La
filosofia dell’azione
(Silvia Coletti) - Il clima del pragmatismo americano.
Con il pragmatismo, filosofia dell’azione, dalla
parola
greca pragma “azione”, nasce un movimento filosofico che si sviluppa
negli Stati Uniti d’America verso la fine dell’Ottocento e si
diffonde, in seguito, anche in Europa. Sin dalla sua nascita la filosofia
era considerata come l’unica in grado di rivelare all’uomo il vero
senso del mondo e con l’episteme ha tentato di superare la teoria
attraverso la conoscenza e la capacità pratica di guidare l’uomo verso
la verità. Il vecchio significato empiristico di esperienza subisce una
metamorfosi e non rappresenta più qualcosa di statico, ma indica un
processo di trasformazione continua, in cui i fatti acquistano significato
solo attraverso l’azione di indagine e trasformazione operata dal
soggetto, come elemento di questa esperienza. Il termine che viene scelto
è significativamente pragma, che sta ad indicare come il sapere ha sempre
a che fare con qualcosa di pratico. Ne deriva una concezione dinamica
dell’esperienza, che prende in considerazione il processo evolutivo come
un processo aperto. La concezione pragmatica rifiuta sia la concezione
monistica, quanto quella atomistica dell’esperienza ed esclude ogni
forma di dualismo. Il pragmatismo intende mostrare sia l’unità che la
pluralità della dimensioni dell’esperienza: l’unità
dell’esperienza e la pluralità dei processi conoscitivi ad essa
relativi. Un aspetto rilevante del pragmatismo è la considerazione della
concezione etica di una conoscenza, in quanto se il conoscere è sempre
anche un fare, le regole della conoscenza non possono prescindere da una
considerazione morale. Questa filosofia si accorda con lo spirito di
frontiera che costituisce nell’Ottocento la caratteristica della cultura
americana: l’importanza del fare costruttivo, aperto al futuro, al
cambiamento. Gli esponenti più importanti di questo movimento sono
Charles S. Peirce, a cui si è soliti, sebbene non certi, attribuire
l’atto di nascita del movimento: fu lui a coniare il termine
“pragmatism” intorno al 1872 nel corso degli incontri del
“Metaphysical Club” di Cambridge, William James, George H. Mead e John
Dewey. Il pragmatismo è uno dei contributi più innovativi degli Stati
Uniti in ambito filosofico. Non è facile caratterizzarlo con una semplice
definizione, poiché il movimento non è in se stesso unitario e presenta
al suo interno molteplici indirizzi alternativi. In generale, tuttavia,
esso concepisce il pensiero non come una passiva contemplazione di una
verità già prestabilita o una altrettanto passiva ricezione di dati
sensibili provenienti dall’esterno, ma come un processo di intervento
attivo sulla realtà. In questa prospettiva generale, il pragmatismo si
configura, con Charles Sanders Peirce, come teoria del significato e
identifica il significato di un’espressione con l’insieme delle
conseguenze pratiche che derivano dalla sua accettazione. La genesi del
pragmatismo fu profondamente influenzata dalla teoria dell’evoluzione di
Darwin e dalla svolta che questa aveva impresso alla biologia. Secondo la
lezione darwiniana, infatti, l’essere vivente è sempre in rapporto
dinamico e conflittuale con l’ambiente in cui è immerso. In tal modo il
pensiero poté essere interpretato dai pragmatisti come uno strumento che
facilita l’adattamento dell’uomo nei confronti dell’ambiente.
La credenza come abito comportamentale. Nella filosofia del XX
secolo, la convinzione della potenza conoscitiva del pensiero filosofico
sembra sfumare e ricadere semplicemente nella consapevolezza di possedere
soltanto degli strumenti complessi e raffinati con i quali l’uomo cerca
di gestire e controllare il divenire, ma non riesce ancora a dominarlo o a
rendere determinante la sua azione. È a questo punto che si ritiene
necessaria la possibilità di considerare i concetti scientifici nella
loro forma non solo teorica, ma essenzialmente pratica. Ogni aspetto del
sapere scientifico non verte più ad intendere la conoscenza umana come
una funzione che mira a cogliere la verità dell’universo, ma pone in
evidenza l’espressione dei bisogni pratici e il tentativo di costruire
un rimedio più efficace al divenire della vita. Rispetto alle filosofie
precedenti, il pragmatismo si sforza di valorizzare i risultati. Ne deriva
che una dottrina scientifica non è mai vera in astratto, ma solo se
permette di raggiungere un fine. Per esempio una teoria medica deve essere
detta vera o falsa solo in base alla sua effettiva capacità di produrre
guarigioni. Il termine ‘pragmatismo’ mette in rilievo la tesi
fondamentale secondo cui il significato di qualsiasi cosa è determinato
dalla sua rilevanza pratica. Lo scopo della riflessione pragmatica è
valutare il metodo della ricerca, nella prospettiva di indicare i modi con
cui la realtà può essere cambiata. Il pragmatista si rivolge alla
concretezza, ai fatti, all’azione e fugge da ogni teoria che non sia una
guida all’azione. È per questo che il concetto di esperienza trova
ampio sviluppo nell’ambito della cultura americana. Tra l’uomo e
l’esperienza si instaura un processo di intervento, in cui l’attività
conoscitiva diviene attività di modificazione e trasformazione della
realtà. Il processo è sempre aperto, la riuscita e il fallimento non
dipendono solo dall’oggetto preso in considerazione, ma
dall’attenzione del soggetto per gli effetti del suo conoscere, che è
sempre anche e soprattutto un fare. La logica porta con sé una fallibilità
di principio, ossia la possibilità che le nostre inferenze immediate
possano non trovare alcuna conferma di validità. Questa prospettiva nuova
della fallibilità della scienza e il concetto di probabilità nella
conoscenza di un oggetto nella realtà, conduce Peirce ha rinunciare
all’idea di verità, per la credenza. Questo stato mentale guida lungo
il percorso nella ricerca della conoscenza attraverso una lotta nata
dall’insoddisfazione del dubbio. Con il pragmatismo di Peirce si assiste
ad una rivalutazione dell’azione nei termini psicologici dell’attività
propria del pensiero. In filosofia, come nella vita, è utile solo ciò
che sia idoneo a modificare la condotta dell’uomo nei confronti delle
cose e nei confronti dell’altro nel mondo. In base alla rivalutazione
dell’azione, la verità oggettiva si trasforma in uno stato mentale di
credenza, attività e farsi conoscitivo. La credenza non è un dato, ma è
la risultante delle attività necessarie alla verificazione. Metodo di
controllo della credenza non è la conformità ad un’esperienza passata
o attuale; metodo di controllo della credenza, in forma di previsione, è
il riferimento ad un’esperienza futura. Le credenze sono allora il
frutto di un processo che si sviluppa sulla base di congetture. Queste
andranno poi verificate nell’applicazione pratica. In questo senso
Peirce afferma che la credenza è un “abito comportamentale”, perché
è disposizione a comportarsi in un certo modo in date circostanze e per
un dato motivo. |