La
coscienza
(Silvia Coletti) - La concezione di una coscienza capace di
regolare in un certo senso il rapporto fra
un’intenzione
e un oggetto nella realtà è stata postulata già da Husserl in Idee per
una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica (1985) e J.Searle,
filosofo della mente contemporaneo, puntualmente ne ha ripreso alcuni
aspetti interessanti e utili al fine di comprendere il passaggio nella
relazione fra il soggetto agente e la realtà naturale. Secondo Husserl,
la coscienza non è un ente a sé, ma è sempre “coscienza di”, ossia
appartiene all’essenza di ogni essere pensante di essere coscienza di
qualcosa, infatti “intendiamo per Intenzionalità la proprietà degli
stati di coscienza di essere coscienza di qualche cosa”. Ciò che vuole
intendere Husserl è che la coscienza è “coscienza di”
nell’esperienza, nel mondo, cioè in quell’ambito dove
“l’orizzonte della realtà”, come lui lo definisce, designa al
soggetto le possibilità di essere cosciente di qualcosa. Il percepire
qualcosa, come modalità di un atto Intenzionale da parte della coscienza,
quando, come afferma anche Searle, si è consapevoli di, mette in
evidenza, in Husserl, la caratteristica più importante della coscienza,
il suo flusso costante, che lo stesso definisce in questo modo: “alla
coscienza dell’adesso si annoda necessariamente quella del dianzi
trascorso e questa stessa coscienza è di nuovo un adesso”. Per Husserl
quindi la coscienza è unità nel tempo e ciò che percepisce, rientra e
si pone in relazione con tutto il flusso di coscienza che è in continuo
cambiamento, perché è a sua volta in relazione con la realtà naturale.
La coscienza è quindi un’unità nel tempo, che relaziona e che
costituisce una particolare regione dell’essere ed è modulare, in
quanto si costituisce di una pluralità delle procedure di accesso
all’esperienza da parte dei meccanismi attenzionali.
Secondo altri filosofi nonché studiosi dell’argomento, come Bernet,
Kern e Habach, il fluire della coscienza di cui parla Husserl, mette in
evidenza la caratteristica della coscienza ad immergersi nel tempo, ossia
la sua capacità di trovarsi in diverse dimensioni durante l’atto
conoscitivo della realtà. Il flusso di coscienza non ha quindi proprietà
spaziali e la sua attività si svolge di fatto nella corrente di
temporalità immanente. Infatti, secondo Husserl, la coscienza nel tempo,
segue due direzioni: una direzione oggettiva, ossia ha la possibilità di
cogliere un oggetto temporale; e una soggettiva, come flusso di coscienza,
che è continuum personale delle esperienze vissute. Questo continuum
della coscienza si costituisce di una memoria delle esperienze passate, di
un’attualità potenziale presente e di un’aspettazione a cui è legato
l’aspetto inconscio della coscienza. In questo modo anche Husserl, come
Searle, cerca di dare uno status alla coscienza individuale e per farlo
gli affida la proprietà della fisicità, che eredita dal mondo reale, in
quanto, scrive Husserl, “da un lato la coscienza è coscienza di un
soggetto; dall’altro è coscienza di questo mondo, che la connette nelle
singole unità psicofisiche dell’uomo”.
A partire dalle considerazioni di Husserl sul flusso di coscienza, sulla
“consapevolezza di” in rapporto alla realtà naturale, e che Searle
riprende, pur se con qualche modifica, si può mettere in evidenza come,
già nel testo La riscoperta della mente (1994), l’interesse di Searle
è stato proprio quello di postulare, come per la mente, l’ipotesi che
anche la coscienza, in sintesi, è una proprietà biologica del cervello
degli esseri umani, determinata da processi neurobiologici: come la
fotosintesi, la digestione o la mitosi; ossia di riconoscerla come parte
integrante dell’ordine biologico, piuttosto che soffermarsi
primariamente, come ha fatto Husserl, sulla relazione fra la coscienza
intenzionale e l’oggetto. Searle scrive che “per coscienza dobbiamo
intendere la consapevolezza dei nostri stati mentali, delle nostre
esperienze intenzionali”. La nostra consapevolezza su qualcosa non si
basa su qualche privilegio del soggetto, ma, come dice anche Wittgenstein,
sulla prassi, ossia “la fondazione e la giustificazione non è data
immediatamente, ma è il nostro agire che sta a fondamento della nostra
forma di vita”. Tuttavia, aggiunge Wittgenstein, e questo è evidente
anche in Searle, il fatto di ricorrere all’esperienza per impiegare la
verifica di certi stati consapevoli o meno, “non significa che il loro
senso è determinato e fondato solo su qualcosa di empirico, ma che tale
verifica si basa su un sistema” o Rete di condizioni e di
interpretazioni propri “di uno Sfondo in parte tramandato, in parte
acquisito”. |