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Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004

 FILOSOFIA DELLA MENTE

La coscienza
(Silvia Coletti) - La concezione di una coscienza capace di regolare in un certo senso il rapporto fra un’intenzione e un oggetto nella realtà è stata postulata già da Husserl in Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica (1985) e J.Searle, filosofo della mente contemporaneo, puntualmente ne ha ripreso alcuni aspetti interessanti e utili al fine di comprendere il passaggio nella relazione fra il soggetto agente e la realtà naturale. Secondo Husserl, la coscienza non è un ente a sé, ma è sempre “coscienza di”, ossia appartiene all’essenza di ogni essere pensante di essere coscienza di qualcosa, infatti “intendiamo per Intenzionalità la proprietà degli stati di coscienza di essere coscienza di qualche cosa”. Ciò che vuole intendere Husserl è che la coscienza è “coscienza di” nell’esperienza, nel mondo, cioè in quell’ambito dove “l’orizzonte della realtà”, come lui lo definisce, designa al soggetto le possibilità di essere cosciente di qualcosa. Il percepire qualcosa, come modalità di un atto Intenzionale da parte della coscienza, quando, come afferma anche Searle, si è consapevoli di, mette in evidenza, in Husserl, la caratteristica più importante della coscienza, il suo flusso costante, che lo stesso definisce in questo modo: “alla coscienza dell’adesso si annoda necessariamente quella del dianzi trascorso e questa stessa coscienza è di nuovo un adesso”. Per Husserl quindi la coscienza è unità nel tempo e ciò che percepisce, rientra e si pone in relazione con tutto il flusso di coscienza che è in continuo cambiamento, perché è a sua volta in relazione con la realtà naturale. La coscienza è quindi un’unità nel tempo, che relaziona e che costituisce una particolare regione dell’essere ed è modulare, in quanto si costituisce di una pluralità delle procedure di accesso all’esperienza da parte dei meccanismi attenzionali.
Secondo altri filosofi nonché studiosi dell’argomento, come Bernet, Kern e Habach, il fluire della coscienza di cui parla Husserl, mette in evidenza la caratteristica della coscienza ad immergersi nel tempo, ossia la sua capacità di trovarsi in diverse dimensioni durante l’atto conoscitivo della realtà. Il flusso di coscienza non ha quindi proprietà spaziali e la sua attività si svolge di fatto nella corrente di temporalità immanente. Infatti, secondo Husserl, la coscienza nel tempo, segue due direzioni: una direzione oggettiva, ossia ha la possibilità di cogliere un oggetto temporale; e una soggettiva, come flusso di coscienza, che è continuum personale delle esperienze vissute. Questo continuum della coscienza si costituisce di una memoria delle esperienze passate, di un’attualità potenziale presente e di un’aspettazione a cui è legato l’aspetto inconscio della coscienza. In questo modo anche Husserl, come Searle, cerca di dare uno status alla coscienza individuale e per farlo gli affida la proprietà della fisicità, che eredita dal mondo reale, in quanto, scrive Husserl, “da un lato la coscienza è coscienza di un soggetto; dall’altro è coscienza di questo mondo, che la connette nelle singole unità psicofisiche dell’uomo”.
A partire dalle considerazioni di Husserl sul flusso di coscienza, sulla “consapevolezza di” in rapporto alla realtà naturale, e che Searle riprende, pur se con qualche modifica, si può mettere in evidenza come, già nel testo La riscoperta della mente (1994), l’interesse di Searle è stato proprio quello di postulare, come per la mente, l’ipotesi che anche la coscienza, in sintesi, è una proprietà biologica del cervello degli esseri umani, determinata da processi neurobiologici: come la fotosintesi, la digestione o la mitosi; ossia di riconoscerla come parte integrante dell’ordine biologico, piuttosto che soffermarsi primariamente, come ha fatto Husserl, sulla relazione fra la coscienza intenzionale e l’oggetto. Searle scrive che “per coscienza dobbiamo intendere la consapevolezza dei nostri stati mentali, delle nostre esperienze intenzionali”. La nostra consapevolezza su qualcosa non si basa su qualche privilegio del soggetto, ma, come dice anche Wittgenstein, sulla prassi, ossia “la fondazione e la giustificazione non è data immediatamente, ma è il nostro agire che sta a fondamento della nostra forma di vita”. Tuttavia, aggiunge Wittgenstein, e questo è evidente anche in Searle, il fatto di ricorrere all’esperienza per impiegare la verifica di certi stati consapevoli o meno, “non significa che il loro senso è determinato e fondato solo su qualcosa di empirico, ma che tale verifica si basa su un sistema” o Rete di condizioni e di interpretazioni propri “di uno Sfondo in parte tramandato, in parte acquisito”.

 FILOSOFIA DELLA MENTE

Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004