No droga no party
(Vincenzo Andraous - carcere di Pavia e tutor Comunità Casa del
Giovane Pavia) Le file di sedie sono tutte occupate, la classe è
schierata nel grande salone, ragazzi e insegnanti riprendono fiato. Si è
conclusa da poco la visita guidata nei laboratori della Comunità Casa del
Giovane di Pavia.
Il dibattito prende il via dopo la visione di un video, in cui Don Enzo
Boschetti fondatore della comunità, pochi mesi prima di morire, con la
parola piegata dalla sua malattia, disegnava il dolore incontrato nei
tanti giovani raccolti ai margini della strada, le tante vite bruciate
nella frazione di uno sparo, e la fatica sopportata per i tanti giovani
liberati dalla droga, dalla necessità muta di sopravvivere in ginocchio.
Nel salone è scomparso il brusio disturbante, ora c’è tensione
dell’ascolto, c’è voglia di capire, di confrontarsi, di accorciare una
distanza, e c’è pure chi ha voglia di fare il maledetto per forza: “mi
scusi Vincenzo, non sono d’accordo con lei, io fumo qualche canna, ma non
sono certamente un tossicodipendente, credo che l’hascish non faccia
male“.
“In questa comunità ci sono duecento ospiti, tra giovani, adulti, donne,
provate a chiedere ad ognuno di essi, come hanno cominciato a fare uso di
sostanze. La maggioranza di loro vi risponderà: con uno spinello, sì,
proprio con una canna, e tu ci stai dicendo che non fa male.
Droghe leggere, droghe pesanti, quali allora le differenze, se a perdere
sono sempre i più giovani, quelli che in leggerezza hanno iniziato e con
pesantezza si sono perduti.
I tempi mutano, noi cambiamo, e le droghe si misurano con le nostre
debolezze, si ammodernano sulle nostre fragilità, cambiano abito mentale
nelle nostre rese.
Così è stato venti anni fa per l’eroina, droga-protestataria, così è ai
giorni nostri per la droga in pillole, quella che non consegna più gli
uomini ai pugni dritti nello stomaco, ma rende i più giovani attori
formidabili di storie inventate da scrittori invisibili.
Giovani rubati in corse folli contro il tempo che non basta mai, per poi
rimanere inchiodati ai bordi di qualche rettilineo, o per buona sorte su
una sedia a rotelle, fino a diventare vecchi per i rimorsi.
Il fumo delle sigarette brucia i polmoni fino a morire di cancro. Il vino
ubriaca fino a morire alcolisti. Qualche spinello non brucia i polmoni,
non rende alcolisti né drogati, ma in quel volo che fa ridere intontiti
c’è la sonnolenza della ragione, c’è il via libera della stanchezza che
non placca alla discesa, ma avventura senza attenzione, alla disavventura
già prossima. Quel ragazzo non ha ancora compreso la differenza tra una
vocazione di bullo per forza, e il coraggio di scendere dal palcoscenico,
dove i riflettori non colpiscono gli occhi, accecandoli.
Serve fare un passo indietro e comprendere che responsabilità e
credibilità provengono dal vissuto conquistato, sperimentato, dalla
conoscenza delle lacerazioni e dagli ideali, non certamente da uno
spinello, dalla droga. |