Bruno de Finetti: così
è, se vi pare - 6
“.....ma davvero esiste la probabilità? e cosa mai sarebbe? Io
risponderei di no, che non esiste.”
(di Luca Nicotra)
Quale matematica?
Bruno
de Finetti era un grande ammiratore di Luigi Pirandello. Nel 1937, sulla
rivista “Quadrivio”, e successivamente anche sul giornale di
Trento “Il Brennero”, pubblicò un articolo intitolato Luigi
Pirandello maestro di logica. Inoltre, di chiara ispirazione ai
pirandelliani Sei personaggi in cerca d’autore è il suo articolo
Tre personaggi della Matematica: i numeri e, i,
p,
apparso su “Le Scienze” trad. italiana di Scientific American” n°39
, nov. 1971. La risposta che diede a chi gli chiedeva conferma di tali
origini del titolo del suo articolo rivela, in maniera molto elegante e
sottilmente polemica, la critica ch’egli oppose durante tutta la vita, con
irriducibile passione, alla “contraffazione involontariamente
umoristica, scostante, repellente” della matematica negli ambienti
scolastici e nella società: “E certamente - ammisi - c’è una
reminiscenza della magia pirandelliana di evocare i suoi personaggi,
essenziali, veri, reali, ma troppo veri per non essere considerati da
spettatori grossolani come fantocci, simboli, fantasmi. Ed è forse per lo
stesso motivo che molti non comprendono e non apprezzano la matematica , e
che molti non riescono a farla comprendere e farla apprezzare. Forse non
per inettitudine o cattiva volontà, ma per la preoccupazione di farla
apparire come una cosa più che seria, seriosa, arcigna, superba (il che
non è un gradino più alto della serietà, ma la sua contraffazione
involontariamente umoristica, scostante, repellente)”1.
Bruno de Finetti pur essendo fortemente innovativo, spesso ben oltre la
comune capacità di accettazione dell’innovazione, era piuttosto scettico
nei riguardi di certe “mode” scientifiche, retaggio dell’ondata di
formalismo dei primi anni del secolo XX. Non è che volesse ignorare
l’importanza di quella scuola di pensiero; il fatto è che in lui si
fondevano, in maniera equilibrata, sane antiche concezioni della
matematica (Archimede, Galileo) con i potenti e fertili metodi della
matematica moderna e, dovremmo dire, addirittura post-moderna da lui
stesso caldeggiati, limitatamente però ad alcuni punti di vista. Era
decisamente contro la matematica pura, intesa come regno dell’astratto,
avulso da qualunque riferimento alla realtà: “...le esemplificazioni
pratiche più semplici (ridotte magari a cenni) devono precedere ogni
teorizzazione per creare anzitutto una motivazione, atta a predisporre
all’accettazione di astrazioni che appaiono giustificate, ed evitare così
la reazione di rigetto che la via opposta (dall’astratto al concreto,
n. dell’A.) spesso produce.”2 Il suo era un punto di vista
tipicamente archimedeo3, caratterizzato da una sempre invocata
“interdisciplinarietà” di cui esaltava la natura “spuria”, in aperta
polemica con il “purismo” sventolato dai matematici puri come emblema di
una pretesa quanto artificiosa nobiltà di pensiero. Soltanto con il
riferimento incrociato a concetti e risultati di altre discipline, tipico
dell’interdisciplinarietà o del “fusionismo”, si può pensare in maniera
veramente creativa e costruttiva. “Nel senso più specifico, in cui fu
introdotto da Felix Klein, il fusionismo consiste nella fusione di
geometria da una parte e di aritmetica, analisi ecc, dall’altra; più in
generale, si tratta di fondere in modo unitario tutto ciò che si studia
(anche interdisciplinarmente, tra matematica e altre scienze...)” (cfr.
nota 1). Ancora a proposito del fusionismo, assai poco applicato nelle
scuole superiori e invece generalmente utilizzato in quelle elementari,
così si esprimeva: “Nelle scuole elementari e nella scuola media c’è
fortunatamente una tendenza meno ottusa, intesa a rendere spontaneo l’uso
appropriato di tutti gli strumenti conosciuti per esaminare qualunque tipo
di questioni...”. E ancora: “Per chiarirsi le idee su un problema
qualunque, occorrerebbe cercar di vedere quante più interpretazioni
alternative di problemi in altri campi rientrino nel medesimo schema.”
(cfr. nota 1).
La concezione della matematica in de Finetti era quella di tutti i grandi
matematici del passato: non fine a se stessa, bensì finalizzata
all’interpretazione e alla comprensione dei fenomeni naturali, allargando
questi anche alla sfera dell’attività mentale dell’uomo. In tale ottica
egli ribalta la posizione dei “puristi” del pensiero matematico,
ricollocando in primo piano il momento creativo della scoperta matematica,
che è caratterizzato dall’intuizione e dall’attività del sub-conscio, e
ponendo in secondo piano la formalizzazione, come utile strumento di
sistemazione e contemplazione dell’opera matematica già compiuta4: “La
formalizzazione è indubbiamente di grande e spesso indispensabile ausilio
per un’opera di ricostruzione, panoramica ma anche e soprattutto
critica... È naturale che chi ne ha fatto uso traendone tanti frutti la
apprezzi... Si tratta però di deformazione professionale e di
sopravvalutazione se pretende che la prospettiva di chi ammira l’opera
compiuta e se ne serve debba essere la stessa dell’artigiano che l’ha
costruita e di coloro che vorranno e dovranno curarne la manutenzione o il
completamento. Per l’insegnamento occorre tener ben presente che la
prospettiva dei destinatari è quella di potenziali consumatori di
matematica, che dovremmo persuadere della possibilità e convenienza di
farne uso nei loro problemi quotidiani anziché ignorarla e ragionare coi
piedi.”5
In tale visione del pensiero matematico, analogo ribaltamento spetta al
“dimostrare” e al “congetturare”:
“...rivalutare gli aspetti più attivi, più creativi (ma anche, e
proprio per ciò, più avventurosi, fantasiosi, soggettivi) del nostro modo
di pensare. Il rigido e impeccabile ragionamento deduttivo non può
condurre a nessuna conclusione nuova, cioè non già implicitamente
contenuta nelle premesse.” E poi ancora: “E in genere, infatti, il
processo è opposto: si parte da delle congetture, ossia da affermazioni
che a qualcuno (o a molti) sembra debbano risultare vere come conseguenza
delle premesse accettate. Purtroppo, un falso pudore vieta di menzionare
la parte del processo della scoperta che si svolge più o meno nella sfera
dell’inconscio, o del subconscio, per esibire soltanto la dimostrazione
fossilizzata nella sua forma scheletrica di logica freddamente deduttiva e
formalistica.” (cfr. nota 1). Al congetturare, che è dunque il vero
momento creativo del matematico, si ricollega la probabilità, che, mai
come in tal caso, non può essere che soggettiva! Il matematico intuisce
una verità, di cui “poi” cerca con la dimostrazione e il formalismo
matematico una conferma, in maniera da trasformare il suo punto di vista
inizialmente soggettivo in oggettivo, nel senso di renderlo coerente con
le premesse, in modo che quella “sua verità” possa diventare la “verità di
tutti”.
Chi ha della matematica appresa nei banchi di scuola un pessimo ricordo,
troverà sollievo, forse, apprendendo che cosa de Finetti (e con lui, in
genere, i matematici) pensava del più inviso dei mali della matematica: il
rigore. “Il rigore è indubbiamente necessario, ma la mania del rigore è
spesso controproducente. Una dimostrazione ineccepibilmente logica, valida
sotto condizioni estremamente generali, è in genere complicata e priva di
prospettiva, nascondendo il concetto intuitivo essenziale nella foresta di
minuzie occorrenti solo per includere o casi marginali o estensioni
smisurate.” (cfr. nota 1).
La didattica.
L’impegno di Bruno de Finetti nella didattica fu notevole. Fu il più
coraggioso e autorevole delatore delle inadeguatezze dei metodi e
contenuti dell’insegnamento scolastico della matematica. Le sue denunce
contro la situazione di tale insegnamento nel nostro Paese, peraltro non
sterili e fini a se stesse, ma sempre supportate da rimedi esposti in sue
proposte chiare e concrete6, furono veramente numerose, incisive e
incalzanti. Fra queste, certamente la più eclatante, sia per le
conseguenze positive che ebbe sia per la forma volutamente acerba e
provocatoria, quasi scandalistica, ma anche esilarante, fu quella vera e
propria crociata che nel 1965 de Finetti condusse in prima persona,
attraverso la stampa, contro il pluridecennale perpetuarsi di un uso
discutibile ed esasperato di un metodo di soluzione dei problemi di
matematica nei licei scientifici, noto come “metodo di Tartinville”:
“...la prova scritta di matematica per il Liceo scientifico costituisce
un caso a sé sotto due punti di vista: primo, perché si tratta di un
esempio insuperabilmente patologico di aberrazione intesa a favorire l’incretinimento
sistematico e totale dei giovani; ...Da tempo immemorabile (almeno da
decenni) avviene precisamente che questa famigerata prova scritta ripeta
con qualche variante sempre lo stesso problema stereotipato (equazione di
2° grado, o trinomia, con un parametro: da ciò il termine di <trinomite>
per indicare l’eccessiva insistenza su questo solo particolare argomento):
problema che ha soprattutto la disgrazia di poter essere ridotto a uno
schema macchinale, formale, pedestre, che va sotto il nome di un certo
Tartinville. Per mio conto appresi purtroppo in ritardo a conoscere e
detestare Trinomite e Tartinvillite: non avevo preso sul serio le
informazioni negative ma espressemi in forma generica da qualche collega
circa la matematica del Liceo scientifico al momento della scelta per mia
figlia: pensavo fossero dettate dai soliti pregiudizi in favore degli
studi classici. Ma dopo qualche anno, sempre più allarmato e sbalordito
dal pedestre livello di scimunitaggini cui venivano degradati i begli
argomenti di cui nel programma figuravano i nomi, chiesi a un mio
assistente se sapeva spiegarmi tale fenomeno. Ne ebbi le stesse sopra
riferite notizie della relazione Manara. La cosa era pressoché notoria; io
solo ero stato tanto ingenuo da non immaginare neppure che la Scuola, in
gara coi sofisticatori di olio d’oliva, potesse ammannirci, gabellandolo
per genuino nutrimento matematico, l’asino Tartinville nella
bottiglia!”7 (Fine della 6° puntata)
Note:
1 B. de Finetti, Contro la matematica per deficienti. In
“Periodico di matematiche”, n°1-2 maggio 1965, Zanichelli, Bologna
2 B. de Finetti, Interventi al Convegno della C.I.I.M., Viareggio
24-25 ottobre 1974.
3 Pur essendo un grande teorico, Archimede sapeva magistralmente coniugare
teoria ed esperienza. Può essere considerato come un grande precursore
della moderna interdisciplinarietà, poiché affrontava e risolveva i
problemi matematici ponendosi in punti di vista diversi, non matematici;
in particolare, per le sue scoperte matematiche, si serviva di concetti e
metodi meccanici e fisici, come egli stesso dichiara a Eratostene nella
sua opera Il Metodo: “Son persuaso, del resto, che questo metodo sarà
non meno utile anche per la dimostrazione degli stessi teoremi. Infatti,
anche a me alcune cose si manifestarono prima per via meccanica, e poi le
dimostrai geometricamente.”
4 La distinzione fra i due “momenti” della ricerca scientifica in
generale, e matematica in particolare, cioè quello dell’intuizione,
creativo e fluido, e quello della dimostrazione, cristallizzazione logica
del primo, si trova molto chiaramente espressa nell’opera di Attilio
Frajese, Galileo Matematico, Editrice Studium, Roma, 1964, cap. I.
5 B. de Finetti, Lettere alla Direzione in “Periodico di
Matematiche”, n° 4 ottobre 1965, Zanichelli editore Bologna.
6 B. de Finetti, Programmi e criteri per l’insegnamento della
matematica alla luce delle diverse esigenze, in “Periodico di
matematiche”, aprile 1965, Zanichelli, Bologna; e poi ancora Le
proposte per la matematica nei nuovi licei: informazioni, commenti
critici, suggerimenti, in “Periodico di matematiche”,
aprile1967, Zanichelli, Bologna
7 B. de Finetti, Come liberare l’Italia dal morbo della trinomite?,
in “Periodico di Matematiche”, n° 4 ottobre 1965, Zanichelli,
Bologna. |