monti albani
Tombe a
rotticella dell’antica Cave (Cabum)
(Ope Ass. cult. per lo studio delle civiltà antiche - Angelo Capri e
Fiorella Capri)
Più di venti anni fa, era il maggio del 1982, durante una ricognizione su
una delle tante dorsali del costone orientale del Monte Albano
scoprimmo
a quota m. 728 due tombe, purtroppo ormai completamente saccheggiate e
svuotate, di particolare forma e bellezza (*).
Sul Monte delle Grotticelle, questo è il nome del monte dove si trova
l’antico sito, oltre alle due tombe studiate ed agli indizi di altre
possibili quattro, vi sono le evidenti tracce di un complesso archeologico
ben più consistente che, fino alla nostra segnalazione, era completamente
sconosciuto all’archeologia ufficiale. Secondo le nostre ricerche si
tratterebbe dei resti dell’antica Cave (Cabum), città della Lega Latina;
da qui, passando per vecchi e infossati sentieri si arriva sulla cima del
sacro Monte Albano in poco più di trenta minuti!
Secondo gli studi da noi svolti sul territorio dei Monti Albani, al
rafforzamento della nostra ipotesi della collocazione di Alba Longa sulla
catena dell’Artemisio (circa mille metri sul livello del mare e 12 Km. di
cresta), abbiamo potuto appurare che qualsiasi fonte classica posizionava
la città di Alba a 8 miglia ad Oriente da Tusculum, in posizione alta da
cui chiaramente potesse vedersi in basso (e non in alto) un paese (e non
un monte) di nome Cave (non Cavo). Questo ritrovamento dà appunto ancora
più sostegno alla nostra ipotesi, insieme con le tante altre scoperte
avvenute sulla Catena dell’Artemisio durante questi ultimi anni: le
conferme della grande necropoli sul Maschio d’Ariano (m.891), il
rilevamento di mura arcaiche al Monte Peschio (m.934) e al Maschio
dell’Artemisio (m.812), ed il posizionamento di un abitato fortificato
d’altura sul Monte dei Ferrari (m.902 ) (**).
Queste
tombe dalla forma particolare ed unica hanno molte analogie con le tombe
dell’Eneolitico dell’Italia meridionale ed insulare. Tuttavia sono
soprattutto due le peculiarità di queste tombe che ci hanno fatto molto
riflettere: la particolare forma a guisa di imbuto del corridoio d’accesso
(dromos) e la completa assenza della banchina funebre nella cella.
Perché queste tombe non hanno nulla in comune con la classica ideologia
funeraria della casa simbolizzata nel Lazio arcaico? Perché esse sono
molto, molto più antiche… A suo tempo, alcuni studiosi, in riferimento
alla particolare forma della due tombe, hanno detto che, vista in pianta,
la tomba poteva rappresentare l’elsa di una spada o la spada stessa,
oppure la cuspide di una lancia o ancora un guerriero stilizzato o altre
cose; invece, secondo il nostro pensiero, credendo di interpretare
correttamente il pensiero antico, la particolare forma delle tombe
rappresenta semplicemente il grembo della Madre, l’uomo dopo il ciclo
della vita ritornava nell’utero della Madre Terra.
Infatti, basta semplicemente sovrapporre la pianta di una delle due tombe
su un disegno anatomico dei genitali femminili ed il risultato è immediato
e sbalorditivo!
Adesso è chiaro il perché dell’inusuale forma del dromos, allungato ed
imbutiforme, esso rappresentava la vagina, ed è ancora più chiara ora
l’assenza del letto funebre nella cella, essa in realtà raffigurava
l’utero materno.
Infatti, l’uomo come gli altri esseri viventi è soggetto al ciclo della
vita: nascere, crescere, invecchiare e morire; il ciclo si conclude con il
ritorno
alla Madre Terra.
In seguito al passaggio dal sistema matrilineare dell’Europa antica a
quello patriarcale indoeuropeo, alla trasformazione radicale dell’Europa
dell’Età del Bronzo verso una struttura sociale bellicosa, si perse la
sacra partecipazione nei grandi cicli naturali della fertilità e della
nascita, della morte e rigenerazione.
Tornando al solo discorso archeologico, in prospettiva per il futuro, ci
si augura che il comune di Rocca di Papa, nel cui territorio si trova il
sito in oggetto, come gli altri comuni dei Monti Albani ricchi di uniche
ed importantissime testimonianze archeologiche, escano finalmente dal
letargo, e valorizzino almeno quanto i nostri Padri ci hanno affidato.
La nostra Associazione sarà ben lieta di collaborare con quei comuni
interessati mettendo a disposizione tutto il supporto tecnico e logistico
di cui dispone.
Note:
* Documenta Albana II serie, nn. 4-5 MCA 1982-83 – Insediamento montano
di sommità e tombe a Grotticella sul gruppo del Monte Albano – Pino
Chiarucci, pp 25-34.
** Museo e Territorio - Atti della I e II giornata di studi – Velletri
2000, 2001 – Micaela Angle e Anna Germano.
diocesi di albano
Albano per
Makeni
(Bruna Macioci) - La Sierra Leone è uno degli stati d’Africa
che si affacciano sull’Oceano Atlantico. La dominante etnica è costituita
dal ceppo sudanese; Freetown è la capitale. Dopo molti anni di guerra
civile, è oggi una città caotica, povera e pericolosa. Fino al 1787 le
popolazioni della costa furono sottoposte a intense razzie da parte di
inglesi, francesi e olandesi alla ricerca di schiavi per l’America.
Freetown nacque, quando l’Inghilterra rese illegale la schiavitù, come una
comunità di schiavi liberati (ricordate il film “Amistad”?). Amministrata
dalla Corona Britannica, ottenne l’indipendenza nel 1951. Nel 1967 un
colpo di stato militare cui hanno fatto seguito 40 anni e più di guerra
civile. I problemi oggi sono enormi. La fitta foresta pluviale,
originariamente ricca di legni pregiati quali l’ebano e il tek, è stata
quasi interamente disboscata. Un suolo fertilissimo ed un sottosuolo ricco
di diamanti, ferro, bauxite e rutilio - un minerale raro e importante per
l’industria missilistica.
Paesaggi splendidi, animali rari, fiori esotici, spiagge da sogno. Ma
quattro milioni di abitanti (in tutto sono 5 milioni) vivono con meno di
un dollaro al giorno; alcuni con meno di 10 centesimi. Nelle graduatorie
di sviluppo dell’ONU, la Sierra Leone occupa l’ultimo posto. La
prospettiva di vita è di 38 anni. La mortalità infantile è di oltre il
18%, e ciononostante l’80% della popolazione ha meno di 5 anni. Le
malattie più diffuse sono la malaria, il tifo, l’epatite, la polmonite;
tutte sono aggravate dalla malnutrizione e dalla carenza di igiene: solo
il 30% delle persone ha accesso all’acqua potabile. Solo il 34% dei
bambini viene vaccinato. Solo il 45% della popolazione ha accesso
all’istruzione.
Nel distretto di Bombali, una vasta regione della Provincia del Nord,
600.000 persone dispongono di un solo ospedale, e ci sono solo 2 medici,
uno pagato dal governo, uno stipendiato dalla Diocesi di Albano. Gli
infermieri sono volontari non retribuiti.
Nel 1995 è stato stipulato una specie di gemellaggio fra le Diocesi di
Albano e di Makeni. Il vescovo di allora, mons. Bernini, si impegnò a nome
di tutta la comunità diocesana ad aiutare questi poveretti almeno
nell’istruzione e nelle cure mediche. Da allora un diacono, un prete, una
suora e un medico hanno soggiornato nel territorio e portato i primi
aiuti. Una coppia, Patrizia e Cesare, sono volontariamente andati a Masuba
a dare il loro contributo per tre anni, e il loro lavoro è stato prezioso.
Tutta la Diocesi è stata coinvolta in iniziative che hanno permesso di
raccogliere fondi, automezzi, materiale scolastico e sanitario. Don Petro
Massari, parroco di S. Maria Assunta in Cielo (Ariccia), è stato di
recente a visitare per la quinta volta il territorio della Diocesi di
Makeni. Me ne ha fatto avere uno sconvolgente e coinvolgente reportage.
Impossibile non commuoversi. Don Pietro ricorda le parole del Vescovo
quando questa meritoria impresa ebbe inizio: “Laggiù ci ha accolto Cristo,
crocifisso nei giovani dagli arti amputati”, e del Vangelo di san Matteo:
“Avete ricevuto gratuitamente: date gratuitamente”.
I risultati si cominciano a vedere. Si sono riusciti a riscattare molti
bambini-soldato, che erano stati arruolati con la forza e trascinati in
guerra: hanno vissuto per anni fra le pallottole e il terrore; si è dovuto
letteralmente comprarli a suon di dollari per liberarli da quella vita
infame. Si è costruita una struttura che funge insieme da chiesa, da
scuola, e da punto di ritrovo. La sacrestia funge anche da reparto
ospedaliero, e dal 2002 vi sono stati curati più di 4.000 pazienti. La
generosità dei fedeli dei Castelli Romani ha permesso recentemente di
acquistare un fuoristrada attrezzato ad ambulanza e di affittare una
struttura per farne un piccolo ospedale con venti letti e un ambulatorio;
e una scuola, nata per 200 bambini, e che ora ne accoglie 500.
Ma manca tutto, a cominciare dalle medicine. Piange il cuore a sapere che
situazioni anche banali, come una ferita o un’appendicite, qui da noi
facilmente risolvibili, là diventino gravissime e anche mortali. Càpita
che un bambino muoia solo perché manca un antibiotico, o
un’apparecchiatura per le radiografie, o un mezzo con cui la famiglia
possa portarlo velocemente in ospedale.
“La mamma aveva fatto 15 chilometri a piedi con la bimba in braccio per
portarla in ospedale. La bimba è morta poco dopo. Il ritardo è stato
fatale”.
“... Siamo subito attratti dai pianti di una piccolissima bambina... è la
più grave. Occorrono dei semplici antibiotici per tentare di salvarla, ma
non ce ne sono. Alla partenza io personalmente mi ero preoccupato di
rimediare diverso materiale per la sala operatoria, e il sig. Pino Longo
di Ariccia con grande generosità ci ha offerto materiale per diversi
milioni. Per fortuna il dott. Russo [un pediatra partecipante alla
spedizione] aveva con sé quel che occorreva, e così la bambina inizia la
terapia. Già in serata sta meglio. [...] Questo episodio è valso a
fornirci l’urgenza di costruire presto l’ospedale. È per questo che siamo
venuti, ma ora sembra che Dio stesso ci stia mettendo fretta”.
Serve denaro. Il Padre partecipa al Consiglio Pastorale della parrocchia
di Masuba, vede una scuola che non ha né pavimento né finestre; il tetto è
stato preso in affitto (!) per far fronte alle piogge. Visita una delle
chiese della Diocesi: “Entro in questa cattedrale di frasche con la stessa
emozione delle mie visite a S. Pietro in Vaticano”.
L’altare e le panche sono canne di bambù legate insieme. Le pareti e il
tetto sono di canne. Verrà presto la stagione delle piogge, e bisogna
ristrutturare il tetto.
Serve tutto. La comunità delle suore di Madre Teresa di Calcutta gestisce
un asilo. Arrivano bambini malati, denutriti; sono stati abbandonati dalle
famiglie impossibilitate a mantenerli, oppure la madre è morta di parto
(il 18% delle donne muore di parto). Ma le suore “non si disperano,
continuano a lottare e a studiare il da farsi. Sono qui per amare”.
Chi vuole aiutare la Diocesi di Albano, sappia che il suo dono, per
piccolo che sia, sarà gradito; per grande che sia, sarà in buone mani. Si
può contattare il Centro Missionario della Diocesi, in via De Gasperi 37
Albano, 069321934; oppure direttamente don Pietro Massari, parrocchia di
S. Maria Assunta in Cielo, Ariccia, piazza di Corte 069330637. Chi invece
volesse dare medicinali (non scaduti, naturalmente), contatti il dott.
Delzoppo al 3474032307.
Come dice san Paolo: “Chi semina scarsamente raccoglierà scarsamente...
Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né
per forza, perché Dio ama chi dona con gioia”. |