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Sommario anno XIII numero 4 - aprile 2004

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Corridoio tirrenico. Le mani sul litorale
(Luca Ceccarelli) - Si dice da anni che ci sarebbe la necessità di un adeguamento del sistema stradale nella parte meridionale del litorale tirrenico laziale. La via Pontina è congestionata da un traffico di merci e di passeggeri. Per questo motivo sono state avanzate nel tempo delle proposte di potenziamento e allargamento della strada che, insieme al completamento dell’anello ferroviario di Roma che permetterebbe la costruzione di un passante per le merci, e al conseguente rilancio del trasporto ferroviario merci, a cui sarebbe stato da aggiungere il rinnovamento e potenziamento dell’interporto di Latina, avrebbe determinato il decongestionamento del traffico sul litorale tirrenico pontino. A queste opere infrastrutturali, la giunta regionale del Lazio di Piero Badaloni aveva aggiunto il progetto della bretella stradale Cisterna-Valmontone, volta a raccordare il litorale pontino con l’autostrada Roma-Napoli (un’opera, quest’ultima, soggetta peraltro a innumerevoli contestazioni per il numero considerevole di abitazioni e di aziende agricole destinate inesorabilmente alla demolizione) e il progetto della bretella stradale Fondi-Ceprano, sempre finalizzata a raccordare, più a Sud, l’autostrada Roma-Napoli con la Pontina.

Sono passati alcuni anni da quando nacque il progetto, la giunta regionale è cambiata, e si dispone di un ampio panorama delle infrastrutture ferroviarie rimaste sulla carta (praticamente tutte), e di quelle in progetto, tutt’altro che rassicuranti. A cominciare dalla “superfetazione” che ha trasformato le bretelle stradali della giunta Badaloni in un’autostrada a sei corsie da Fiumicino a Formia: 130 chilometri, 17 dei quali di gallerie, intervallata continuamente da viadotti e ponti, che porterebbe (i dati provengono dal sito del Comitato contro il Corridoio tirrenico meridionale, www.controcorridoio.it) alla distruzione di 500 ettari di terreno agricolo.
Senza parlare poi dei danni enormi che vi sarebbero per una serie davvero considerevole di siti archeologici, e di terreni destinati a parco pubblico di gran pregio, quali la Riserva regionale del Litorale Romano, la Tenuta presidenziale di Castel Porziano e il Parco regionale di Decima-Malafede. Questa gigantesca opera stradale verrebbe a costare la “modica” cifra di 2 miliardi e 730 milioni di euro, di cui però solo il 40% finanziato con denaro pubblico, mentre il rimanente 60% verrebbe finanziato dai privati, secondo quanto ribadito dall’assessore ai trasporti della giunta Storace, Giulio Gargano, in un’intervista rilasciata all’agenzia Ansa il 28 febbraio ultimo scorso, giorno in cui diecimila persone hanno sfilato a Latina per manifestare la propria contrarietà a questo progetto. Ma lo stesso assessore deve ammettere tra le righe, nell’intervista in questione, che dovendo assicurare ai privati che vi hanno investito un ritorno finanziario, il “corridoio” dovrà essere a pedaggio. Nella medesima intervista, l’assessore sosteneva che il corridoio «è una soluzione valida per poter garantire anche l’espansione del tessuto metropolitano in direzione dei Castelli Romani».
Dunque, l’edificazione interminabile che procede da almeno un decennio nelle frazioni di Pavona, di Cecchina, di Santa Maria delle Mole, secondo modalità legali e illegali, che sta facendo degenerare i comuni di Albano Laziale, Marino, Castelgandolfo, in appendici di un’immensa borgata a Sud di Roma, non basta all’assessore Gargano? Ci vuole altra “espansione del tessuto metropolitano”? Viene da pensare che chi esprime simili riflessioni non lo faccia per insipienza, ma sappia molto bene quello che dice.
Il problema è che si tratta di una concezione della gestione del territorio, e in ultima analisi dell’economia, estremamente miope, tutta incentrata sulla quantità, piuttosto che sulla qualità. Una concezione antropocentrica in cui la natura è solo un magazzino di risorse da acquisire indefinitamente, secondo la concezione che ha prevalso, del resto, nel cinquantennio successivo alla guerra, che ha determinato in Italia, il trionfo del mattone e dell’asfalto, e che spinse un uomo politico a rispondere a qualcuno che lo invitava a preoccuparsi dell’ambiente per il bene dei posteri: «E che cosa hanno fatto per noi questi posteri?!».
Senza contare che, secondo stime attendibili (oltre che alla luce del buon senso) è vero che gli spostamenti su questo asse viario sono molto intensi, ma è altrettanto vero che sono tutti di modesta lunghezza, rendendo ingiustificata la costruzione di un’autostrada che imporrebbe il pedaggio ai suoi utenti.
Ma non è ancora detta l’ultima parola: sebbene l’opera sia stata fortemente voluta dal ministro Lunardi, e inserita nella famosa “Legge obiettivo”, permangono numerose ipoteche su questo che, senza esitazione, si può chiamare “ecomostro”: a cominciare dal fatto che la Legge obiettivo, che tende a scavalcare i comuni e le provincie (le quali sono dal punto di vista costituzionale competenti per la realizzazione delle strade) ha già spinto la Corte costituzionale, per un altro caso, a ribadire la necessità di rispettare i principi di correttezza nei rapporti tra gli enti locali. La via ad un ricorso al Tar, anche da parte di questi ultimi, è ormai aperta. Sempre che all’ultimo non prevalga il senso di responsabilità sulla megalomania.

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Sommario anno XIII numero 4 - aprile 2004