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Sommario anno XIV numero 2 - febbraio 2005

 SCIENZA E CULTURA

Bruno de Finetti: così è, se vi pare - 7
“.....ma davvero esiste la probabilità? e cosa mai sarebbe? Io risponderei di no, che non esiste.”
(di Luca Nicotra)
La didattica (continuazione)
Bruno de Finetti, al pari di Polya, nell’introdurre una nuova teoria matematica, predicava l’utilità, tanto utile da divenire “necessaria”, dell’insegnamento “problematico”, vale a dire dell’insegnamento basato sulla presentazione di problemi concreti, e possibilmente “apparentemente” più diversi fra loro, in modo da far librare il discente dal concreto all’astratto nel modo più naturale e “storicamente” vero. In tale spirito, anche ai fini di una più intuitiva comprensione, era da lui ben accettato il sacrificio di una parte del famigerato rigore matematico, al quale si dovrebbe arrivare soltanto dopo una già sicura acquisizione dei concetti, come naturale esigenza d’inquadramento logico di quei concetti, che all’inizio del processo di apprendimento, invece, sarebbe oltremodo sterile e dannoso. La cosiddetta “matematica da fisico”, come viene spesso indicata la matematica nella forma più concettuale in cui normalmente è utilizzata dai fisici (e ancor più dagli ingegneri), non solo quindi non scandalizzava de Finetti, ma anzi lo trovava pienamente d’accordo e contrariato, semmai, dal constatarne una diversa concezione: “Ma cosa apprendevo di per me nuovo - mi si chiederà - e quali cose potevano costituire rivelazioni, e addirittura raccapriccianti, se ho da sempre, e forse anche troppo ripetendomi, deprecato e stigmatizzato molte manchevolezze e storture? Già: forse nulla... salvo che molti interessanti esempi di cose presentate intelligentemente, e che invece (pare) nelle scuole si insegnano appiattite o non si toccano affatto, mi ha fatto percepire le pur risapute manchevolezze come un unico immenso incubo, che lì per lì mi ha suggerito la denominazione del titolo: Matematica per Deficienti. E devo subito dare delle spiegazioni perché nessuno pensi che ciò costituisca un’offesa diretta a lui o ad altri: non si tratta di applicare la qualifica di deficienti ad insegnanti o a studenti che insegnano o che imparano in un certo modo: è questo modo che sembra imporre come norma di insegnare e imparare in forme adatte per deficienti...” 1
Il Club Matematico di Roma
I miei studi d’ingegneria, purtroppo, non mi hanno dato l’occasione di avere come professore de Finetti nel corso dei miei studi universitari. Tuttavia, ancor prima, ai tempi del liceo, ebbi la fortunata opportunità di conoscerlo personalmente.
Ero all’ultimo anno del Liceo Scientifico, e facevo parte della sezione pilota in matematica del mio liceo, il “Cavour” di Roma, in cui, allora, si sperimentavano i futuri programmi di matematica “moderna”, che, parzialmente, furono introdotti nell’ordinamento scolastico diversi anni più tardi. Essendo, un po’ per vocazione, un po’ per educazione familiare, un “innamorato” della matematica, quasi tutti i venerdì, all’Istituto Matematico Guido Castelnuovo dell’Università La Sapienza di Roma, frequentavo il Club Matematico, istituito dal professor Giandomenico Majone nel 1964 su ispirazione di una sua precedente esperienza all’università di Berkeley. La sede era veramente storica: aule austere, dove avevano insegnato eminenti matematici, quali Guido Castelnuovo, Federigo Enriques, Francesco Severi, Mauro Picone ed altri ancora. Ma anche ai tempi del Club Matematico quelle aule erano frequentate da grandi nomi della matematica italiana: Lucio Lombardo Radice, Attilio Frajese e Bruno de Finetti. Ospiti di quegli indimenticabili incontri settimanali erano altri illustri matematici e filosofi della scienza: oltre i già ricordati Lombardo Radice e Frajese, anche Luigi Campedelli, Corrado Mangione, Ludovico Geymonat, Giuseppe Vaccaro ed altri ancora. Insomma, per un giovane come me, cresciuto nel culto della scienza e della cultura, quella era un’occasione oltremodo stimolante per venire a contatto con protagonisti di primo piano del mondo scientifico italiano e internazionale. Di ognuno di essi, tutt’oggi, ricordo qualcosa di caratteristico: di Campedelli i suoi interessi letterari (sul comodino teneva in permanenza l’Orlando Furioso che pare leggesse ogni sera prima di addormentarsi), di Frajese lo sguardo penetrante e benevolo, nonché la sua cultura matematico-storica sorretta da una altrettanto grande cultura umanistica, di Vaccaro l’incisività unita alla forza comunicativa e alla grande vivacità siciliana, di Geymonat la paradossale difficoltà a parlare (ogni parola, nessuna fuori posto, beninteso, sembrava opera di un parto), di Lombardo Radice il fascino dell’intellettuale entro il corpo di un corazziere. Ma uno sopra tutti suscitava in me le più grandi emozioni: Bruno de Finetti, autorevolissimo e instancabile organizzatore di quei seminari. Già il nome, con quel “de”, con la “d” minuscola, incuteva un rispetto “nobiliare”, con allusiva reminiscenza del nome di grandi matematici del passato: Pierre de Fermat , Pierre Simon de Laplace, Gilles Persone de Roberval,… Insomma, già nel nome si avvertiva il destino storico del personaggio. E poi, ne avevo sentito parlare, con riverenza, come del più grande matematico italiano vivente.
E così, quando, per la prima volta, nell’aula austera e poco popolata dell’istituto Castelnuovo entrò quell’uomo claudicante2 , ma eretto nella sua persona fisica quanto lo era nella sua grande statura morale e intellettuale, vestito di grigio, col pullover a “v” sotto la giacca, le penne a biro che fuoriuscivano dal taschino, la fronte ampia e aperta, gli occhi luccicanti e chiusi in fessure acute che ti penetravano da parte a parte, l’emozione che subito provai fu quella di trovarmi davanti un “grande”, uno di quelli che la storia ricorderà per sempre. E quella mia impressione è stata avvalorata dai fatti che, molti anni dopo, hanno visto l’affermazione lenta, ma crescente, della sua opera in tutto il mondo scientifico internazionale. Quando parlava Bruno de Finetti, il silenzio era assoluto e la tensione dell’attenzione dell’uditorio era ai massimi livelli, e ciò per vari motivi: l’autorevolezza del personaggio, il suo parlare pacato, a voce bassissima, quasi esile, sapientemente modulato sulle parole chiave del discorso, quel suo interrogare senza interrogare di fatto, proponendo a tutti noi giovani quesiti “strani”, di contenuto originale e provocatorio per le nostre menti assopite nel convenzionalismo della cultura scolastica. La soluzione dei suoi famosi quesiti arrivava soltanto alla fine di quegli incontri, dopo aver raccolto tutte le nostre risposte, che egli analizzava, commentava e classificava criticamente, quasi da statistico. La soluzione era sempre un po’ sconcertante, perché inaspettatamente semplice, ma per noi irraggiungibile, malgrado i nostri sforzi.
Una volta era ospite Giuseppe Vaccaro, che doveva parlarci del modo di creare nuove geometrie. Dopo la sua presentazione, de Finetti si sedette accanto a me nei banchi degli studenti, con l’umiltà di un uomo qualunque, anzi quasi di uno studente come noi. Naturalmente, la mia emozione era grandissima, perché sapevo bene chi in realtà era colui che si era seduto accanto a me. Quella  figura di matematico, così severa, ma altrettanto ricca di semplicità, di onestà, di umanità, di autentica umiltà, di straordinario equilibrio fra teoria e senso della realtà, fra rigore logico e intuizione, capace all’occorrenza di scagliare senza pietà strali infuocati di purissima passione intellettuale per la verità contro l’ignoranza e il bieco conservatorismo culturale e “burofrenico” o “burosadico”, com’egli amava dire, mi è rimasta nel cuore e nella mente per sempre e mi ha ispirato e sorretto in molti momenti della mia crescita interiore e culturale.
I geni non servono soltanto per riempire delle loro mirabili scoperte i dotti libri del sapere umano, ma anche e soprattutto per formare le coscienze di uomini migliori. Ed è per questo che è importante incontrarli, dal vivo o anche soltanto attraverso le loro opere. Bruno de Finetti era uno di loro.
                                                           Fine

Note:
 1 B. de Finetti Contro la matematica per deficienti. Op. citata.
 2 Bruno de Finetti, purtroppo, all’età di 13 anni rimase vittima di una osteomielite acuta alla gamba sinistra, per la quale dovette subire l’asportazione della testa del femore che accorciò di ben 7 cm la gamba.

 SCIENZA E CULTURA

Sommario anno XIV numero 2 - febbraio 2005