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Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005

 I NOSTRI PAESI - pagina 15

Mola e il suo tempo. Pittura di figura dalla collezione Koelliker 
Ariccia, Palazzo Chigi, 22 Gennaio - 23 Aprile
(Valentina Leone) - Oltre a definire l’assetto urbanistico della cittadina, e a  progettare la chiesa di S. PierFrancesco Mola, Dio Padre Onnipotente, olio su tela, cm 156x118 - Milano, Collezione KoellikerMaria dell’Annunziata, Gian Lorenzo Bernini, su commissione di Papa Alessandro VII, al secolo Fabio Chigi (1655-1667), si occupò negli anni ’60 del 1600 anche della ristrutturazione e dell’ampliamento del palazzo che la famiglia Savelli aveva innalzato nel tardo cinquecento e poi venduto nel 1661 ad Agostino Chigi, nipote del Papa. Con la collaborazione del giovane allievo Carlo Fontana egli trasformò l’antico palazzo-castello in una fastosa dimora barocca, ideando una particolare struttura, sintesi fra il modello a “U” delle ville romane e quello a blocco rettangolare con torri angolari dei castelli francesi dell’Ile de France, adottando per la superficie esterna il “colore dell’aria”, una tonalità grigio azzurrina, variabile in relazione alle condizioni atmosferiche, al fine di conferire all’insieme un aspetto il più possibile leggiadro e delicato. Si tratta di una delle pochissime dimore barocche europee rimaste sostanzialmente intatte nell’arredamento originario: conserva rari mobili del Seicento come la Farmacia di Carlo Fontana, le bellissime consolle di Bernini, numerosi mobili realizzati dall’intagliatore Antonio Chiari, i parati in cuoio stampato di “Cordova” oltre a una vasta collezione di stoffe e vestiti d’epoca. La raccolta di opere d’arte è molto ricca: tra i dipinti capolavori del Baciccio, di Carlo Maratta, di Pierfrancesco Mola, del Cavalier d’Arpino, di Salvator Rosa, di Jacob Ferdinand Voet, di Giovanni Maria Morandi, fra le sculture opere di artisti di ambito berniniano come Melchiorre Caffà, Giuseppe Mazzuoli, Bernando Fioriti, Orfeo Borselli, tra le decorazioni murarie la celebre sanguigna del Bernini con San Giuseppe con il Bambino, oltre ai bellissimi affreschi del Tempesta e ai cicli neoclassici di Giuseppe Cades, Liborio Coccetti, Felice Giani e Giovanni Campovecchio.
Il palazzo è stato venduto al Comune di Ariccia dal Principe Agostino Chigi Albani nel 1988, e dopo lunghi lavori di restauro è stato riaperto al pubblico nel 1999; oggi è possibile visitare sia il piano terra che il piano nobile del palazzo, anche in occasione delle interessanti mostre temporanee che qui vengono svolte. In particolare la mostra in oggetto riguarda Piefrancesco Mola e le più importanti personalità ad esso collegate nel contesto romano fra gli anni ’40 e gli anni ’60 del 1600, e presenta una ricca serie di tele di proprietà del mecenate milanese Luigi Koelliker, proprietario di una delle più imponenti collezioni private italiane di recente formazione, la quale comprende una gran quantità di dipinti, soprattutto del 1600, sculture, mobili, strumenti antichi e oggetti da wunderkammer. La presenza di un cospicuo numero di opere del Mola nella raccolta ha fornito l’idea di incentrare la mostra sull’artista, italo-svizzero proprio come il collezionista, e sulle personalità che per diverse motivazioni possono essere relazionate a questo, includendo sia opere di artisti molto noti, sia opere di artisti solo recentemente riscoperti e studiati, proposte ora alla considerazione del pubblico e degli esperti, fra i quali sono stati coinvolti i più autorevoli studiosi del Seicento romano.Si tratta di un gruppo di opere abbastanza omogeneo, che vede come protagonista la pittura di figura e in particolare il ritratto, genere molto amato e ricercato sia dal collezionista, che dal curatore dell’evento Francesco Petrucci.
PierFrancesco Mola, Endimione, olio su tela, cm 94x161,5 - Milano, Collezione KoellikerRisulta piuttosto complessa figura centrale di PierFrancesco Mola pittore, frescante, e produttivo disegnatore, nato a Coldrerio in Svizzera nel 1612 e morto a Roma prematuramente nel 1666. «Fra i bravi professori…forse niuno è stato com’egli generosamente riconosciuto, e nobilmente trattato da’ sovrani», racconta Lione Pascoli nella biografia che scrisse del Mola, testimoniando la fama e il consenso guadagnati dal pittore dalla fine del pontificato di Innocenzo X e in particolare sotto quello di Alessandro VII, culminati nell’elezione a principe dell’Accademia di S. Luca nel 1662, ma altrove, anche nella biografia che scrisse di lui Giovan Battista Passeri,  leggiamo di un artista tendenzialmente insoddisfatto, ansioso di dimostrare il proprio talento in ogni genere pittorico, spesso escluso, e in un caso abbastanza grave anche vittima di incomprensioni con i committenti. Egli non potè mai del tutto integrarsi nella Roma Barocca e classicista, poiché cercò di combinare le istanze pittoriche in voga a Roma con le suggestioni emiliane e venete della sua eclettica cultura figurativa, avvicinò tutte le tendenze radicatesi nella capitale senza farne esclusivamente propria nessuna: partecipò con una voce originale e personale alla formulazione di un nuovo stile pittorico contro il rischio di esclusivismo della maniera pittorica al tempo trionfante. Giunto a Roma nel 1616 iniziò la sua formazione presso la bottega del Cavalier d’Arpino, ma le prime influenze stilistiche significative le ricevette dalla corrente neoveneta che si sviluppava a Roma già dagli anni ’20: l’amore per il colorismo dei maestri veneti del ‘500 lo spinse ad un lungo viaggio di studio e ricerca, che lo portò a Bologna, dove lavorò per l’Albani e a Venezia, dove fece un significativo periodo di esperienza presso la bottega del Guercino.
Fatta eccezione per alcuni capolavori come il bellissimo affresco nella Galleria di Alessandro VII al Quirinale con  Giuseppe riconosciuto dai fratelli, che consacrò pubblicamente l’artista fra il 1656 e il 1657, fu nell’ambito della pittura di figura e di paesaggio che egli realizzò le opere più riuscite della sua produzione, quelle che fecero grande la sua fortuna presso la committenza. Libero dall’impaccio che gli provocava affrontare superfici su larga scala, fu in questo tipo di composizioni che egli potè mostrare il vero segno distintivo della sua arte, che consisteva nell’uso innovativo del colore, nella sensibilità tutta veneziana e neo-guercinesca meglio esprimibile negli impasti sulle tele dipinte a olio che sulle levigate superfici murarie. Raggiunse i massimi vertici della sua arte nelle liriche figure isolate di filosofi, poeti, soggetti biblici, anacoreti e personaggi di foggia orientale, tutti soggetti congeniali ad un temperamento personale profondamente intimista, da caratterizzare con un vivissimo pittoricismo, in modo così riuscito da farne modelli per generazioni di allievi e imitatori.
Dopo il carismatico Guerriero Orientale del Louvre, spicca come vero capolavoro fra le “mezze figure” del Mola il Dio Padre Onnipotente (fig.1), eletto ad emblema della mostra per la sua inquietante forza espressiva, resa dai connotati fortemente realistici. Cara al suo immaginario fu anche la misteriosa figura di Omero, che nell’inedita tela in mostra egli rappresenta focalizzando l’attenzione sul solo volto che emerge solennemente dal fondo scuro, con gli occhi chiusi sia in segno di cecità sia per evidenziare lo stato di profonda meditazione.
Influenzato dal Guercino egli diede al colore un impasto  ricco, un modellato morbido reso da una pennellata fluida e sull’esempio di questi egli sovraccaricò di colore alcune tele dove la figura si costruisce tramite i guizzi chiari dei colpetti di pennello e i loro effetti luminescenti: ne sia esempio l’inedita Testa di vecchio, resa in alcune parti con rapidi segni lineari condotti velocemente col pennello a setole larghe, quasi lasciate allo stato di abbozzo, secondo l’inclinazione, caratteristica dell’ultima fase della sua carriera, ad un pittoricismo sempre più libero che la vicinanza del Bernini e la conoscenza della ritrattistica del suo ambito poteva suggerirgli.
Campo frequentemente praticato dal Mola fu anche quello dei soggetti mitologici, di cui è un esempio l’Endimione (fig.2), da confrontare con quello conservato alla Pinacoteca Capitolina: il soggetto, congeniale allo spirito fondamentalmente romantico dell’artista, è immerso nella luce argentea di un paesaggio condotto sbrigativamente quasi a macchia tipico delle sue opere, e l’attenzione maggiore al disegno costruttivo visibile nello scultoreo panneggio del manto rosso, testimonia dell’attenzione volta dal pittore in fase matura all’ambiente classicista gravitante attorno all’Accademia di S. Luca. L’ambiente gravitante intorno al Mola, di cui la mostra vuole e riesce ad evocare un quadro efficace, si compone dei suoi maestri, degli artisti a lui contemporanei più significativi che possono essere entrati direttamente o indirettamente in contatto con lui, nonché dei suoi allievi.  
Fra coloro che possono essere considerati i suoi maestri è presente in mostra il Cavalier d’Arpino, presso il quale Mola fece il suo primo apprendistato e l’Albani, dal quale egli fu influenzato soprattutto dal punto di vista della sensibilità paesaggistica.
Come significativi punti di riferimento per l’artista figurano il ferrarese Guercino, del quale segnalo il bellissimo Ercole e il Bernini, rappresentato da due originali esempi della sua ritrattistica che molto colpì il Mola per la materia cromatica stesa così rapidamente e liberamente e la grande scioltezza nella pennellata. Fra gli artisti a lui contemporanei più significativi sono inclusi Salvator Rosa e Mattia Preti.
È presente un gran numeo di ritratti, e fra questi è molto interessante la serie di Guglielmo Cortese, detto il Borgognone (1628-1679), allievo di Pietro da Cortona, che subì dal Mola un forte influsso dal punto di vista soprattutto grafico, e si trovò spesso a lavorare al suo fianco; spiccano anche il ritratto di Francesca Gommi Maratta, realizzato dal marito Carlo Maratta, sorprendente per la qualità e la freschezza di esecuzione, e l’autoritratto del Baciccio, del quale il palazzo Chigi conserva un’altra versione, appartenente al gruppo di opere donate da Maurizio Fagiolo dell’Arco.
Rappresentano il gruppo degli allievi del Mola Francesco Giovani e Antonio Gherardi,  del quale figura un inedito Sansone e Dalila, testimonianza dello stile lirico ma fortemente realistico che egli ereditò dal Mola, che raggiunge grande potenza espressiva per il taglio teatrale e la tessitura cromatica ricca e molto raffinata.
Orario mostra: 10:00-19:00 (biglietteria 9:45-18:30) - Chiuso il lunedì
Biglietti: intero 7 euro, ridotto 4 euro, scolaresche 2 euro.
Segreteria organizzativa: Palazzo Chigi in Ariccia, Piazza di Corte, 14.  Tel.06/9330053

 I NOSTRI PAESI - pagina 15

Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005