclusi Salvator Rosa e Mattia
Preti.
È presente un gran numeo di ritratti, e fra questi è molto interessante
la serie di Guglielmo Cortese, detto il Borgognone (1628-1679), allievo di
Pietro da Cortona, che subì dal Mola un forte influsso dal punto di vista
soprattutto grafico, e si trovò spesso a lavorare al suo fianco; spiccano
anche il ritratto di Francesca Gommi Maratta, realizzato dal marito Carlo
Maratta, sorprendente per la qualità e la freschezza di esecuzione, e
l’autoritratto del Baciccio, del quale il palazzo Chigi conserva
un’altra versione, appartenente al gruppo di opere donate da Maurizio
Fagiolo dell’Arco.
Rappresentano il gruppo degli allievi del Mola Francesco Giovani e Antonio
Gherardi, del quale figura un
inedito Sansone e Dalila, testimonianza dello stile lirico ma fortemente
realistico che egli ereditò dal Mola, che raggiunge grande potenza
espressiva per il taglio teatrale e la tessitura cromatica ricca e molto
raffinata.
Orario mostra: 10:00-19:00 (biglietteria 9:45-18:30) - Chiuso il lunedì
Biglietti: intero 7 euro, ridotto 4 euro, scolaresche 2 euro.
Segreteria organizzativa: Palazzo Chigi in Ariccia, Piazza di Corte, 14.
Tel.06/9330053 |