L’arte
della gioia di Goliarda Sapienza
Stampa Alternativa , 616 pag. a cura di A.M.
Pellegrino
(Federico Scrimaglio) - Goliarda Sapienza morì a Gaeta dove
amava stare a lungo sulla spiaggia a guardare
il mare. Ne aveva passate tante: dal successo come attrice negli anni
’40 all’abbandono della carriera per un’intensa attività di
scrittura; vicende giudiziarie che l’avevano portata in carcere a
Rebibbia - dove è nato il libro “L’Università di Rebibbia” - e
verso la fine della sua vita l’insegnamento al Centro Sperimentale di
Cinematografia. Veniva dalla Sicilia e nella sua scrittura si avverte il
ritmo fluente del mare che s’increspa e si acquieta. Una scrittura
diretta, corporale perché vibra di tutte le impressioni di quella
intelligenza dei sensi fisici pronta a cogliere ogni sfumatura, ogni
trasformazione lì dentro nel nostro compagno di lungo corso, il corpo. E
quindi può parlare della sessualità, dell’amore fisico in modo libero,
diretto, arioso, profondo mai volgare o gratuito. Colpisce subito nelle
prime pagine la netta presenza della fisicità dell’amore, della sua
bellezza e necessità. Questa capacità non di descrivere ma di entrare
nell’intimo di una situazione erotica svelandone ogni piega nascosta: la
dolcezza, i trasalimenti e gli abbandoni. La copertina di questo libro
scritto nell’arco di nove anni - dal 1967 al 1976, anni densi,
tormentati, felici - è di un arancio che quasi sconcerta se non fosse per
quella maschera etrusca che fa la linguaccia a mò di sfida: “E adesso,
se ti va, prova a leggermi!”. Sul retro c’è lei, Goliarda, che fuma
una sigaretta stesa su un’amaca e quel suo sguardo mite, con gli occhi
sofferti e comprensivi, sembra di ritrovarlo nelle pagine del libro.
Cos’è l’arte della gioia, misteriosa eppure chiara protagonista
dell’opera, che s’incarna nella vita del personaggio principale,
Modesta?
Ragazzina che conosce precocemente la felicità e il dolore, cresciuta in
un monastero di suore, poi in una nobile dimora retta da una poderosa e
anziana signora, la principessa Gaia, sua avversaria e maestra di vita;
Modesta crescerà, saprà cavarsela e vivere intensamente ogni esperienza
portando il suo pensiero a quella volontà lucida di essere felice perché
pienamente autrice di se stessa, in grado di non soccombere ai pregiudizi,
a quello che una donna deve fare o essere. La storia, quella a lettere
maiuscole che percorre la prima metà del secolo scorso, rivive nel libro
attraverso le sue sensazioni, non irrompe mai come protagonista, emerge
solo dallo sfondo. Gli occhi del libro sono quelli di Modesta che racconta
la sua vicenda ma anche quelli di una narratrice che si confonde con lei,
così che i passaggi dalla prima alla terza persona sono fludi, senza
alcuno stacco. Il tempo scorre e a volte salta in modo netto da un
capitolo all’altro ma più che una cesura, un taglio deciso è un tempo
interiore ritmato dalla volontà di Modesta di comprendere tutto quello
che le accade intorno e non farsene dominare. Sono ore, minuti, giorni,
anni di chi è autore della propria storia. Modesta, diventata
principessa, darà vita a una comunità di figli naturali e acquisiti,
amici che si perdono e si ritrovano, dove i personaggi crescono secondo la
necessità del loro percorso interiore, senza vincoli od obblighi di
sorta. Un luogo segnato dai ritmi delle stagioni, dalla presenza del mare,
dalla vita scandalosa per occhi estranei che vi si svolge dentro. Un libro
cinematografico perché fatto d’immagini che restano impresse per la
loro vivacità e per una ricchezza nella capacità di descriverle e farle
vedere allo sguardo interiore sicuramente originale. Una gioia, quella che
attraversa la vita di Modesta e dei suoi compagni, cercata, odiata,
allontanata, desiderata. Una gioia che coincide con la lucidità del
pensiero e del dubbio che Modesta coltiva come sola possibilità di essere
indipendente dalla pastoie del conformismo.
Goliarda Sapienza scriveva di mattina con delle penne bic su dei piccoli
quaderni che le ricordavano quelli della sua infanzia. Finito di scrivere
scendeva le scale e talvolta piangeva. Lacrime di gioia per quel tempo
rubato anche alla felicità, come amava definire la scrittura. Eppure
quanto di guadagnato alla fine!
Quella gioia che nasce dalla necessità, dalla bellezza di portare a
termine qualcosa che spinge a tutti i costi per vivere. |