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Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004

 CULTURA

La filosofia dell’azione
(Silvia Coletti) - Il clima del pragmatismo americano. Con il pragmatismo, filosofia dell’azione, dalla William & Henry Jamesparola greca pragma “azione”, nasce un movimento filosofico che si sviluppa negli Stati Uniti d’America verso la fine dell’Ottocento e si diffonde, in seguito, anche in Europa. Sin dalla sua nascita la filosofia era considerata come l’unica in grado di rivelare all’uomo il vero senso del mondo e con l’episteme ha tentato di superare la teoria attraverso la conoscenza e la capacità pratica di guidare l’uomo verso la verità. Il vecchio significato empiristico di esperienza subisce una metamorfosi e non rappresenta più qualcosa di statico, ma indica un processo di trasformazione continua, in cui i fatti acquistano significato solo attraverso l’azione di indagine e trasformazione operata dal soggetto, come elemento di questa esperienza. Il termine che viene scelto è significativamente pragma, che sta ad indicare come il sapere ha sempre a che fare con qualcosa di pratico. Ne deriva una concezione dinamica dell’esperienza, che prende in considerazione il processo evolutivo come un processo aperto. La concezione pragmatica rifiuta sia la concezione monistica, quanto quella atomistica dell’esperienza ed esclude ogni forma di dualismo. Il pragmatismo intende mostrare sia l’unità che la pluralità della dimensioni dell’esperienza: l’unità dell’esperienza e la pluralità dei processi conoscitivi ad essa relativi. Un aspetto rilevante del pragmatismo è la considerazione della concezione etica di una conoscenza, in quanto se il conoscere è sempre anche un fare, le regole della conoscenza non possono prescindere da una considerazione morale. Questa filosofia si accorda con lo spirito di frontiera che costituisce nell’Ottocento la caratteristica della cultura americana: l’importanza del fare costruttivo, aperto al futuro, al cambiamento. Gli esponenti più importanti di questo movimento sono Charles S. Peirce, a cui si è soliti, sebbene non certi, attribuire l’atto di nascita del movimento: fu lui a coniare il termine “pragmatism” intorno al 1872 nel corso degli incontri del “Metaphysical Club” di Cambridge, William James, George H. Mead e John Dewey. Il pragmatismo è uno dei contributi più innovativi degli Stati Uniti in ambito filosofico. Non è facile caratterizzarlo con una semplice definizione, poiché il movimento non è in se stesso unitario e presenta al suo interno molteplici indirizzi alternativi. In generale, tuttavia, esso concepisce il pensiero non come una passiva contemplazione di una verità già prestabilita o una altrettanto passiva ricezione di dati sensibili provenienti dall’esterno, ma come un processo di intervento attivo sulla realtà. In questa prospettiva generale, il pragmatismo si configura, con Charles Sanders Peirce, come teoria del significato e identifica il significato di un’espressione con l’insieme delle conseguenze pratiche che derivano dalla sua accettazione. La genesi del pragmatismo fu profondamente influenzata dalla teoria dell’evoluzione di Darwin e dalla svolta che questa aveva impresso alla biologia. Secondo la lezione darwiniana, infatti, l’essere vivente è sempre in rapporto dinamico e conflittuale con l’ambiente in cui è immerso. In tal modo il pensiero poté essere interpretato dai pragmatisti come uno strumento che facilita l’adattamento dell’uomo nei confronti dell’ambiente.
La credenza come abito comportamentale. Nella filosofia del XX secolo, la convinzione della potenza conoscitiva del pensiero filosofico sembra sfumare e ricadere semplicemente nella consapevolezza di possedere soltanto degli strumenti complessi e raffinati con i quali l’uomo cerca di gestire e controllare il divenire, ma non riesce ancora a dominarlo o a rendere determinante la sua azione. È a questo punto che si ritiene necessaria la possibilità di considerare i concetti scientifici nella loro forma non solo teorica, ma essenzialmente pratica. Ogni aspetto del sapere scientifico non verte più ad intendere la conoscenza umana come una funzione che mira a cogliere la verità dell’universo, ma pone in evidenza l’espressione dei bisogni pratici e il tentativo di costruire un rimedio più efficace al divenire della vita. Rispetto alle filosofie precedenti, il pragmatismo si sforza di valorizzare i risultati. Ne deriva che una dottrina scientifica non è mai vera in astratto, ma solo se permette di raggiungere un fine. Per esempio una teoria medica deve essere detta vera o falsa solo in base alla sua effettiva capacità di produrre guarigioni. Il termine ‘pragmatismo’ mette in rilievo la tesi fondamentale secondo cui il significato di qualsiasi cosa è determinato dalla sua rilevanza pratica. Lo scopo della riflessione pragmatica è valutare il metodo della ricerca, nella prospettiva di indicare i modi con cui la realtà può essere cambiata. Il pragmatista si rivolge alla concretezza, ai fatti, all’azione e fugge da ogni teoria che non sia una guida all’azione. È per questo che il concetto di esperienza trova ampio sviluppo nell’ambito della cultura americana. Tra l’uomo e l’esperienza si instaura un processo di intervento, in cui l’attività conoscitiva diviene attività di modificazione e trasformazione della realtà. Il processo è sempre aperto, la riuscita e il fallimento non dipendono solo dall’oggetto preso in considerazione, ma dall’attenzione del soggetto per gli effetti del suo conoscere, che è sempre anche e soprattutto un fare. La logica porta con sé una fallibilità di principio, ossia la possibilità che le nostre inferenze immediate possano non trovare alcuna conferma di validità. Questa prospettiva nuova della fallibilità della scienza e il concetto di probabilità nella conoscenza di un oggetto nella realtà, conduce Peirce ha rinunciare all’idea di verità, per la credenza. Questo stato mentale guida lungo il percorso nella ricerca della conoscenza attraverso una lotta nata dall’insoddisfazione del dubbio. Con il pragmatismo di Peirce si assiste ad una rivalutazione dell’azione nei termini psicologici dell’attività propria del pensiero. In filosofia, come nella vita, è utile solo ciò che sia idoneo a modificare la condotta dell’uomo nei confronti delle cose e nei confronti dell’altro nel mondo. In base alla rivalutazione dell’azione, la verità oggettiva si trasforma in uno stato mentale di credenza, attività e farsi conoscitivo. La credenza non è un dato, ma è la risultante delle attività necessarie alla verificazione. Metodo di controllo della credenza non è la conformità ad un’esperienza passata o attuale; metodo di controllo della credenza, in forma di previsione, è il riferimento ad un’esperienza futura. Le credenze sono allora il frutto di un processo che si sviluppa sulla base di congetture. Queste andranno poi verificate nell’applicazione pratica. In questo senso Peirce afferma che la credenza è un “abito comportamentale”, perché è disposizione a comportarsi in un certo modo in date circostanze e per un dato motivo.

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Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004