Il sito del mese:
SETI@home
(Roberto Esposti laleggedimclurg@yahoo.it) - Qualche mese fa
su molti giornali comparve la notizia che si era trovata la prova
di
intelligenza extraterrestre analizzando onde radio provenienti dallo
spazio. La cosa fece scalpore, ma il clamore si sgonfiò quando analizzando
più approfonditamente il segnale si capì che esso era il frutto di
un’interferenza terrestre. L’ente che aveva compiuto la scoperta era il
SETI, acronimo che sta per Search of ExtraTerrestrial Intelligence
(Ricerca di Intelligenza ExtraTerrestre), una costola dell’Università
americana di Berkley, attivo da molti anni ma realmente famoso solo da
quando ha lanciato il progetto SETI@home.
Il progetto SETI@home (http://setiathome2.ssl.berkeley.edu/index.html)
nasce nel 1998 quando presso l’enorme Radiotelescopio di Arecibo a Puerto
Rico viene installata un’antenna specifica per “ascoltare” i segnali radio
provenienti dalla spazio che abbiano caratteristiche riconducibili ad una
trasmissione di informazione, seguendo l’idea che fino a quando non avremo
i mezzi per coprire le distanze siderali viaggiando, potremo solo spiare
il cielo per capire se c’è vita intelligente nello spazio (che è poi anche
la logica del telescopio spaziale Hubble). L’impresa però si presenta
titanica perché il segnale che potrebbe essere inviato da altri mondi
(consapevolmente o meno, pensiamo ai segnali radio e tv che spariamo
involontariamente nello spazio e che tanto dicono di noi) può variare
tantissimo quanto a parametri come la frequenza portante usata, il tipo di
modulazione, l’intervallo di ripetizione ecc… In parole povere non
conoscendo la tecnologia aliena i ricercatori del SETI devono analizzare i
dati secondo tantissimi parametri ed i loro pur potentissimi computer non
bastano. E qui nasce l’idea di estendere la collaborazione alla ricerca a
tutti i personal computer del mondo (quello che viene chiamato “calcolo
distribuito”), sfruttando il fatto che tutti noi utilizziamo solo in
piccola parte la potenza di elaborazione dei nostri pc: la maggior parte
del tempo in cui sono accesi essi vengono utilizzati per scrivere,
compiere lunghi download o peggio sonnecchiano coperti da screensaver.
L’enorme mole di dati registrati ad Arecibo viene infatti inviata a
Berkley, ivi spezzettata in tanti piccoli file che contengono sequenze
delle registrazioni (in gergo “work units”) di dimensioni tali da poter
essere analizzati in tempi “umani” da un comune pc ed inviati tramite
Internet ad una ormai estesissima rete (milioni ormai) di computer che li
elaborano durante i tempi morti, eseguendoli come un comune screensaver o
in background (consentendo il normale lavoro). Il nostro personal computer
domestico o dell’ufficio analizza durante un tempo che dipende solo dalla
sua potenza di calcolo, la work unit compiendo calcoli matematici come la
trasformata di Fourier ed al termine si ricollega al server di Berkley
inviando la sequenza analizzata. Lì i mainframe dell’università scovano i
segnali più interessanti depurandoli da interferenze terrestri alla
ricerca di un segnale che si possa inequivocabilmente definire
intelligente senza inquinamenti antropici o di radiazioni emessi da corpi
celesti.
Ogni utente per partecipare al progetto compie una brevissima
registrazione che gli consente di monitorare la propria attività, cosa
stuzzicante perché lo porta a cercare di realizzare il maggior numero
possibile di risultati. Al conseguimento di alcuni traguardi (il primo è
100 unità elaborate) si ricevono infatti dei diplomini personalizzati che
attestano l’impegno dell’utente e se si ha la fortuna di processare un
segnale interessante esso resta per sempre legato al nostro nome; è poi
possibile costituire gruppi di utenti e sono disponibili statistiche per
nazione e purtroppo in questo caso l’Italia non brilla essendo undicesima,
subito prima della Repubblica Ceca e con la metà dei risultati della
modesta Polonia.
Insomma contribuire al progresso scientifico è possibile e più facile di
quanto si creda: in questo caso basta semplicemente cambiare salvaschermo
al computer. |