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Sommario anno XIII numero 4 - aprile 2004

 I NOSTRI PAESI - pagina 12

grottaferrata
S. Nilo e i suoi tempi – 4    (di Claudio Comandini)
4. Festa di nozze fra Oriente e Occidente
A Bisanzio è inevitabile la rivalità con il ricostituito impero d’occidente, mentre l’autorità bizantina sembra in qualche modo imprescindibile per i sovrani occidentali. Già Carlo Magno aveva inoltrato regolare richiesta di matrimonio alla principessa vedova Irene, sopravanzata dalla morte di lei, e se Michele I nel 812 riconosce Carlo Magno come basileus, per i bizantini i suoi successori sono privi di ogni legittimazione, e considerati semplici rex barbari; dal canto loro i papi successivi a Leone III tendono a costituire un impero separato ed autonomo da quello bizantino: Giovanni XIII e Benedetto VI infatti si mostrano contrari alla nuova unione con Costantinopoli prospettata dalle nozze dell’erede di Ottone I.
In oriente il cristianesimo si è unito al mondo greco e asiatico, in occidente i popoli del nord e il papato hanno conquistato il potere; ideologicamente ambedue hanno le basi nell’unicità dell’Impero e nel rivendicare l’esclusiva eredità di Roma; politicamente i loro interessi verso il sud Italia sono in conflitto: mentre Ottone ha ingerenze nei possessi bizantini, Adalberto del Friuli è esule proprio presso la corte bizantina e può suscitare una guerra nelle Calabrie.
Alla contrapposizione dei termini Franco o Latino contro Greco o Bizantino, corrispondono differenti caratteristiche morali, istituti e forme di vita. Sulle orme di Liutprando, sappiamo che i Bizantini considerano come tipici degli Occidentali il feudo, l’armamento e il modo di combattere della cavalleria, e che i Latini, nel contrasto con i Bizantini, sentono più viva la comunanza di vita, di costumi, di tradizione fra le nazioni dell’Occidente. Invece l’appellativo di Romano è singolarmente sdegnato, la stirpe del “fratricida Romolo” è apertamente esecrata dai popoli d’origine longobarda proprio mentre ne reclamano l’eredità: Liutprando afferma che la parola Romano viene generalmente usata come insulto, mentre fa intendere che i Greci sono reputati infidi e traditori, oltre che bizzarri sia negli abiti che nell’alimentazione; Foca invece palesa nei confronti di Latini e Franchi la considerazione che si può avere verso gli usurpatori rozzi e ignoranti.
Niceforo II Foca, aristocratico della Cappadocia eletto per acclamazione nel 963 dopo aver ripreso Creta e Aleppo, estende l’impero a Cilicia e Siria, rafforzando esercito e cavalleria. Il servizio dei cavalieri a cavallo, di tipo occidentale, favorisce l’acquisto di terre per i cavalieri, e sorge il ceto dei prionari, piccoli feudatari, patrimonialmente più ricchi degli stratioti, contadini-soldati precedente ossatura dello stato. Ma Foca paga il prezzo della impopolarità a cui lo espongono gli stessi successi ottenuti dalla lunga carriera militare: un enorme peso fiscale, l’aumento prezzi, la svalutazione. Nel 969 è ucciso nel suo letto da una congiura a cui partecipano la moglie e l’ex generale Giovanni Zimiscè. Zimiscè per madre è imparentato con Foca, ma se appartiene all’aristocrazia la contrasta nella politica agraria, con inchieste poliziesche sulle proprietà, limitazioni delle libertà di domicilio e anche azioni di razzia. Nel 971 stronca le pretese dei Bulgari sull’intera Tracia fino a Costantinopoli e ne abolisce il patriarcato, ed elimina l’ingerenza nei Balcani dello zar russo Boris; prosegue poi la guerra in oriente, avanza in Mesopotamia e consolida il possesso della Siria contro le incursione dei Fatimidi che dall’Egitto avevano aggredito Antiochia.
Nel 972 dopo che gli arabi rapiscono Maiolo di Cluny, Guglielmo di Provenza guida l’alleanza che espugna definitivamente il presidio di Frassineto, attivo dall’889 in conseguenza delle crisi interne degli Omayyadi andalusi. La situazione è favorevole ad una ripresa dell’alleanza fra gli imperi cristiani in funzione antiislamica, e ciò contribuisce al decisivo cambio di atteggiamento dei bizantini: Zimiscè rompe la tregua stabilita da Foca con l’emiro di Palermo al-Muizz, ed accoglie favorevolmente le richieste dell’imperatore tedesco.
Ottone I riconosce i possessi bizantini in cambio della mano della principessa Teofano per il figlio Ottone II. L’identità della principessa non è molto chiara: per Ostrogorskj è probabilmente una parente di Zimiscè, smentendo la tesi sostenuta anche da Gregorovius che debba essere la principessa porfirogenita figlia di Romano II richiesta inizialmente da Ottone; per Moritz è la figlia di Costantino VII, per M. Uhlriz è la figlia di Stefano Lecapeno.
La sposa imperiale, accompagnata da Gerone arcivescovo di Colonia, due vescovi ed un seguito di conti e duchi, sbarca nelle Puglie e a Roma il 14 aprile 972, accolta dal diciassettenne Ottone II, con in dote centinaia di carri colmi di madreperla, ebano, pietre preziose, oro, argento, bronzo. Il matrimonio è celebrato da Giovanni XIII alla presenza dei grandi di Germania e Italia con una cerimonia senza precedenti, che sembra la riconciliazione di due mondi.
I grandi festeggiamenti nascondono il radicalizzarsi dei conflitti. Capua e Benevento vengono nominate metropoli con una serie di diocesi suffraganee, andando a costituire un prolungamento di Roma verso il meridione, tradizionalmente sotto la giurisdizione del patriarca di Costantinopoli, che risponde, per allontanare l’influenza di Roma, con la nomina di Otranto ad arcivescovato, con cinque diocesi annesse, e imponendo in Puglia e Calabria il rito greco con la proibizione di quello latino, mentre Zimiscè cerca di soppiantare a Salerno la potenza tedesca di Pandolfo Testa di ferro.
Ottone I nel 973 torna in Germania e muore nel suo castello di Memleben. Teofano intraprende una sua personale politica feudale ed edilizia, elargendo fondi ad enti ecclesiastici e laici che la sostenessero. A Roma acquisisce proprietà sull’Aventino, sul Campidoglio e a Ripa Greca, mentre l’aspetto “orientale” della sua influenza entra in conflitto con la suocera Adelaide. Giovanni XII invia il vescovo tuscolano Egidio in Polonia a convertire Slavi e Ungari.
Nel 974, mentre Ottone II fa guerra ad Aroldo il Dente Azzurro di Danimarca e ai Boemi, a Roma c’è un’insurrezione promossa da Crescenzio III Crescenzi de Theodora, forse fratello di Giovanni XIII. Benedetto VI, di nomina imperiale, è imprigionato e poi strangolato a Castel S. Angelo, ed è eletto come Bonifacio VII il diacono di origine franca Francone, figlio di Ferruccio, sostenuto nel periodo immediatamente successivo alla morte di Ottone I dai Crescenzi e dagli insorti. Un mese e dodici giorni dopo, all’arrivo del messo imperiale Sicco, Crescenzio si ritira in convento sull’Aventino, e Bonifacio VII, accusato dell’omicidio di Benedetto VI e di uno stupro, fugge con il tesoro della Chiesa a Costantinopoli.
La scomunica di Bonifacio VII è il primo atto del papa di nomina imperiale Benedetto VII, vescovo di Sutri, scelto dopo che Maiolo di Cluny aveva espresso il suo rifiuto per la carica. Benedetto VII appartiene ai Conti di Tuscolo, discendenti di Alberico, ma è oscura la sua collocazione negli alberi genealogici. Benedetto VII, particolarmente dedito alle pratiche ecclesiastiche e alla promozione dell’agricoltura, riprende la riforma degli ordini monastici e il restauro dei conventi. S. Bonifacio sull’Aventino (oggi S. Alessio e S. Maria) nel 977 è donato a Sergio metropolita di Damasco, fuggito dalle incursioni arabe: il monastero cluniacense ospita sia benedettini latini che basiliani greci. Inoltre Benedetto VII invia missionari nei paesi germanici e slavi, dove concede privilegi agli arcivescovi di Magonza e Treviri, e istituisce la diocesi di Praga, con giurisdizione sulla Boemia e sulla Moravia.
In Oriente Zimiscè conquista agli arabi vasti territori, fra cui le città di Antiochia e Beyrut, e tralascia Gerusalemme per non esporsi ad una battaglia incerta. Un messaggio al re armeno Asot III afferma l’egemonia bizantina nel Vicino Oriente, più programmatica che reale: “la Fenicia, la Siria e la Palestina sono liberate dal giogo dei Saraceni e riconoscono la sovranità dei Romani”. Zimiscè muore inaspettatamente di tifo nel 976, mentre bizantini e pisani tentano insurrezioni in Sicilia. Gli esponenti porfirogeniti Costantino VIII e Basilio II, i figli di Romano II e Teofane affidati prima a Foca e poi a Zimiscè, prendono il potere con l’aiuto del loro prozio, il parakoinomenos eunuco Basilio; dove il primo risulta un dissipatore, il secondo, nonostante le continue difficoltà, porta la potenza bizantina al suo culmine.
Nell’anno 980 nella foresta regia di Ketil nasce l’erede imperiale tedesco. Verificatisi a Roma dei focolai di rivolta indipendentista, Benedetto VII chiede l’intervento di Ottone II, che scende con Adelaide, Teofano, Ugo Capeto duca di Francia e Corrado re dei Burgundi. A Ravenna papa e imperatore celebrano insieme la messa di Natale, e giunto a Roma Ottone II instaura un clima intimidatorio, del quale è indicativa una storia, forse leggendaria, su un banchetto offerto sui gradini di S. Pietro, in cui metà dei convenuti viene decapitata, invitando gli altri a proseguire il pasto. Nel 981 Ottone II indice un concilio in cui condanna la simonia, la diffusa pratica di compravendita dei titoli ecclesiastici, e il vescovo tedesco Giliser ne approfitta per creare diocesi a lui subordinate, smembrando quella di Merseburgo.
L’imperatore pianifica una spedizione contro gli Arabi, ben insediati nel meridione italiano dopo le vittorie di Taormina (962) e Remetta (965). Nel 982, occupata Salerno, viene presa Taranto, e la battaglia si dirige a Capo Colonna. L’esercito imperiale è sconfitto a Stilo dalle truppe dell’emiro fatimida al-Qasim di Palermo, morto in battaglia. La sconfitta favorisce Bisanzio, che intende destituire il dominio di Barda II e Costantino IX, fratelli di Teofano, e rivuole Capua e Benevento. Ottone II fugge dalla nave per Rossano, dove ripara Teofano, e va a Capua per impedire che i bizantini insedino a Ravenna il loro esarca per poi imporre papi a loro graditi. Nel giugno 983 a Verona suo figlio Ottone III di tre anni riceve l’incoronazione a re di Germania e d’Italia. A luglio muore Benedetto VII, sepolto a S. Croce in Gerusalemme, e a settembre diviene Giovanni XIV il cancelliere imperiale Pietro, vescovo di Pavia. A dicembre Ottone II muore improvvisamente nel palazzo imperiale in S. Pietro, ed è sepolto a Roma. Nel 984 Teofano, osteggiata da Adelaide, torna in Germania con il figlio, mentre Enrico di Baviera il Rissoso si appropria del titolo di Re di Germania ed effettua un breve rapimento del piccolo Ottone III.
Giovanni II Crescenzi si autonomina patricius e instaura una sua dittatura, in cui riprende ruolo Bonifacio VII, tornato da Costantinopoli dopo nove anni. Questi rinchiude a Castel Sant’Angelo il suo predecessore, poi avvelenato, e si vendica delle fazioni a lui avverse, spadroneggiando con violenza. Dopo undici mesi, in una insurrezione guidata sempre da Giovanni II Crescenzi, viene ucciso e il suo cadavere appeso nella piazza del Laterano ai piedi del cavallo della statua di Marco Aurelio, che si credeva rappresentasse Costantino. Forse è impossibile fare chiarezza sugli effettivi rapporti che legano Costantinopoli e Roma nel periodo in cui fa le sue apparizioni Bonifacio VII, figura che inevitabilmente nasce sia dal conflitto fra Germania e Bisanzio che dai contrasti interni ai poteri romani.
Nel 985 diviene papa Giovanni XV, fedele alla fazione imperiale ma condizionato dal potere dei crescentini, mentre Giovanni II Crescenzi si vede confermato il titolo di patricius da Teofane, da lui accolta nel 989 a Roma con tutti gli onori. È evidente il compromesso fra i poteri: l’imperatrice vedova obbliga i Romani ad obbedire al figlio di nove anni; Giovanni II Crescenzi ha potere in campo civile, amministrando la giustizia ed i beni territoriali della Chiesa; il pontefice si dedica a beneficiare i suoi parenti.
Nel 991 il vescovo di Orléans Arnolfo di Reims lancia un’accusa contro Roma, degradata a ingiuria della cristianità, mettendone in dubbio il primato: il papa è definito “l’anticristo che sedendo in trono sul tempio di Dio, come un dio si mostra agli occhi del popolo”. Intanto, a Venezia la bizantina Maria Argiro, moglie del doge Giovanni Orseolo e cugina di Teofano, introduce l’uso della forchetta, e nelle zone di vasta confluenza del meridione italiano sta compiendo i suoi pellegrinaggi l’eremita Nilo.

 I NOSTRI PAESI - pagina 12

Sommario anno XIII numero 4 - aprile 2004