frascati
Il secondo novecento ed il “Premio Frascati”
(1962-1992) - (1 di 2)
1. L’inganno del mondo (Claudio Comandini) - È
curioso osservare come, nell’opposto feticismo dei “classici” e delle
“novità”, spesso lettori e pubblico restino lontano da ciò che è davvero
contemporaneo, lasciando irrisolte le tensioni culturali implicite della
nostra epoca. La poesia italiana del secondo novecento rappresenta uno di
questi campi tanto “prossimi” quanto quasi inesplorati: dove nelle scuole
prevale ancora un’impostazione di marca storicistica, l’organizzazione
della cultura cede sempre di più alla logica dell’intrattenimento. Ora,
queste due opposte condizioni sono ambedue distanti sia dalla compresenza
di apertura e rigore che caratterizzano il lavoro intellettuale, sia
dall’attenzione e dalla duttilità che la poesia richiede. Tuttavia, se non
si sfugge al proprio tempo, ogni tempo conosce i suoi poeti: circostanze
come i premi di poesia, per quanto sempre parziali nella descrizione dei
fenomeni letterari, offrono comunque un prezioso archivio dei momenti
significativi di una letteratura, testimoniandone tendenze e sviluppi.
Andiamo quindi ad incontrare all’interno del “Premio Frascati” (di cui fu
fondatore anche Giorgio Caproni) alcune delle differenti voci poetiche del
ricco trentennio che va dal 1962 al 1992, e confrontiamoci con un pensiero
costante quanto mutevole come quello che la poesia coglie all’interno
della condizione umana.
Nei versi del poeta e giramondo Alfonso Gatto un canto evocativo decanta
la realtà quotidiana in immagini fantastiche, e si snoda, come ricorda
Contini, attraverso “arcobaleni gettati sugli iati della logica”.
Fondatore con Vasco Pratolini della rivista “Campo di Marte”, fece parte
anche della giuria del premio, dopo averlo ricevuto nel ’62 per L’anima
della sera:
C’è un urlo raggiante d’occidui boschi /
infitti nell’improvviso veloce tacere /
di tutte le vite in ascolto. /
Il cielo che sembra finire n’è tolto /
più alto, sempre più alto, dell’ostro. /
È l’alba di tutto ciò che si perde
Un altro esponente del terzo ermetismo, che ha fatto parte della giuria
pur non avendo vinto il premio è Libero de Libero, la cui immaginazione
epigrafica scandisce un lirico naturalismo, dove il paesaggio tenta di
risolversi in un sentimento di assoluto, come in Postscrittum nella
bottiglia (da Banchetto, 1949):
Qui forse è il confine del mondo /
se gli alberi crollano nascendo. /
E ne resta un discorso di foglie /
nel vento che chiede qualcosa.
Invece la “voce” di un paesaggio è assimilata a quella della sua gente,
con attenzione verso gli aspetti popolari, nella poesia di Elio Filippo
Accrocca, anche lui a lungo parte della giura non ricevendo menzioni. Con
cadenze precise muove un discorso di rinnovamento civile, che si fa pieno
interprete delle speranze della Resistenza, come in Ghirlande per il primo
di maggio:
La speranza è una luce tramandata per generazioni: /
noi conosciamo l’arte di coltivare spighe e speranze /
e non lasceremo crescere la gramigna nei campi.
Presto questi toni ottimistici non saranno più tanto rappresentativi del
sentire comune. Nel ‘67 Guglielmo Petroni, riceve il premio per la poesia
Narrativa, dove un sentimento di incomunicabilità è riscattato da un
consapevole e accanito criticismo, sullo scenario di un paese devastato:
O libertà /
assurdo luogo di perdizione /
unica salvezza, lume, /
fonte di mormorazione / onesta meta; /
strumento di falsari /
oggetto, ornamento. /
Più inganni catene /
contiene, ambigua voci, /
di quante passioni numerino /
le notti piene d’amore.
Anche i “confini del mondo” reale iniziano a cambiare. Raphael Alberti,
amico di Garcia Lorca, cantore di un sentimento di cosmopolitismo ed
estraniazione, è premiato nel ’70 per Certo il mio canto:
Certo, il mio canto /
può essere di qualsiasi luogo. /
Ma queste radici spezzate, /
a volte non me lo lasciano /
essere del mondo
E ridefinendone i confini, se ne mettono in discussione anche i principi:
nel ’73 Vittorio Fiore esprime con i toni di una profonda e nobile
“ingenuità” il senso di abiezione per la nostra storia:
Non abbellimmo di virtù /
il passato, ma affondammo /
il bisturi nella nostra terra dolente…
Nel ’76 è il turno della raccolta Poesie di Giorgio Vigolo, la cui
alchimia verbale fissa in immagini musicali intuizioni dell’essere che
oscillano fra mistero ed apparenza. Portico dei dormienti:
Una donna ama in sogno /
abbracciata all’invisibile
Nel ’77 il premio spetta alla tensione religiosa di Margherita Guidacci
con Il vuoto e le forme, che in Primo autunno di Elisa “scopre” il nesso
fra tempo e vita:
Le parole hanno un senso /
soltanto se le nutre la memoria.
Nell’84 va a Versi d’occasione di Giacinto Spagnoletti, fra tradizione
stilistica ed esigenza comunicativa. In Partenze, lo sguardo è sempre
rivolto all’indietro:
i marinai raccontano /
che nel partire sempre /
guardano la terra ansiosi.
Nell’85 lo riceve Mario Socrate, premiato anche a Viareggio per il Punto
di vista, le cui immagini scandiscono la frantumazione cognitiva dell’uomo
contemporaneo:
non va né avanti né indietro /
persa fra gli uni e gli zeri /
i falsi sono così veri /
che un metro è misura di un metro
Nell ’88 l’assegnatario è Attilio Bertolucci per la Camera da letto n. 2.
In una sommessa riflessione, attenta ai movimenti della realtà, si
incontrano tradizione ed innovazione. In Il capanno l’attenzione si
concentra sugli anni del fascismo, vivi ancora nei suoi effetti:
Un altro tempo comincia per me per te usciti d’improvviso /
al chiaro di luna, all’ultimo affaticarsi amaramente gioioso /
di una generazione destinata a immolarsi per una causa ingiusta.
Nel ’91 Enzo Fabiani, riceve il premio per La sposa vivente, poema in tre
cantiche dedicato alla moglie, portatrice nel ricordo in cui continua a
vivere di un sublimato sentimento di unione e mistico enigma:
era un ricercarsi ricordi, /
nel torbido mistero del tuo corpo, /
per un ordine arcano.
Nel ’92 è il turno di Giorgio Barberi Squarotti con la raccolta di Un
altro regno. Nella sua poesia lampeggiano visioni ontologiche e l’alterità
della parola scritta, rivelazione della vita e della sua esperienza,
libera l’io poetico dall’inganno del mondo che dicono reale:
non c’è peggiore inganno /
del mondo qual’è.
Ora, se in questa fase il premio sembra restare all’interno della già
inflazionata tradizione “lirica”, estraneo all’esperienza delle
avanguardie (Edoardo Sanguineti), lontano da una sensibilità politica
(Pierpaolo Pasolini) o anche da suggestioni “patafisiche” (Vito Riviello,
fra l’altro per lungo periodo residente in Frascati), la sua attività e il
tenore di alcune opere premiate lasciano comunque trasparire una
consapevolezza dei “compiti” della poesia che va oltre l’espressione
“istituzionale” di una determinata linea stilistica: e questo anche
durante il periodo fino al ’73, in cui la botte di vino che costituisce il
modesto premio non permette certo “impennate” di prestigio. Si è cercato
di mettere in evidenza nella breve rassegna indicata i diversi passaggi
dove, al di là del generico “manierismo”, si esprime un rapporto diretto e
decisivo con le “ragioni” della poesia, e dove emergono temi riguardanti
la messa in discussione della razionalità occidentale (che ancora impone
le sue guerre al mondo), a cui si oppone un atteggiamento nostalgico o di
rinuncia, che ripiega verso una natura lontana ma assimilata nel vissuto,
ed assume, a volte, anche le forme di un immaginario erotico-mistico
(“spogliato” dai sia dai maschilismi che dalla sessuofobia cristiana).
Questi temi, che derivano da una memoria letteraria di ascendenza tardo
romantica, nella poesia italiana vengono precisati nella loro portata
esistenziale e speculativa, attraverso modi originali e con le rispettive
differenze, scavalcando il discorso sullo stile e sulle correnti
letterarie, da figure come Eugenio Montale e Giorgio Caproni. Il cui
silenzioso lavoro è decisivo per definire con il “savio disincanto” e la
“disperazione calma” alcuni aspetti della sensibilità del secondo
novecento: fino a che con l’89 e la caduta dei governi dell’est comunista
si profilino, a livello globale, diverse condizioni sociali e culturali, e
termini il “secolo breve”. |