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Sommario anno XIII numero 8 - agosto 2004

 I NOSTRI PAESI - pagina 9

grottaferrata
S. Nilo e i suoi tempi - 6
di Claudio Comandini
6. Le meditazioni dell’eremita Nilo (prima parte)
Siamo nel 940. In Europa continentale, attraversata da frequenti incursioni di Ungari e Normanni, si preparano le basi di un nuovo impero attraverso le imprese di Ottone I di Sassonia, che consolida il suo potere muovendo guerra ai grandi feudatari e cercando alleanza con il clero cattolico, e del princeps Alberico II (definito a volte, in modo improprio, “di Tuscolo”) che esercita saldamente il potere civile a Roma, controllando anche l’azione dei pontefici. Presso l’Impero Bizantino Romano I Lecapeno sta concludendo il suo governo, al termine delle guerre con i Bulgari di Simeone (incoronato “imperatore dei Bulgari” dal patriarca di Costantinopoli, annette la Serbia, assedia Costantinopoli, ed è sconfitto nel 927), i Russi di Igor di Kiev (con cui nel 944 vengono avviati rapporti commerciali e l’opera di evangelizzazione) e gli Arabi (contro gli Abbassidi in Mesopotamia, i Fatimidi di Sicilia e lo stanziamento Omayade di Frassineto in Provenza). Con anche gli Omayadi nell’Andalusia, i Berberi in Africa del nord, e bande di pirati un po’ ovunque, i gruppi musulmani, spesso in guerra fra loro, sono sostanzialmente ben installati nelle zone del Mediterraneo. (cfr. Controluce 2-3/XII).
Dalla città mesopotamica di Edessa (oggi Urfa o Sanliurfa, Turchia, nei primi secoli importante per la diffusione del cristianesimo in Siria e Persia, dal 637 contrastato dominio arabo), nel 944 dopo ampie trattative con il sultano viene portata a Costantinopoli una reliquia in stoffa: il Mandylion (grecizzazione dell’arabo Mandil), “fazzoletto” su cui sarebbe impressa un’immagine del volto di Cristo definita acheiropoietos, “non fatta da mano umana”. Vi si riferisce nel II sec. Eusebio di Cesarea con la leggenda dei rapporti fra il re Agbar e Gesù; è ufficialmente trovata murata nella chiesa di Hagia Sophia di Edessa nel 525 durante un assedio persiano; con Giustiniano II nel 691 diventa modello iconografico e numismatico, ed è poi ampiamente celebrata da Costantino VII Porfirogenito, successore e già associato di Romano I, che la espone a S. Maria del Faro (presso l’attuale Fener, quartiere bizantino della Istambul turca), da dove scompare al tempo del saccheggio crociato del 1203. Se le vicende del Mandylion permettono escursioni preziose per comprendere la questione della disputa sul culto delle immagini, l’ipotesi sostenuta nel 1978 da Ian Wilson circa la sua identità con il telo della Sindone di Torino sembra forzatamente adattare dati piuttosto eterogenei, se non incongruenti.
Caliamoci nelle pieghe dell’epoca seguendo una delle vicende più esemplari della religiosità medievale, alla confluenza fra occidente e oriente: quella di S. Nilo, ricostruita in base alle tracce offerte dal Bios, la sua biografia, redatta da S. Bartolomeo in base a trasmissione diretta (l’opera ha anche una traduzione latina dal card. Sirleto che supplisce a smarrimenti di pagine dell’originale in greco), integrata dalla ricostruzione storica e critica di Germano Giovannelli, che in nota al testo (S. Nilo da Rossano, Badia Greca di Grottaferrata, 1966) mette in evidenza temi dalle importanti implicazioni. Nilo ha circa trent’anni, ed ha appena preso gli ordini presso S. Nazario di Rocca Gloriosa, in una zona di dominio longobardo in cui poteva sottrarsi alle proibizione poste dal governatore bizantino di Rossano (cfr. Controluce 5/XIII). Rifiuta il titolo di egumeno, e si propone sia di astenersi da onorificenze future, sia di non estromettere monaci per prenderne il posto, rispettando i voti monacali di castità e purezza del corpo, definito “ostia e dono offerto a Cristo”, e ricusando l’avarizia, “radice di tutti i mali”.
A piedi nudi e capo scoperto, con una tunica pelle di pecora da sé cucita, intraprende un eremitaggio di quaranta giorni, nutrendosi di frutta e erbe, astenendosi da pane, vino e cibo cotto, praticando l’arte calligrafica, e trascorrendo la notte nella preghiera e nelle genuflessioni. Riceve una visita di elogio da un suo vecchio domestico, a cui dona il mantello, e quasi anche la tunica, come ad invitarlo alla vita monastica. 
Gli episodi del Bios sono rivelativi della mentalità cristiana e del suo caratteristico dualismo, dove i voti si accompagnano inevitabilmente, e a volte in modo cruento, alle prove delle tentazioni dell’ “antitrinità” di mondo, carne e demonio, con i peccati di avarizia, lussuria e superbia. S. Nilo esprime una esistenza concepita come dedizione estrema alle virtù cristiane di “fede speranza e carità”, aderendo agli esempi della vita degli Apostoli e dei Profeti quasi fosse una citazione delle Scritture (le fonti più vicine alla sua ispirazione sono riscontrabili in Genesi III: 17-19, Salmo CXLII (CXLII), Isaia LII: 7, Matteo X: 10, Luca X: 41, II Tessalonicesi III: 10, Ebrei XI: 37-38, I Corinti XI: 7, I Corinti XIII: 13).
Ancora a S. Nazario un non meglio specificato gastaldo longobardo che dominava la zona aveva schiavizzato una donna ai servizi del monastero; Nilo, caratterizzatosi per la sua schiettezza, viene incaricato dal superiore di dissuaderlo, ma questo non si fa convincere neanche dalla morte preannunciatagli. Infatti si ammala, e dopo dieci giorni di febbre fredda viene travolto da una ribellione popolare, di cui è avvertito dalla concubina (non è chiaro se la stessa donna a cui ci si riferiva precedentemente o un’altra), e muore cadendo in terra armato, mentre i suoi sudditi lo danno in pasto ai cani. Poi Nilo torna, “colmo di Spirito Santo”, ai Padri del Mercurion.
Al Mercurion trascorre tre anni. Conosce un’amicizia con Padre Fantino che viene paragonata a quella fra Pietro e Giovanni e fra S. Basilio e S. Gregorio Nazianzeno, e in molti stanno ad ascoltare le loro letture bibliche, nelle quali Nilo aveva ampia competenza. Grande devozione è sentita per l’egumeno Giovanni: “molte volte si recava a baciare il posto, che i suoi piedi occupavano in Chiesa”, con riferimento esplicito all’altare del culto bizantino (vima), il cui tabernacolo (artoforion) contiene i Vangeli e le Sacre Specie. E Giovanni, da par suo, lo mette alla prova facendolo cadere in contraddizione in diversi modi. Gli offre un bicchiere di vino, verificandone l’obbedienza e allo stesso tempo rompendone l’ascesi: Giovanni lo redarguisce, e di fronte alle sue dichiarazioni di fede, lo benedice, esortandolo ad una “giusta via” nell’ascesi. Inoltre, Nilo confrontando la concordanza interna di alcuni passi della stessa opera, contesta un’interpretazione di S. Gregorio Nazianzeno datagli da Giovanni, che però gli oppone la sua autorità, che Nilo accetta. Una visione notturna degli apostoli Pietro e Paolo si propone di rivelargli l’interpretazione corretta, ma lui la riconosce come tentazione satanica. Parlando con il superiore, questi gli rivela il suo alto destino di “luce e sale degli erranti”, e inoltre riconosce che nella disputa aveva ragione, ma che fosse comunque preferibile insegnarli l’umiltà.
Ora, non è casuale il riferimento alla dottrina di Nazianzeno, esponente della Prima Patristica, in cui viene ampiamente discussa la teologia trinitaria, asserendo l’identità di natura delle tre persone, le quali si distinguono solo nell’origine e nel rapporto reciproco: queste riflessioni hanno all’epoca di Nilo già avuto sviluppi decisivi con lo scisma fra la chiesa di Roma e quella Bizantina provocata da Fozio patriarca di Costantinopoli (886), in base alla questione della processione dello Spirito Santo solo dal Padre e non dal Figlio (cfr. Controluce 2/XIII). Se non possiamo sapere l’argomento della disputa fra Nilo e Giovanni, è significativo che vi sia un esteso riferimento all’autore dei Discorsi Teologici (380), il cui studio Nilo poi approfondirà, influenzandone probabilmente l’avvicinamento a Roma.
Nilo esprime il desiderio di recarsi in eremitaggio, e con il consiglio dei monaci si reca su un monte vicino, in una grotta con un altare dedicato all’arcangelo Michele, che si voleva edificato da S. Saba da Collesano, sul modello dell’antico santuario di origine semitica del Gargano.
Successivamente per non esporsi a superbia si scava una grotta e vi si trasferisce, mantendosi nella meditazione come una “creatura angelica, assoggettando la carne allo spirito”, astenendosi dal vino e nutrendosi ogni cinque giorni di cibi poveri, crudi, praticando veglie, salmodie, genuflessioni, e dandosi anche la regola di recuperare gli esercizi eventualmente trascurati, ma senza permettersi lo zelo di fare di più.
Al rigoroso studio dottrinario si accompagnano quindi precise tecniche che qualificano l’ascesi in senso “funzionale” oltre che simbolico: secondo le parole di Giovannelli, attraverso una “eccezionale penitenza spirituale e corporale”, ricavandone “il dono delle guarigioni, della profezia, della penetrazione dei cuori e il potere sugli stessi spiriti infernali”.
Il programma giornaliero dei ritiri di Nilo è scandito dai ritmi del sacro. Al mattino per tre ore pratica particolari esercizi di calligrafia, con lettere piccole e strette, trascrivendo, come aveva fatto a S. Nazario, opere bibliche e religiose. La sua abilità arriva a riempire 8 fogli in ottavo in tre ore, con un sistema di tachigrafia sillabico greco da lui inventato e propagato. Fino a mezzogiorno prega presso la croce, genuflettendosi e recitando il salterio, cioè i 150 Salmi di Davide, distribuiti settimanalmente secondo le ore canoniche (salterio è anche nome di uno strumento a corda a pizzico o plettro usato per accompagnare i Salmi già dagli ebrei).
Fino alle ore 15 legge e medita le Scritture e le opere dei Padri della Chiesa, poi recita “l’ora di nona” prima del vespro, e dopo di questo passeggia nella natura, per comprendere “il creatore nelle sue creature”, praticando in un modo forse anche più accentuatamente “naturalistico” ciò che afferma Paolo (Romani I: 20) riferendosi all’ “invisibile perfezione” impressa da Dio nella creazione e “offerta alla considerazione per mezzo delle sue opere”.      (continua)

 I NOSTRI PAESI - pagina 9

Sommario anno XIII numero 8 - agosto 2004