Big
fish, di Tim Burton
(Federico
Scrimaglio) - Edward Bloom
per tutta la vita ha raccontato a chiunque gli capitasse sotto tiro
storie. O meglio, la storia, fatta di mille fantastiche avventure, della
sua vita. Cosa che non è mai andata a genio al figlio: fa il giornalista
e ce l’ha col padre per questo suo modo di mettersi in prima fila a
incantare gli occasionali ascoltatori con le sue straodinarie vicende.
Edward Bloom adesso sta
morendo: anche se è costretto a letto non la smette col suo vizio di
inventare. Stavolta però i nodi vengono al pettine: deve fare i conti con
la rabbia del figlio che vuole sapere la verità su quelle storie e suo
padre; perché sta diventando a sua volta padre e cosa potrà mai
racccontare a suo figlio del nonno? La favola sembra non bastare più e la
domanda è di quelle impegnative: è vero? Proprio come chiedono sempre i
bambini.
Ce lo chiediamo pure noi
o almeno ci proviamo. Anche se veniamo subito incantati dal fascino di
Bloom; dalla voce off del figlio che racconta la storia del padre: quella
che comincia e finisce con l’immagine del grande pesce.
Perché nel mondo di
Bloom essere un grande pesce significa aver combinato qualcosa nella vita;
non è solo una metafora. In questo film immaginazione e realtà si
stringono amichevolmente la mano nel guidare la vita degli uomini.
Nei suoi altri film Tim
Burton aveva creato mondi immersi nella loro dimensione favolistica, senza
alcun legame con una possibile realtà quotidiana: il gotico piovoso di
Batman, l’humor nero dei morti di Beeteljuice, il poetico e originale
Edward mani di forbice. Questa volta, accanto a quell’universo
immaginario che si sbizzarrisce nei racconti che fanno parte della vita di
Bloom, c’è la forte presenza di un mondo “reale”: fatto di dolore,
speranza, bisogno di comprensione e ascolto.
I personaggi favolosi
che Bloom ha sempre descritto possono essere persone reali che ha
incontrato ed esaltato o “preso in prestito” per creare le sue
affascinanti avventure. Allora, dove sta la “verità”?
Qui si comprende il
valore della fantasia: intensifica la vita, la esalta in aspetti
trascurati; insomma, ci apre gli occhi.
È un gioco continuo,
tra realtà e finzione, fatto di rimandi e ammiccamenti dove chi, come il
figlio di Bloom, è molto scettico può vivere i suoi momenti
“strani”: sta pulendo la piscina e vede nell’acqua guizzar via un
grosso pesce; come quello delle favole che gli raccontava da piccolo suo
padre. È solo un attimo: realtà, allucinazione o miracolo?
E sarà proprio lui, così
diffidente, a prendere il posto del cantastorie nel finale e a raccontare
“com’è andata” a finire la storia di Edward Bloom, con un grande
atto di pietà e comprensione nei confronti del padre: naturalmente è una
fine straordinaria. È un passaggio che segna l’accettazione di un modo
di essere, di uno sguardo diverso sulla vita. Ora, il figlio sa cosa
racconterà al bambino che sta per nasccere di suo nonno.
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