Quei
monelli di tanti anni fà
(Luca Ceccarelli) - Nei locali dell’ex carcere minorile
del complesso monumentale di San Michele a Roma si è tenuta, nei mesi di
ottobre e novembre la mostra, patrocinata dal comune di Roma, sui Monelli
banditi. Scenari e presenze della giustizia minorile in Italia. Si
tratta di un’interessante esposizione fotografica basata su un servizio,
eseguito nel 1951 da fotografi dell’Istituto Luce su commissione del
Ministero di Grazia e Giustizia. Le fotografie documentano la vita
all’interno di carceri minorili e istituti di rieducazione che
sorgevano, allora, in tutta Italia. Sono immagini di grande impatto, anche
se appare piuttosto evidente che il servizio tendeva a mettere in evidenza
gli aspetti di maggiore efficienza di questo apparato repressivo e
rieducativo, allo scopo di dimostrare che gli istituti di pena e di
rieducazione svolgevano con efficacia la funzione di redenzione e
riabilitazione ad essi affidata.
Stiamo parlando di un’epoca in cui queste strutture, non molto
diversamente dagli istituti per l’infanzia abbandonata, erano un
elemento fondamentale del sistema statale di una nazione che veniva da una
guerra rovinosa, che aveva ridotto vaste aree della popolazione alla fame,
e aveva costretto numerosi bambini e adolescenti, oltre che adulti, ad
arrangiarsi a vivere attraverso pratiche ai limiti della legalità, o
decisamente illegali. In effetti non tutto funzionava a meraviglia in
questo apparato. Alcune scene inserite da Vittorio De Sica nel suo
capolavoro Sciuscià avevano segnalato, all’inizio del secondo
Dopoguerra, la disumanità del trattamento a cui erano sottoposti i
giovanissimi detenuti, ed è emblematico, a proposito del San Michele, il
fatto che le condizioni di degrado all’interno della struttura fossero
tali, all’inizio degli anni Cinquanta, da indurre i fotografi
dell’Istituto Luce a non includerlo nel loro reportage fotografico.
Anche nelle fotografie esposte ci sono una serie di segnali che non
sfuggono all’osservatore attento, e che delineano uno scenario di
tristezza e di derelizione: le caratteristiche stesse degli edifici degli
istituti (alcuni dei quali costruiti da pochi anni) troppo grandi e tetri;
i dormitori e i refettori enormi; i pasti preparati in enormi caldaie e
consumati con stoviglie di alluminio; le divise anonime e tristi; e,
soprattutto, i volti dei reclusi e delle recluse, spesso atteggiati ad un
sorriso davanti alla fotocamera, ma altrettanto, troppo spesso
visibilmente induriti, in qualche caso troppo precocemente smaliziati e
scaltriti.
D’altra parte, si nota che in queste carceri e case correzionali sparse
per l’Italia c’erano anche degli sforzi generosi, volti ad aiutare i
reclusi e le recluse: in quegli anni l’impostazione mentale di tipo
ancora moralistico che aveva imperato durante il Fascismo (al quale
bisogna riconoscere, peraltro, una legislazione capillare e spesso di
tutto rispetto in fatto di tribunali minorili) per la quale si vedeva nel
colpevole un traviato che doveva espiare, cominciava a cedere il
posto al concetto di disadattamento. Alcuni dirigenti del sistema
penitenziario cominciavano timidamente a guardare ai “discoli” come a
dei ragazzi “difficili”, che più che di espiazione avevano bisogno di
un aiuto e di un sostegno particolare. E si vede come questo si traducesse
nell’insegnamento, spesso impartito con metodi didattici
all’avanguardia (la maggior parte dei giovani reclusi, al loro ingresso
negli istituti, era analfabeta, o semianalfabeta), nel lavoro, che
diventava, allo stesso tempo, una “terapia del lavoro” e un modo per
aiutare i giovani, una volta usciti, a guadagnarsi da vivere, in
un’assistenza medica forse non sempre di eccellente qualità, ma
generalizzata e regolare, nei campi scoutistici in montagna per coloro che
dimostravano ravvedimento e buona condotta.
È stato forse un bene il fatto che questa esposizione sia giunta proprio
nei giorni in cui un ministro del governo Berlusconi sta tentando di
smantellare in gran parte i cardini del sistema italiano di giustizia
minorile, con l’assenso dell’intero governo e senza particolare
turbamento da parte dell’opposizione parlamentare. Potrebbe dimostrare
come l’”Italietta” del Fascismo e della ricostruzione, a suo modo,
investiva con passione nell’assistenza a coloro che avevano più
difficoltà ad inserirsi e a stare al passo. Più di quanto non facciano
le classi politiche dell’Italia che siede al tavolo del G8.
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