Intervento
in Iraq: “cooperazione internazionale”?
(Giovanna Ardesi) - Esprimo il mio parere sull’intervento
italiano in Iraq. Fin dall’inizio sono stata contraria all’intervento
militare in quel paese per risolvere un problema, che si sapeva essere
falso: la eliminazione di armi di distruzione di massa tali da costituire
una minaccia per tutto il mondo. Infatti, dopo gli ispettori dell’ONU,
nessuno più si è preoccupato di cercare queste armi. Se la guerra si fosse
conclusa bene, neanche il democratico popolo inglese si sarebbe
preoccupato di trovarle per giustificare l’intervento. Ma la guerriglia
armata dei civili iracheni impone la necessità di dare una giustificazione
alla presenza militare in quel paese arabo. Questa necessità, non
soddisfatta, ha indebolito sia il governo di Blair che quello di Bush!
La missione
italiana in Iraq è stata, ed è, una missione d’appoggio ad una guerra
feroce e sterile, che mira ad ottenere soltanto la sottomissione degli
iracheni. Gli anglo-americani hanno occupato una nazione che non voleva
pagare un prezzo tanto alto per liberarsi di Saddam: 50mila morti,
distruzione e disoccupazione. Questa guerra sì che è stata terrorismo nei
confronti di un popolo, che ha avuto la iattura (comune a tante altre
nazioni) di essere governato da un dittatore!
I 50mila morti
erano civili e non terroristi. Ora, anziché chiedere scusa per quanto
dolore hanno causato, gli anglo-americani ed i loro giullari italiani
pretendono di definire questi morti “effetti collaterali”, quando
dovrebbero riconoscere, invece, che proprio questi sono gli effetti
primari di una guerra mostruosa. Senza contare, poi, gli effetti
devastanti a lungo termine, come i campi minati. Può essere tanta
ingiustizia un esempio di democrazia per il mondo arabo?
Intanto nei
loro paesi, Bush e Blair devono rispondere davanti ai cittadini delle loro
scelte, messi di fronte alla situazione di guerriglia armata che sta
giungendo in Iraq da ogni dove. In Italia, invece, Berlusconi, che non
sente il dovere di fare altrettanto, non viene chiamato da nessuno a
rispondere di aver prestato fede a chi diceva che Saddam era in possesso
di armi di distruzione di massa e che era in procinto di usarle contro
l’Occidente.
Mi chiedo:
chissà se di fronte allo stravolgimento dei significati delle parole, come
“aiuti umanitari (inseriti nella finanziaria di quest’anno), effetti
collaterali, missione di pace”, ecc., arriveremo un giorno a chiamare la
guerra e le bombe “cooperazione internazionale” in quanto finalizzate a
distruggere, appunto, il sistema economico-politico di un paese per
dotarlo di un altro più funzionale al mantenimento dell’influenza
economica e politica del paese dominante? Con il risultato che il
dominatore costringerà, grazie alla guerra, la popolazione dominata a
tenere bassi i prezzi delle materie prime pregiate in suo possesso (come
il petrolio), mantenendo in tal modo il controllo su tutto il processo
produttivo e finanziario. |