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Visioni del lago di Nemi
(Luca Ceccarelli) - Sul Lago di Nemi si affacciava il Nemus
Dianae, bosco sacro dedicato alla protettrice delle selve, della
caccia
e della fecondità delle giovani spose, al culto della quale era dedicato
un tempio di cui sono stati trovati resti. L’imperatore Caligola giunse,
per non contaminare il sacro suolo del Nemus, a farsi costruire le famose
navi poi installate al centro del lago, come tempio galleggiante. Ancora
nella prima età imperiale, nell’area circostante il tempio ed il nemus
ferveva un’intensa vita, come in tutti i luoghi di culto di una qualche
importanza. Com’è noto però, poco più tardi questo tempio cadde in disuso
e ne venne costruito un altro nel territorio di Ariccia. Tuttavia, pur
decadendo nel tardo impero il bosco intorno al lago di Nemi da nemus a
massa (un insieme di fondi agricoli, che l’Imperatore Costantino assegnò
alla basilica di San Giovanni Battista di Albano, e passò successivamente
di mano varie volte a partire dal IX secolo d. C.) il fascino del lago,
con il bosco circostante e il borgo che si venne formando nel Medio Evo,
si consolidò nei secoli, seducendo anche poeti come Byron, Goethe e
D’Annunzio. Ma non solo i poeti: sfogliando un repertorio di quadri e
illustrazioni a stampa dei Castelli Romani, ho notato che questo punto dei
Colli Albani ispirò numerosi artisti che lo immortalarono in misura
superiore, forse, a qualsiasi altra bellezza della zona.
La più interessante delle raffigurazioni è l’incisione su rame di Filippo
Galli intitolata Lacus Nemorensis sive Ariciae, su disegno di Hendrick van
Cleef. È anche la più antica, risalente probabilmente al 1587. Piuttosto
fallace nell’indicazione toponomastica (non è il lago, ma il bosco su cui
fu costruito il tempio successivo ad essere consacrato alla ninfa Aricia),
ma efficace nel rappresentare lo specchio d’acqua come cornice, al cui
centro è ancorato il tempio galleggiante di Diana. Sulla sinistra sorge
invece il borgo di Nemi, nell’aspetto medievale che conserva ancor oggi
più di ogni altro tra i Castelli Romani. Non c’è, qui, dunque, l’anelito a
riprodurre un paesaggio di epoca romana ormai difficile da rendere nelle
sue sfumature, ma il rammarico per l’antico che si è perduto, e che
nell’ispirazione dell’autore del disegno, imbevuto di cultura umanistica,
poteva convivere felicemente con il moderno. Nessuno tenterà più simili
arditi accostamenti, nelle raffigurazioni successive, pur degne di nota.
Una è la Veduta del lago di Nemi, un gessetto e acquarello su carta del
1787 di Richard Colt Hoare, custodita nella Collezione Ashby della
Biblioteca Vaticana. Nell’Ottocento, a dominare sarà la produzione di
litografie, eseguite specialmente a Parigi. Del 1849 è Le acque del lago,
una litografia a colori di Carlo Lindemann Frommel. Particolarmente
pregevole appare un’acquatinta eseguita a Parigi nel 1860 da Bernard
Lemercier. L’acquatinta è una variante dell’acquaforte, che con maggiore
delicatezza di quest’ultima permette di rendere le sfumature. Porta la
scritta in basso a destra Lac de Nemi (environs de Roma). Simile come
prospettiva alla veduta del Colt Hoare è la litografia eseguita nel 1869
da Léon Baptiste Sabatier, su disegno di Félix Benoist. Degli stessi anni,
un acquerello del 1860, oggi in una collezione privata di Roma, opera di
Salomon Corrodi, che più tardi, nel 1881, entrerà a far parte della
«Società degli Acquerellisti in Roma», e riproduce il lago da un punto in
cui si fronteggiano i due borghi che lo sovrastano con i rispettivi
palazzi signorili: quello di Genzano, con il Palazzo Sforza Cesarini, e
quello di Nemi con il palazzo Ruspoli. Sullo sfondo, tra la foschia, si
nota il promontorio del Circeo.
Negli anni Venti del Novecento, per iniziativa del governo fascista si
procedette a tirare su dal fondo quelle navi che da quasi due millenni
dormivano sul fondo (e che ben presto sarebbero state distrutte da un
incendio, stavolta per sempre). Tale operazione sarà di stimolo anche alla
produzione pittorica, tanto che Carlo Montani, uno del gruppo dei XXV
della Campagna Romana, nel 1929 espose a Roma le sue «Cento visioni del
lago di Nemi», in cui lo speculum Dianae muta a seconda dell’angolazione,
dell’ora e della stagione dell’anno, nei fiori, nella luce e nei colori.
In una delle tele, Ortensie in fiore, il rosa e l’azzurro di questi fiori
dominano una raffigurazione con un cielo dalle tinte tenui, il verde dei
Colli Albani assai meno acceso di quanto realmente sia, e i borghi di Nemi
e Genzano appena accennati. Dello stesso Carlo Montani, spicca un altro
olio del 1926, in cui il borgo di Nemi fa capolino in lontananza, come una
macchiolina bianca circondata da luci e colori di una giornata autunnale.
Un’altra di quelle “Cento visioni” che, esposte a Palazzo Valentini
(attuale sede della Provincia di Roma) vennero contese da istituzioni
pubbliche e private, attori, personalità politiche, determinando
un’inevitabile disgregazione della raccolta in più collezioni pubbliche e
private. |