Kurt Cobain ed il Grunge dieci anni dopo
(Roberto
Esposti flann.obrien@email.it) -
Questo mese,
precisamente l’8 aprile, ricorrono dieci anni da quando Kurt Cobain, il
cantante dei Nirvana, si tolse la vita. Immagino già che una messe di
copertine di riviste musicali, di articoli scritti da critici musicali
(anche improbabili), di agiografie perfino, si riverserà su tutti noi e
quindi stendo i miei pensieri prima che questo teatrino si attivi e mi
intossichi…
Cobain, i
Nirvana, segnano un punto di rottura fondamentale nella storia del
commercio della musica, questo prima ancora di ogni considerazione
artistica sul loro lavoro. “Nevermind” (1991), la loro seconda uscita è un
disco di rock, anzi di punk (duro, all’americana) che ha venduto
tantissimo, da subito. Ha frantumato l’idea dominante allora tra gli
addetti ai lavori, che un disco di hard rock non potesse vendere, non
potesse scalare le hit parades. Ebbene “Nevermind” ha venduto
qualcosa come 10 milioni di copie. Assieme ad altri dischi che lo hanno
seguito ha aperto gli occhi su di una realtà che nessuno aveva previsto:
il pubblico degli adolescenti possedeva una capacità di giudizio, non
poteva essere solo imbonito a comprare “prodotti” appositamente
confezionati. Quando i teenager americani (e poi quelli europei) si
trovarono nelle orecchie quelle canzoni che parlavano di loro, del loro
disagio di essere la prima generazione completamente priva anche solo
della speranza di credere in dei valori, quando sotto il naso si misero la
copertina di quel cd che è il manifesto dell’innocenza corrotta dal
denaro, parve loro di specchiarsi, come se quel bambino nudo e pacioccone
rimandasse i buchi dei loro foruncoli. Ed era proprio così. Prima nel rock
c’era la catarsi della rabbia heavy metal (Metallica), poesia
lontana e cervellotica di qualche sparuto talento, perfino arte rumorosa (Sonic
Youth). Nei Nirvana c’era già la strage del liceo Columbine, altro che
Marilyn Manson… Seattle stava dando il primo dei suoi due contributi alla
cultura del mondo: città strana, modernissima, ma non metropoli, immersa
nei boschi di quello stato che è già quasi Canada e che porta il nome del
più grande eroe degli USA, dove per comodità o dandismo in molti portavano
le camicie di flanella dei nonni/padri/fratelli tagliaboschi; dove alla
fine nel giro ci si conosceva tutti. Un giro (fissato su pellicola da
“Singles” di Cameron Crowe) che non era una “scena”, non lo è mai stata.
C’erano dei talenti, enormi, riuniti nella stessa città che avevano tutti
la capacità, con le loro diverse chiavi, di dar voce ai demoni ed ai sogni
di una generazione: il demone dell’inadeguatezza dei Nirvana; quello
dell’autodistruzione degli Alice in Chains; il sogno che qualcuno racconti
le tue frustrazioni e che ti dica che incazzandoti ne puoi uscire, i Pearl
Jam. In mezzo a questo brillavano i Soundgarden, ai lati i Mudhoney, i
Mother Love Bone, gli Screaming Trees, le Hole e tanti altri. Alla fine
arrivarono anche ottimi epigoni come Stone Temple Pilots e Bush. Alla fine
di cosa? Alla fine di questa emersione di urgenze conosciuta come “Grunge”,
che si compì nella maniera più logica e scontata per molti di questi
ragazzi: i cantori del male vennero da questo sopraffatti (Cobain, Layne
Staley), altri persa la via del loro pubblico si inaridirono (Pearl Jam),
altri ancora capirono che l’urgenza era finita e risolsero che ormai si
era diventati grandi e bisognava cercarsi un “lavoro” (Soundgarden, Chris
Cornell in particolare). I Nirvana di tutto questo sono stati coloro che
hanno aperto la via, che l’hanno percorsa fino in fondo e poi l’hanno
chiusa con quel “Unplugged in New York” che suona come “In utero” eseguito
da una schiera di angeli. Cobain, fragile e sensibile com’era si trovò
(come si era trovato Ian Curtis) ad essere la voce di una generazione: non
resse, nessuno poteva reggere.
Che
cosa resta oggi di tutto questo? Restano alcuni dei migliori dischi di
hard rock di sempre, è un fatto. E la raggiunta consapevolezza che la
musica cosiddetta “pesante” può vendere e tanto. Non è più impresentabile,
anzi spesso è creata per essere sgradevole o fintamente trasgressiva:
tanto basta attaccare al cd l’etichetta “parental advisory” ed il gioco è
fatto. E’ triste, però in mezzo a tanto schifo fatto da Blink 182, Green
Day, Offspring, NOFX e simili hanno ora la possibilità di arrivare al
grande pubblico realtà come i Korn ed i System Of A Down.
Impensabile un tempo. |