Le ipotesi non euclidee
(7a puntata - seconda parte)
(Luca Nicotra) - Genesi storica delle geometrie non
euclidee
1. Le forme equivalenti del quinto postulato
I principi della geometria euclidea furono ritenuti per almeno due
millenni gli unici possibili, poiché erano tratti dalla realtà fisica, che
non può non essere vera1. Come autorevole testimonianza di quest’atteggiamento
di unanime fiducia, basti ricordare il giudizio filosofico di Emanuele
Kant, secondo cui le figure della geometria euclidea sono “giudizi
sintetici a priori” della realtà esterna.
Le proposizioni primitive poste da Euclide a fondamento della geometria
variano leggermente in numero e contenuto, nelle varie versioni degli
Elementi. Generalmente si fa riferimento all’elenco di dieci proposizioni
primitive dato da Thomas L. Heath, considerato il maggiore studioso
moderno di Euclide. Esse sono distinte in assiomi generali, detti nozioni
comuni o semplicemente assiomi, e in assiomi speciali o postulati. Gli
assiomi generali hanno un’evidenza universale, essendo validi per tutte le
branche della matematica e sono:
i. La parte è minore del tutto.
ii. Due cose uguali ad una terza sono uguali fra loro.
iii. Aggiungendo a due cose uguali altre due cose uguali si
ottengono cose uguali.
iv. Sottraendo da due cose uguali altre due cose uguali si
ottengono cose uguali.
v. Due cose che coincidono sono uguali.
Gli assiomi speciali o postulati, invece, sono validi soltanto per la
geometria. Essi presentano una minor evidenza rispetto agli assiomi, e ciò
giustifica il loro nome, che indica trattarsi di “verità postulate”, vale
a dire di verità che si chiede al lettore di accettare:
i. Da ogni punto del piano ad ogni altro punto è possibile
condurre una linea retta.
ii. Un segmento di linea retta può essere indefinitamente
prolungato in linea retta.
iii. Attorno ad un centro scelto a piacere con un raggio scelto a
piacere è possibile tracciare una circonferenza.
iv. Tutti gli angoli retti sono uguali tra loro.
v. Ogni volta che una retta, intersecando altre due rette, forma
con esse angoli interni da una medesima parte (angoli coniugati interni)
la cui somma è minore di due retti, allora queste due rette
indefinitamente prolungate finiscono con l’incontrarsi da quella parte
nella quale gli angoli anzidetti formano insieme meno di due retti.
Quest’ultimo postulato, detto anche postulato delle parallele, differisce
notevolmente dai precedenti, sia per una maggiore complessità sia per una
scarsa evidenza fisica. Esso è divenuto famoso nella storia della
matematica, e più in generale del pensiero filosofico-scientifico, per
essere stato l’origine delle prime ipotesi non-euclidee e, di conseguenza,
di quel profondo mutamento nella concezione della matematica che ne è
scaturito, di cui già ci siamo occupati nella Prima Parte di questa
memoria. Gli psicologi sostengono che la difficoltà d’intuizione di questo
postulato è imputabile, fra l’altro, alla maggiore complessità della sua
elaborazione attraverso i sensi, che in questo caso sarebbero due: il
tatto e la vista. Inoltre, dice Luigi Campedelli, esso richiede “una più
matura educazione ai concetti matematici (perché implica l’estendersi
della retta all’infinito). Si aggiunga l’impossibilità di una verifica
sperimentale (sempre a causa di quell’illimitata lunghezza della retta)
sia pure nella grossolana approssimazione che è consentita dai modelli
materiali degli enti geometrici astratti”.
Nel contesto di una geometria, come quella euclidea, ispirata
all’esperienza fisica e quindi di stampo intuizionista, la mancanza di
evidenza fisica ha fatto sospettare che il quinto postulato potesse essere
in realtà un teorema, vale a dire una proposizione derivabile dagli altri
postulati. Lo stesso Euclide lo introduce il più tardi possibile, come 29a
proposizione del 1° libro degli Elementi, dopo aver dedotto tutte le
possibili conseguenze dei primi quattro postulati. Questa evidente
riluttanza di Euclide a servirsi del quinto postulato fa pensare che egli
stesso ne avesse cercato invano la dimostrazione e che, alla fine, intuita
la sua indimostrabilità, e volendo d’altra parte servirsene per la
dimostrazione di successive proposizioni, si fosse rassegnato a collocarlo
ultimo fra i postulati.
I posteri furono meno saggi di Euclide, e per duemila anni si affannarono
invano nella ricerca della dimostrazione del postulato delle parallele. La
lista dei matematici impegnati in quest’ardua impresa è lunga e ricca di
nomi illustri: il grande astronomo Tolomeo, molti geometri mussulmani dal
secolo IX al secolo XIII, i più ingegnosi geometri italiani del
Rinascimento e del secolo XVII, il matematico inglese John Wallis
(1617-1703), predecessore di Newton, il francese Adriene Marie Legendre
(1752-1833), l’ungherese Farkas (o Wolfgang) Bolyai (1775-1856). Quest’ultimo
era talmente provato dalle sue inutili fatiche, che quando seppe che il
figlio Janos (1802-1860), ufficiale dell’esercito e brillante matematico,
si stava dedicando allo stesso problema, cercò in tutti i modi di
dissuaderlo: “Per amor del cielo, t’imploro di desistere dal tentativo. Il
problema delle parallele è una cosa da temere ed evitare non meno delle
passioni dei sensi, poiché anch’esso può rubarti tutto il tempo e privarti
della salute, della serenità di spirito, e della felicità”. Evidentemente
Farkas Bolyai non conservava un buon ricordo dei suoi infruttuosi
tentativi! Per nostra fortuna, il figlio era più testardo e fortunato del
padre e si dedicò invece con caparbia all’irrisolto problema delle
parallele. Egli, come tutti gli altri, non riuscì a dimostrare il
postulato delle parallele, tuttavia pervenne, indipendentemente, a
risultati analoghi a quelli raggiunti dal matematico russo N.I. Lobacevskj,
scoprendo la geometria non-euclidea iperbolica, detta anche di
Bolyaj-Lobacevskj in onore di entrambi i matematici. In realtà, Carl
Friedrich Gauss (1777-1855), “princeps mathematicorum”, per trentacinque
anni lavorò alla stesura della stessa geometria non-euclidea ufficialmente
pubblicizzata da Lobacevskj nel 1826, giungendo nel 1824 alla conclusione
che tutti i tentativi di dimostrare il quinto postulato di Euclide sono
vani e che è possibile costruire geometrie diverse da quella euclidea, ma
non pubblicò mai tali risultati, un po’ per la sua proverbiale riluttanza
a pubblicare2 e un po’ per paura delle risa dei “beoti”. Evidentemente,
Gauss temeva che la concezione di geometrie non-euclidee era troppo
rivoluzionaria per quei tempi, e avrebbe incontrato sicuramente una grande
avversione e incomprensione presso i contemporanei.
Tutti i tentativi di dimostrazione del quinto postulato fallivano per lo
stesso errore logico: l’ammissione, spesso inconsapevole e non esplicita,
di un postulato logicamente equivalente ad esso, da cui scaturiva quindi
un circolo vizioso.
Lo stesso errore inficia l’opera più insigne del padre gesuita Giovanni
Gerolamo Saccheri (S. Remo 1667 – Milano 1733): “Euclides ab omni naevo
vindicatus”, che peraltro può essere considerata l’atto di nascita delle
geometrie non-euclidee. Tale opera rimase nell’oblio per circa un secolo e
mezzo, fin quando nel 1889 una sua copia fu ritrovata dal padre gesuita
Angelo Manganotti, il quale la fece leggere ad un grande matematico del
tempo, Eugenio Feltrami (1835-1900). Questi, riconosciuto il valore
dell’opera, che anticipava di ben novantasette anni l’apparizione
ufficiale delle geometrie non-euclidee da parte di Lobacevskj (1826), rese
il dovuto riparo all’oblio più che secolare, pubblicizzando
brillantemente, negli ambienti scientifici internazionali, l’opera
ritrovata.
Anche il matematico svizzero Johann Heinrich Lambert (1728-1777),
scienziato di molteplici interessi, ben noto per la sua somma superbia3,
tentò invano di dimostrare il postulato delle parallele, ma egli stesso
ammise e riconobbe lucidamente la causa del suo fallimento: “Èpossibile
sviluppare dimostrazioni del postulato di Euclide fino a un punto tale che
il resto sembra una cosa da nulla. Ma un’analisi accurata mostra che in
questa cosa apparentemente da nulla sta tutta la difficoltà: essa,
infatti, contiene di solito o la proposizione che si vuole dimostrare o un
postulato equivalente”.
Lambert, dunque, fu il primo ad individuare la ragione di tutti i
fallimenti di dimostrazione del postulato delle parallele: l’utilizzo di
forme equivalenti al quinto postulato; cerchiamo di rendercene conto più
in dettaglio.
Il postulato delle parallele può assumere varie forme, che mettono in
evidenza proprietà differenti ma reciprocamente deducibili l’una
dall’altra o equivalenti. Ciò significa, per esempio, che dette a e b due
di tali forme, se si considera come postulato a, allora b è deducibile da
a e quindi b è un teorema; viceversa, se si considera come postulato b ,
allora a è deducibile da b e quindi, questa volta, a è un teorema.
Enunciati equivalenti del quinto postulato, diversi da quello
originariamente dato da Euclide, sono:
A. Per un punto fuori di una retta, in un piano, si può condurre
una parallela e una soltanto alla retta data (è questa la forma del quinto
postulato da cui ha tratto il nome di “postulato delle parallele” con cui
normalmente esso è noto).
B. Il luogo dei punti di un piano equidistanti da una retta, e
giacenti da una stessa banda rispetto ad essa, è una retta.
C. In un piano, la somma degli angoli interni di un triangolo
rettilineo4 è uguale a due retti.
D. Di ogni figura piana ne esiste una simile di grandezza
arbitraria5
La
presente memoria ha come obiettivo principale l’esposizione, nella forma
più divulgativa possibile, delle idee che portarono alla scoperta delle
geometrie non-euclidee e di quelle che ne conseguirono, determinando una
storica svolta nel pensiero matematico, e pertanto si è sistematicamente
evitato il ricorso all’uso di formalismi e tecnicismi matematici, quali
formule e dimostrazioni. Tuttavia, “una tantum”, per illustrare il
concetto di equivalenza logica fra forme così diverse del quinto
postulato, si ritiene istruttivo dimostrare, per esempio, come l’enunciato
A può essere derivato dalla forma originaria del quinto postulato di
Euclide e, viceversa, assunto invece l’enunciato A come postulato, com’è
possibile da questo dedurre la formulazione originaria di Euclide. A tale
scopo, si faccia riferimento alla figura 1 e, per semplicità grafica, si
indichino con cifre numeriche gli angoli, anziché con le lettere minuscole
dell’alfabeto greco, come invece usualmente si fa.
Ricordiamo al lettore alcune denominazioni note dallo studio elementare
della geometria: gli angoli 4 e 5, 3 e 6 sono detti coniugati interni,
mentre gli angoli 1 e 8, 2 e 7 sono detti coniugati esterni. Con
riferimento alla figura 1, Euclide afferma che se la retta t, intersecando
le due rette r e s, forma con queste angoli coniugati interni la cui somma
è diversa da due angoli retti, allora le rette r, s s’incontrano dalla
parte dei due coniugati interni la cui somma è minore di due retti, quindi
dalla parte degli angoli 4 e 5. Da tale affermazione discende, per
esclusione, che, al contrario, se le rette r, s sono complanari e
parallele, e pertanto, secondo la definizione di Euclide, non
s’incontrano, devono formare con una qualunque trasversale t angoli
coniugati interni la cui somma è uguale a due retti (angoli
supplementari). La dimostrazione è immediata ed è fatta con il metodo di
“riduzione all’assurdo”. In che cosa consiste questo metodo di
dimostrazione, largamente usato dai matematici greci? Vediamolo. In ogni
dimostrazione esistono un’ipotesi I, cioè ciò che si ammette essere vero,
e una tesi T, cioè ciò che si vuole dimostrare essere vero in conseguenza
dell’ipotesi assunta. In una dimostrazione diretta si mostra che da I
consegue T, in virtù di altre proposizioni già dimostrate e dei principi
della logica. Nelle dimostrazioni per assurdo, invece, si segue un metodo
indiretto, mostrando che assumendo “temporaneamente” che sia vero non-T
allora consegue non-I, vale a dire si mostra che dalla negazione della
tesi discende la negazione dell’ipotesi, e ciò è assurdo poiché l’ipotesi
I è la proposizione che accettiamo vera per assunzione e d’altra parte,
per il principio di contraddizione, essa non può essere contemporaneamente
I e non-I. Dunque se la negazione della tesi porta ad una contraddizione,
per il principio del terzo escluso6 dev’essere vero T e non “non-T”, come
volevasi dimostrare.
Applichiamo, dunque, tale tipo di dimostrazione al nostro caso. Ammettiamo
temporaneamente che sia vera la negazione della tesi che vogliamo
dimostrare, in altri termini che le rette r, s fra loro parallele formano
con la trasversale t angoli coniugati interni non supplementari; allora r,
s per il quinto postulato, devono incontrarsi, ma ciò è assurdo, perché
contrario all’ipotesi che le rette sono parallele. Dunque, essendo falsa
la negazione della tesi, risulta necessariamente vera la tesi ed è
pertanto dimostrato che “due rette complanari e parallele formano, con una
qualunque trasversale, angoli coniugati interni supplementari”.
Dobbiamo ora mostrare che da questa conclusione si deduce che “per un
punto fuori di una retta, in un piano, si può condurre una parallela e una
soltanto alla retta data”.
Considerati
una retta AB e un punto P non ad essa appartenente, si conduca per P una
retta CD parallela alla AB: si deve dimostrare che questa è l’unica
parallela alla AB che contiene P. Anche per questa dimostrazione
utilizziamo il procedimento di riduzione all’assurdo. Pertanto, supponiamo
che sia possibile condurre per P più di una parallela alla AB e indichiamo
con MN una di tali parallele7. Per il teorema precedente, essendo la retta
MN parallela alla AB, essa deve formare angoli coniugati supplementari
assieme alla AB rispetto ad una qualsiasi trasversale, e quindi anche
rispetto alla PQ. Ma ciò è assurdo, poiché l’angolo QPN ha in comune con
l’angolo QPD il lato PQ e distinto il secondo lato che è PN nell’uno e PD
nell’altro. I due angoli QPN e QPD sono dunque certamente diversi. Di
conseguenza, poiché la coppia di coniugati interni PQB, QPD vale due
retti, essendo la CD e AB parallele per ipotesi, la coppia di coniugati
interni PQB, QPN avrà somma diversa da due retti (nel caso di figura 2
tale somma è maggiore di due retti) e quindi la retta MN incontrerà la AB
in forza del quinto postulato. E poiché il ragionamento poc’anzi svolto
può essere ripetuto con riferimento ad una qualsiasi altra retta per P
distinta dalla CD, rimane dimostrato che l’unica parallela per P alla
retta AB è la CD.
Note:
1 Ovviamente ci si riferisce al significato “tradizionale” di vero,
inteso come accordo con la realtà fisica.
2 Gauss, però, per nostra fortuna, annotava in un diario molti dei
risultati da lui raggiunti, in una forma estremamente sintetica (in 19
pagine ben 146 risultati!).
3 A Federico il Grande che gli chiedeva in quale scienza fosse più
esperto, Lambert rispose seccamente: “In tutte”.
4 In contrapposizione ai triangoli non-rettilinei, per esempio sferici,
appartenenti a superfici curve.
5 Si ricorda che due poligoni sono simili se gli angoli dell’uno sono
uguali a quelli dell’altro e se è identico il rapporto fra i lati opposti
agli angoli corrispondenti uguali.
6 Si ricorda che per tale principio è vera o la proposizione A o la
proposizione contraria “non-A”, non essendoci altre alternative.
7 Le dimostrazioni per assurdo obbligano a seguire un ragionamento
esclusivamente e rigorosamente logico, non potendo essere supportate dai
suggerimenti della figura geometrica che, al contrario, mostrano una
situazione fittizia e assurda. |