Pubblica
istruzione e droga
(Claudio Comandini) - 1. Distratti e iperattivi: una
malattia? Mentre nella scuola italiana sono in crisi sia il carattere
di servizio pubblico che il ruolo dell’educazione, il dibattito sulle
sostanze stupefacenti entra in una fase di marcato proibizionismo: per
strana combinazione, ed in modo consentito dalla legge, è proprio negli
istituti d’istruzione che una sostanza psicotropa come il RITALIN potrebbe
diffondersi.
Lo scorso anno nelle scuole medie inferiori di Milano, Lecco, Rimini,
Pisa, Roma e Cagliari, è stata inaugurata l’indagine epidemiologica
Progetto Prisma (Progetto italiano salute mentale adolescenti), promossa a
Lecco dall’Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico)
“Eugenio Medea” di Bosisio Parini, in collaborazione con l’Istituto
Superiore di Sanità. L’obiettivo è accertare la diffusione di un disturbo
chiamato ADHD (Attention Deficit Hyperkinesia Disorder), utilizzando un
questionario, inviato ai genitori di circa cinquemila ragazzi compresi tra
i 10 e i 14 anni, con domande del tipo: “Suo figlio litiga con gli altri
bambini? Interrompe quando gli altri parlano? È incapace di star fermo?
Sogna ad occhi aperti? È troppo vivace? È facilmente distratto o incapace
di concentrarsi?”
Il neuropsichiatra Alessandro Zuddas dell’università di Cagliari, fra i
partecipanti al progetto, afferma che in Italia 4 bambini su 100 sono
colpiti da “deficit di attenzione e iperattività”. Il disturbo è
riconosciuto da un’equipe di psichiatri nel 1980 e incluso nel 1994 nel
Manuale Statistico Diagnostico (D.S.M.), cartello dell’èlite medica e
farmaceutica. Secondo Zuddas all’Adhd corrisponde un’alterazione biologica
che impedisce di selezionare gli stimoli ambientali, di pianificare le
proprie azioni e di controllare i propri impulsi: “se non trattato il
disturbo compromette numerose aree dello sviluppo e del funzionamento
sociale del bambino, predisponendolo, nelle successive età della vita, ad
altre patologie psichiatriche o al disagio sociale: cioè all’alcolismo,
alla tossicodipendenza, al disturbo antisociale di personalità”.
La seconda fase del progetto è stata intrapresa nel novembre 2003 a Pisa
dall’Istituto di Neuropsichiatria infantile Stella Maris, con un
protocollo di intesa con la Eli Lilly, multinazionale farmaceutica di
Indiianapolis, distributrice del Prozac, per sperimentare la Tomoxetina
nella “prevenzione delle recidivie” del disturbo da deficit
dell’attenzione/iperattività, in sostituzione degli stimolanti come il
Ritalin, di cui Alessandro Zuddas e i suoi colleghi Massimo Moltemi e Gian
Marco Marzocchi sostengono comunque l’opportunità dell’uso terapeutico
nella cura dell’Adhd.
Il Ritalin è stato scoperto nel 1937 dal ricercatore italiano Leandro
Palizzon, che lo chiamò così in onore della moglie Margherita; lo stesso
anno il medico americano Bradley descrisse l’efficacia e la tollerabilità
degli psicostimolanti nei casi di iperattività. Attualmente, fra i suoi
più accesi sostenitori c’è lo psichiatra Xavier Castellanos: sul Journal
of the American Medical Association sostiene che alla base della Adhd ci
sia un’atrofia cerebrale, e che l’uso degli psicostimolanti possa favorire
una “maturazione del cervello”. Carlo Cianchetti, presidente della
“Società Italiana di neuropsichiatria dell’infanzia”, afferma che “la
malattia è genetica, è una disfunzione biochimica, il farmaco ce lo
dimostra poiché modifica il meccanismo dei neurotrasmettitori, e dunque
ferma il sintomo”. Il Ritalin ad azione rapida ha effetto mezz’ora dopo
che è stato ingerito, ha un picco intorno alle due ore ed esaurisce
l’azione dopo 4 ore. Il Ritalin contiene il Metilfenidato Idrato,
stimolante centrale che agisce prevalentemente sulla noradrenalina, uno
dei neurotrasmettitori del cervello. I ricercatori dei laboratori
farmaceutici considerano che agendo al livello delle zone sinaptiche tra i
neuroni blocchi il rilascio e la riutilizzazione della dopamina, coinvolta
nella risposta eccitatoria, incidendo in equilibrio sul metabolismo dei
trasmettitori simpatici: la neuropsichiatra infantile ad orientamento
organicistico ritiene questa indicazione come garanzia di cura sulla
sintomatologia dell’Adhd.
In Permanent mental deterioration from major tranquilizer therapy Peter
Breggin afferma che l’uso di psicofarmaci induce una malattia detta
discinesia tardiva, riconosciuta solo nel 1973, prodotta da un’alterazione
delle funzioni della dopamina, che comporta una notevole perdita di
controllo sulle funzioni motorie del corpo. La regione in cui si sviluppa
la discinesia è anche legata agli ingressi sensoriali, e il suo
danneggiamento porta a un appiattimento emozionale e ad una indifferenza
ed apatia simili a quelle causate dalla lobotomia, quindi a un
danneggiamento permanente delle funzioni cerebrali. Ciò che emerge è che
una larga percentuale di pazienti trattata con tranquillanti sviluppano
psicosi indotte da farmaci più forti dei problemi per i quali si erano
sottoposti alle cure.
Allargando il quadro, il filosofo della scienza canadese Ian Hacking,
ordinario al Collège de France a Parigi, chiama “malattie mentali
transitorie” sindromi la cui diffusione si tipicizza, si diffonde, e si
ripropone in “modi asimmetrici”, privilegiando un sesso, una zona
geografica, una classe sociale, un’età: l’isteria di fine ottocento,
l’anoressia degli anni ottanta e novanta, e l’Adhd, che sembra colpire
prevalentementemente in America i bambini maschi in età scolare e le
giovani mamme.
L’Adhd quindi rappresenta prevalentemente un quadro sintomatologico
generico e non conclusivo, mentre il farmaco si configura come rimedio
sintomatico ma non curativo, e andrebbe usato con il supporto psicologico
del terapeuta, aiutando il bambino a coinvolgersi nel suo ambiente: passo
difficile dove un disturbo d’attenzione con o senza iperattività, casi di
narcolessi, ed anche una vaga tendenza ad essere distratti o un
comportamento eccessivamente vivace vengano considerate “malattie
biologiche” da curare per via farmaceutica.
Ora, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OSM) dichiara che un
bambino su cinque soffre di disturbi psicologici, Hamid Ghodse, presidente
dell’INCB, che all’ONU si occupa del controllo dei narcotici, afferma che
negli ultimi anni è davvero esplosa una “farmacologizzazione” dei problemi
sociali. In America i bambini sotto terapia erano mezzo milione nel 1985,
un milione nel 1990 e sono oggi circa sei milioni, di cui la metà al
disotto dei 6 anni: su 40 milioni di alunni iscritti nelle scuole, quindi
il 12-13% dell’intera popolazione, assume il Ritalin dietro prescrizione
dell’ufficiale scolastico, che ha potere anche sulla patria podestà. Dal
giugno 2000 al giugno 2002 sono state compilate 20 milioni di ricette,
mentre la DEA, l’antidroga americana, ne attesta ampia circolazione anche
sul mercato degli stupefacenti, dov’è chiamata la “cocaina dei poveri”. E
proprio per terapia contro le dipendenze da cocaina dall’ottobre 2002 a
Berna e Basilea si è svolto un progetto pilota nel corso del quale a 60
volontari consumatori di cocaina è stato somministrato il Ritalin.
Il Ritalin, che ha iniziato a diffondersi negli anni ’50, è stato
contestato negli anni ’70 da movimenti antipsichiatrici, negli ’80 da L.
Ron Hubbard e da Scientology, dagli anni ’90 è oggetto di un’inchiesta
governativa avviata da Hillary Clinton ed è indagato sulla base di
numerose querele che fanno riferimento a casi gravi d’intossicazione e
morte. Sono stati riscontrati danni al cuore e al fegato, ed effetti
collaterali condivisi con una vasta serie di sostanze come nausea, apatia,
anoressia, vertigine e disturbi della personalità. In Ritalin e cervello
(Macroedizioni) Heinrich Kremer denuncia che l’efficacia del farmaco si
ottenga solo attraverso un costante incremento di dosaggio, e comporta il
rischio di danni irreparabili alle funzioni cerebrali dei bambini,
probabilmente condizionati all’assunzione di psicofarmaci anche in futuro.
Kurt Cobaine dei Nirvana è stato spesso considerato una delle sue vittime
illustri. |