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Sommario anno XIII numero 3 - marzo 2004

 LE GRANDI IDEE DELLA SCIENZA

Le ipotesi non euclidee       (7a puntata - seconda parte)
(Luca Nicotra) - Genesi storica delle geometrie non euclidee
1. Le forme equivalenti del quinto postulato
I principi della geometria euclidea furono ritenuti per almeno due millenni gli unici possibili, poiché erano tratti dalla realtà fisica, che non può non essere vera1. Come autorevole testimonianza di quest’atteggiamento di unanime fiducia, basti ricordare il giudizio filosofico di Emanuele Kant, secondo cui le figure della geometria euclidea sono “giudizi sintetici a priori” della realtà esterna.
Le proposizioni primitive poste da Euclide a fondamento della geometria variano leggermente in numero e contenuto, nelle varie versioni degli Elementi. Generalmente si fa riferimento all’elenco di dieci proposizioni primitive dato da Thomas L. Heath, considerato il maggiore studioso moderno di Euclide. Esse sono distinte in assiomi generali, detti nozioni comuni o semplicemente assiomi, e in assiomi speciali o postulati. Gli assiomi generali hanno un’evidenza universale, essendo validi per tutte le branche della matematica e sono:
i.          La parte è minore del tutto.
ii.          Due cose uguali ad una terza sono uguali fra loro.
iii.         Aggiungendo a due cose uguali altre due cose uguali si ottengono cose uguali.
iv.         Sottraendo da due cose uguali altre due cose uguali si ottengono cose uguali.
v.          Due cose che coincidono sono uguali.
Gli assiomi speciali o postulati, invece, sono validi soltanto per la geometria. Essi presentano una minor evidenza rispetto agli assiomi, e ciò giustifica il loro nome, che indica trattarsi di “verità postulate”, vale a dire di verità che si chiede al lettore di accettare:
i.          Da ogni punto del piano ad ogni altro punto è possibile condurre una linea retta.
ii.          Un segmento di linea retta può essere indefinitamente prolungato in linea retta.
iii.         Attorno ad un centro scelto a piacere con un raggio scelto a piacere è possibile tracciare una circonferenza.
iv.         Tutti gli angoli retti sono uguali tra loro.
v.          Ogni volta che una retta, intersecando altre due rette, forma con esse angoli interni da una medesima parte (angoli coniugati interni) la cui somma è minore di due retti, allora queste due rette indefinitamente prolungate finiscono con l’incontrarsi da quella parte nella quale gli angoli anzidetti formano insieme meno di due retti.
Quest’ultimo postulato, detto anche postulato delle parallele, differisce notevolmente dai precedenti, sia per una maggiore complessità sia per una scarsa evidenza fisica. Esso è divenuto famoso nella storia della matematica, e più in generale del pensiero filosofico-scientifico, per essere stato l’origine delle prime ipotesi non-euclidee e, di conseguenza, di quel profondo mutamento nella concezione della matematica che ne è scaturito, di cui già ci siamo occupati nella Prima Parte di questa memoria. Gli psicologi sostengono che la difficoltà d’intuizione di questo postulato è imputabile, fra l’altro, alla maggiore complessità della sua elaborazione attraverso i sensi, che in questo caso sarebbero due: il tatto e la vista. Inoltre, dice Luigi Campedelli, esso richiede “una più matura educazione ai concetti matematici (perché implica l’estendersi della retta all’infinito). Si aggiunga l’impossibilità di una verifica sperimentale (sempre a causa di quell’illimitata lunghezza della retta) sia pure nella grossolana approssimazione che è consentita dai modelli materiali degli enti geometrici astratti”.
Nel contesto di una geometria, come quella euclidea, ispirata all’esperienza fisica e quindi di stampo intuizionista, la mancanza di evidenza fisica ha fatto sospettare che il quinto postulato potesse essere in realtà un teorema, vale a dire una proposizione derivabile dagli altri postulati. Lo stesso Euclide lo introduce il più tardi possibile, come 29a proposizione del 1° libro degli Elementi, dopo aver dedotto tutte le possibili conseguenze dei primi quattro postulati. Questa evidente riluttanza di Euclide a servirsi del quinto postulato fa pensare che egli stesso ne avesse cercato invano la dimostrazione e che, alla fine, intuita la sua indimostrabilità, e volendo d’altra parte servirsene per la dimostrazione di successive proposizioni, si fosse rassegnato a collocarlo ultimo fra i postulati.
I posteri furono meno saggi di Euclide, e per duemila anni si affannarono invano nella ricerca della dimostrazione del postulato delle parallele. La lista dei matematici impegnati in quest’ardua impresa è lunga e ricca di nomi illustri: il grande astronomo Tolomeo, molti geometri mussulmani dal secolo IX al secolo XIII, i più ingegnosi geometri italiani del Rinascimento e del secolo XVII, il matematico inglese John Wallis (1617-1703), predecessore di Newton, il francese Adriene Marie Legendre (1752-1833), l’ungherese Farkas (o Wolfgang) Bolyai (1775-1856). Quest’ultimo era talmente provato dalle sue inutili fatiche, che quando seppe che il figlio Janos (1802-1860), ufficiale dell’esercito e brillante matematico, si stava dedicando allo stesso problema, cercò in tutti i modi di dissuaderlo: “Per amor del cielo, t’imploro di desistere dal tentativo. Il problema delle parallele è una cosa da temere ed evitare non meno delle passioni dei sensi, poiché anch’esso può rubarti tutto il tempo e privarti della salute, della serenità di spirito, e della felicità”. Evidentemente Farkas Bolyai non conservava un buon ricordo dei suoi infruttuosi tentativi! Per nostra fortuna, il figlio era più testardo e fortunato del padre e si dedicò invece con caparbia all’irrisolto problema delle parallele. Egli, come tutti gli altri, non riuscì a dimostrare il postulato delle parallele, tuttavia pervenne, indipendentemente, a risultati analoghi a quelli raggiunti dal matematico russo N.I. Lobacevskj, scoprendo la geometria non-euclidea iperbolica, detta anche di Bolyaj-Lobacevskj in onore di entrambi i matematici. In realtà, Carl Friedrich Gauss (1777-1855), “princeps mathematicorum”, per trentacinque anni lavorò alla stesura della stessa geometria non-euclidea ufficialmente pubblicizzata da Lobacevskj nel 1826, giungendo nel 1824 alla conclusione che tutti i tentativi di dimostrare il quinto postulato di Euclide sono vani e che è possibile costruire geometrie diverse da quella euclidea, ma non pubblicò mai tali risultati, un po’ per la sua proverbiale riluttanza a pubblicare2 e un po’ per paura delle risa dei “beoti”. Evidentemente, Gauss temeva che la concezione di geometrie non-euclidee era troppo rivoluzionaria per quei tempi, e avrebbe incontrato sicuramente una grande avversione e incomprensione presso i contemporanei.
Tutti i tentativi di dimostrazione del quinto postulato fallivano per lo stesso errore logico: l’ammissione, spesso inconsapevole e non esplicita, di un postulato logicamente equivalente ad esso, da cui scaturiva quindi un circolo vizioso.
Lo stesso errore inficia l’opera più insigne del padre gesuita Giovanni Gerolamo Saccheri (S. Remo 1667 – Milano 1733): “Euclides ab omni naevo vindicatus”, che peraltro può essere considerata l’atto di nascita delle geometrie non-euclidee. Tale opera rimase nell’oblio per circa un secolo e mezzo, fin quando nel 1889 una sua copia fu ritrovata dal padre gesuita Angelo Manganotti, il quale la fece leggere ad un grande matematico del tempo, Eugenio Feltrami (1835-1900). Questi, riconosciuto il valore dell’opera, che anticipava di ben novantasette anni l’apparizione ufficiale delle geometrie non-euclidee da parte di Lobacevskj (1826), rese il dovuto riparo all’oblio più che secolare, pubblicizzando brillantemente, negli ambienti scientifici internazionali, l’opera ritrovata.
Anche il matematico svizzero Johann Heinrich Lambert (1728-1777), scienziato di molteplici interessi, ben noto per la sua somma superbia3, tentò invano di dimostrare il postulato delle parallele, ma egli stesso ammise e riconobbe lucidamente la causa del suo fallimento: “Èpossibile sviluppare dimostrazioni del postulato di Euclide fino a un punto tale che il resto sembra una cosa da nulla. Ma un’analisi accurata mostra che in questa cosa apparentemente da nulla sta tutta la difficoltà: essa, infatti, contiene di solito o la proposizione che si vuole dimostrare o un postulato equivalente”.
Lambert, dunque, fu il primo ad individuare la ragione di tutti i fallimenti di dimostrazione del postulato delle parallele: l’utilizzo di forme equivalenti al quinto postulato; cerchiamo di rendercene conto più in dettaglio.
Il postulato delle parallele può assumere varie forme, che mettono in evidenza proprietà differenti ma reciprocamente deducibili l’una dall’altra o equivalenti. Ciò significa, per esempio, che dette a e b due di tali forme, se si considera come postulato a, allora  b è deducibile da a e quindi b è un teorema; viceversa, se si considera come postulato b , allora  a è deducibile da b e quindi, questa volta, a è un teorema.
Enunciati equivalenti del quinto postulato, diversi da quello originariamente dato da Euclide, sono:
A.         Per un punto fuori di una retta, in un piano, si può condurre una parallela e una soltanto alla retta data (è questa la forma del quinto postulato da cui ha tratto il nome di “postulato delle parallele” con cui normalmente esso è noto).
B.         Il luogo dei punti di un piano equidistanti da una retta, e giacenti da una stessa banda rispetto ad essa, è una retta.
C.         In un piano, la somma degli angoli interni di un triangolo rettilineo4 è uguale a due retti.
D.         Di ogni figura piana ne esiste una simile di grandezza arbitraria5
La presente memoria ha come obiettivo principale l’esposizione, nella forma più divulgativa possibile, delle idee che portarono alla scoperta delle geometrie non-euclidee e di quelle che ne conseguirono, determinando una storica svolta nel pensiero matematico, e pertanto si è sistematicamente evitato il ricorso all’uso di formalismi e tecnicismi matematici, quali formule e dimostrazioni. Tuttavia, “una tantum”, per illustrare il concetto di equivalenza logica fra forme così diverse del quinto postulato, si ritiene istruttivo dimostrare, per esempio, come l’enunciato A può essere derivato dalla forma originaria del quinto postulato di Euclide e, viceversa, assunto invece l’enunciato A come postulato, com’è possibile da questo dedurre la formulazione originaria di Euclide. A tale scopo, si faccia riferimento alla figura 1 e, per semplicità grafica, si indichino con cifre numeriche gli angoli, anziché con le lettere minuscole dell’alfabeto greco, come invece usualmente si fa.
Ricordiamo al lettore alcune denominazioni note dallo studio elementare della geometria: gli angoli 4 e 5, 3 e 6 sono detti coniugati interni, mentre gli angoli 1 e 8, 2 e 7 sono detti coniugati esterni. Con riferimento alla figura 1, Euclide afferma che se la retta t, intersecando le due rette r e s, forma con queste angoli coniugati interni la cui somma è diversa da due angoli retti, allora le rette r, s s’incontrano dalla parte dei due coniugati interni la cui somma è minore di due retti, quindi dalla parte degli angoli 4 e 5. Da tale affermazione discende, per esclusione, che, al contrario, se le rette r, s sono complanari e parallele, e pertanto, secondo la definizione di Euclide, non s’incontrano, devono formare con una qualunque trasversale t angoli coniugati interni la cui somma è uguale a due retti (angoli supplementari). La dimostrazione è immediata ed è fatta con il metodo di “riduzione all’assurdo”. In che cosa consiste questo metodo di dimostrazione, largamente usato dai matematici greci? Vediamolo. In ogni dimostrazione esistono un’ipotesi I, cioè ciò che si ammette essere vero, e una tesi T, cioè ciò che si vuole dimostrare essere vero in conseguenza dell’ipotesi assunta. In una dimostrazione diretta si mostra che da I consegue T, in virtù di altre proposizioni già dimostrate e dei principi della logica. Nelle dimostrazioni per assurdo, invece, si segue un metodo indiretto, mostrando che assumendo “temporaneamente” che sia vero non-T allora consegue non-I, vale a dire si mostra che dalla negazione della tesi discende la negazione dell’ipotesi, e ciò è assurdo poiché l’ipotesi I è la proposizione che accettiamo vera per assunzione e d’altra parte, per il principio di contraddizione, essa non può essere contemporaneamente I e non-I. Dunque se la negazione della tesi porta ad una contraddizione, per il principio del terzo escluso6 dev’essere vero T e non “non-T”, come volevasi dimostrare.
Applichiamo, dunque, tale tipo di dimostrazione al nostro caso. Ammettiamo temporaneamente che sia vera la negazione della tesi che vogliamo dimostrare, in altri termini che le rette r, s fra loro parallele formano con la trasversale t angoli coniugati interni non supplementari; allora r, s per il quinto postulato, devono incontrarsi, ma ciò è assurdo, perché contrario all’ipotesi che le rette sono parallele. Dunque, essendo falsa la negazione della tesi, risulta necessariamente vera la tesi ed è pertanto dimostrato che “due rette complanari e parallele formano, con una qualunque trasversale, angoli coniugati interni supplementari”.
Dobbiamo ora mostrare che da questa conclusione si deduce che “per un punto fuori di una retta, in un piano, si può condurre una parallela e una soltanto alla retta data”.
Considerati una retta AB e un punto P non ad essa appartenente, si conduca per P una retta CD parallela alla AB: si deve dimostrare che questa è l’unica parallela alla AB che contiene P. Anche per questa dimostrazione utilizziamo il procedimento di riduzione all’assurdo. Pertanto, supponiamo che sia possibile condurre per P più di una parallela alla AB e indichiamo con MN una di tali parallele7. Per il teorema precedente, essendo la retta MN parallela alla AB, essa deve formare angoli coniugati supplementari assieme alla AB rispetto ad una qualsiasi trasversale, e quindi anche rispetto alla PQ. Ma ciò è assurdo, poiché l’angolo QPN ha in comune con l’angolo QPD il lato PQ e distinto il secondo lato che è PN nell’uno e PD nell’altro. I due angoli QPN e QPD sono dunque certamente diversi. Di conseguenza, poiché la coppia di coniugati interni PQB, QPD vale due retti, essendo la CD e AB parallele per ipotesi, la coppia di coniugati interni PQB, QPN avrà somma diversa da due retti (nel caso di figura 2 tale somma è maggiore di due retti) e quindi la retta MN incontrerà la AB in forza del quinto postulato. E poiché il ragionamento poc’anzi svolto può essere ripetuto con riferimento ad una qualsiasi altra retta per P distinta dalla CD, rimane dimostrato che l’unica parallela per P alla retta AB è la CD.
Note:
1 Ovviamente ci si riferisce al significato “tradizionale” di vero, inteso come accordo con la realtà fisica.
2 Gauss, però, per nostra fortuna, annotava in un diario molti dei risultati da lui raggiunti, in una forma estremamente sintetica (in 19 pagine ben 146 risultati!).
3 A Federico il Grande che gli chiedeva in quale scienza fosse più esperto, Lambert rispose seccamente: “In tutte”.
4 In contrapposizione ai triangoli non-rettilinei, per esempio sferici, appartenenti a superfici curve.
5 Si ricorda che due poligoni sono simili se gli angoli dell’uno sono uguali a quelli dell’altro e se è identico il rapporto fra i lati opposti agli angoli corrispondenti uguali.
6 Si ricorda che per tale principio è vera o la proposizione A o la proposizione contraria “non-A”, non essendoci altre alternative.
7 Le dimostrazioni per assurdo obbligano a seguire un ragionamento esclusivamente e rigorosamente logico, non potendo essere supportate dai suggerimenti della figura geometrica che, al contrario, mostrano una situazione fittizia e assurda.

 LE GRANDI IDEE DELLA SCIENZA

Sommario anno XIII numero 3 - marzo 2004