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Sommario anno XI numero 12 - dicembre 2002

STORIA - pag. 21
Per non dimenticare il passato e per vivere meglio il futuro!

(di Armando Guidoni)

Lager di Biala Podlaska
Un giorno lontano di gelo
nella lontana Polonia,
la guerra perduta, la patria lontana,
l’onore, la nostalgia,
gli occhi di casa, perduti …
E poi i compagni che cedono,
l’un dopo l’altro, smarriti,
con gli occhi bassi e balbettano,
“ma sai … pensa … ci credi …
in fondo non c’è più nulla …”
“salvarsi”
La fredda foschia nel cervello
lo smarrimento nel cuore
e poi la certezza:
“salvarsi” vuol dire rispondere NO
E allora io che non c’ero
(ma c’ero)
e rido della retorica
e delle brillanti uniformi
vi dico:
Signori ufficiali, voi siete
l’Italia pulita
l’Italia che seppe
- che sa - rispondere, NO


Aldo Urbano8 settembre 1943. La inesistente fiducia del nostro Stato Maggiore nelle capacità dei nostri soldati portò ad una serie di decisioni assurde. Una delle più note, e citate nelle pagine di storia, fu quella di chiedere alle “forze alleate” di bombardare la città di Frascati nel tentativo di mettere fuori gioco il comando tedesco di Kesserling, invece di tentare di catturarlo con un’azione di forza. Quattro ondate di bombardieri provocarono, come sappiamo, la morte di numerosi civili e la distruzione della città ma non del comando tedesco che si trovava appena fuori dal centro abitato e che non fu affatto colpito dal bombardamento. Altre decisioni sbagliate coinvolsero il nostro esercito che era impegnato su diversi fronti all’estero. Gran parte delle nostre truppe si trovava nel fronte balcanico, zona strategica per noi, aldilà del Mare Adriatico. C’erano 35 Divisioni italiane, più di settecentomila uomini, che si videro improvvisamente contrapposte a 20 Unità tedesche. L’armistizio firmato l’8 settembre arriva improvviso, dopo un mese di trattative segrete con gli alleati: “Il Governo Italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle Forze Alleate Anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le Forze Anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. Il segreto sulla trattativa era però stato mantenuto anche con i numerosissimi alti ufficiali italiani nei Balcani che si trovarono, completamente impreparati e privi di ordini precisi, a contrapporsi con quei soldati che la propaganda della guerra, fino al giorno prima, aveva descritto come i migliori al mondo. Le situazioni cruente che si generarono furono numerosissime e tragiche. A Cefalonia, ad esempio, la Divisione “Acqui”, dopo essere stata sopraffatta dai tedeschi, fu passata per le armi. Perdettero così la loro vita ben 6.000 valorosi italiani. I settecentomila italiani furono sconfitti in pochi giorni da una forza tedesca sicuramente inferiore ma più organizzata. Alle decine di migliaia di morti si aggiunsero una moltitudine di prigionieri, deportati in Germania. Forze lavoro che furono costrette anche a sostenere la produzione bellica tedesca e che, peraltro, non poterono sostenere, invece, i loro parenti e amici nei circa due anni di prosieguo di quella follia planetaria che vide, oltretutto, una dichiarazione di guerra del “Regno del Sud” dell’Italia contro la Germania.

In Albania, tra le sei divisioni là dislocate, c’era anche la 343° Divisione di fanteria “Divisione Forlì”. Precisamente, la Divisione si trovava a Korca e la cattiva organizzazione dell’esercito italiano fece, anche lì, da “scivolo” agli eventi che si susseguirono. In quel contingente c’era anche un sottotenente, nostro concittadino castellano di Monte Compatri, Aldo Urbani, che conserva gelosamente e fieramente la memoria di quei giorni. Spesso, quest’uomo di 82 anni, alto, un aspetto fiero e carico di dignità, ricorda quell’esperienza che ha segnato in maniera altamente positiva la sua dignità d’uomo e in maniera altamente negativa ha minato la sua resistenza fisica con una sequenza di sofferenze indescrivibili. Nella sua “cassetta dei ricordi” trova posto il suo berretto da ufficiale, una gavetta di alluminio, tutta la corrispondenza che gli era pervenuta, libri scritti dai suoi compagni di prigionia, poesie, ritagli di giornali e riviste, ecc. Ma la cassetta più grande si trova immersa nei suoi ricordi, periodicamente rinfrescati nel corso di incontri che lui ha con i suoi amici sopravvissuti. “Vado a Montecatini all’incontro annuale dei reduci dalla prigionia“ dice Aldo “Il mese scorso, purtroppo è morto il caro Toccafondi. Eravamo in 145 ed ora siamo rimasti solo in 18! Ci stimiamo molto perché nessuno di noi ha mai ceduto al ricatto che ci veniva proposto. Al primo rifiuto è seguita una decimazione ed al secondo rifiuto siamo stati deportati verso il Nord, nell’Europa centrale, sempre più su. Subivamo un trattamento disumano: viaggi di settimane rinchiusi e stipati nei carri bestiame senza mai scendere (immaginatevi le condizioni igieniche), con razioni di cibo scarse ed indecenti, con il freddo che si faceva sempre più intenso a mano a mano che avanzava l’inverno. I patimenti e le malattie determinavano così continui decessi dei nostri compagni. E ad ogni nuovo campo veniva riproposto il ricatto: se vuoi tornare a casa devi aderire e giurare per la Repubblica di Salò”. Ebbene, Aldo non cedette alla violenza esercitata su di lui. Tra le sue carte si trova anche un promemoria che Aldo Urbano inviò alla Procura Militare e che ripropongo qui appresso perché dal freddo linguaggio formale del documento emerge comunque il carico di emozioni che in quei giorni sono state vissute da Aldo e da tanti soldati, non solo italiani, gettati in quella tragica tempesta distruttiva e mortifera. Il documento è “il racconto” della decimazione di 25 ufficiali e soldati italiani  della Divisione “Forlì” avvenuta a Korca (Albania) il 18 settembre 1943  da parte di militari tedeschi.
“L’8 settembre 1943, all’annuncio dell’armistizio, tutti  gli ufficiali del mio Battaglione cercarono di far comprendere ai nostri soldati, che si abbandonavano a esplosioni di gioia e di ottimismo, che in così gravi frangenti era necessaria tanta calma con altrettanto buon senso. L’invito fu accolto.
Dopo due-tre giorni, si presentarono in caserma alcuni militari tedeschi, con un sottufficiale, per fornirci ampie assicurazioni circa il nostro rientro in Italia. Fino al 15 settembre le notizie relative al nostro futuro erano del tutto contrastanti. Il 16 settembre entrarono in caserma alcune autoblindo e carri armati tedeschi: ci fu ordinato di consegnare tutte le armi di reparto, leggere e pesanti; l’ordine fu ovviamente eseguito senza esitazione, essendo rimasti completamente privi di direttive e tagliati fuori da ogni comunicazione con i comandi superiori. Nel pomeriggio del 17 settembre i tedeschi, che nel frattempo avevano ricevuto notevoli rinforzi, ordinarono al mio Reggimento di lasciare la caserma per raggiungere il locale campo di aviazione, alla periferia del paese. Qui giunti venimmo immediatamente circondati da reparti tedeschi opportunamente armati (!) ed obbligati a rimanere in attesa di disposizioni. Fu ordinato al comandante del reggimento, magg. Vera Delio, di schierare al centro del campo i tre battaglioni. All’imbrunire venne al campo, illuminato per la circostanza da potenti riflettori, un ufficiale tedesco a bordo di una autoblindo con mitragliatrice a quattro canne, scortato da un nutrito gruppo di militari e da un interprete. L’ufficiale, dopo aver messo in evidenza il tradimento subito dalla Germania da parte del governo Badoglio, ci invitò ad arruolarci nei reparti combattenti tedeschi, con lo stesso trattamento, precisava, dei militari dalla Wermacht (!). Non posso essere estremamente certo, ma ritengo che soltanto due ufficiali ed alcuni soldati dettero il proprio assenso. Vennero quindi messi in disparte. L’ufficiale tedesco, a seguito del netto e plebiscitario ritiuto, invitò il nostro Comandante a metterci in evidenza la estrema gravità del gesto e la necessità di un nostro ripensamento, lasciandoci comprendere le estreme conseguenze cui saremmo andati incontro. Brevissimo tempo per decidere: A QUESTO SECONDO INVITO IL RIFIUTO FU TOTALE. Furono immediatamente sguinzagliati numerosi soldati tedeschi che nel giro di pochi minuti presero a caso 25 uomini (quattro ufficiali e 21 soldati) iquali, disposti in fila indiana, vennero condotti fuori dal campo. Noi fummo rinchiusi nei capannoni del campo di aviazione per trascorrervi la notte, che ovviamente fu insonne anche perché verso le ore due si udì un lungo crepitio di mitraglie. Il mattino seguente, 18 settembre, uno dei soldati del gruppo dei “25” riuscì a raggiungerci nel campo, essendo miracolosamente scampato alla decimazione. Raccontò che la sera precedente, dal campo di aviazione furono condotti in una vicina altura, denominata S. Thanas, nei pressi di una chiesetta e di una scuola. Prima obbligati a scavare delle fosse e poi passati per le armi. Analoga conferma ci fu resa dal cappellano militare, padre Miranda Martino, che ci raggiunse il giorno seguente”.

Ma non tutti fecero la stessa scelta. Nel lager di Biala Podlaska furono molto numerosi coloro che non resistettero alla violenza del ricatto e, o per fame o per ideale, scelsero di aderire alla RSI. Immediatamente e spontaneamente si generò una “barriera di odio” fra i badogliani e i fascisti. La barriera di odio divenne anche una “barriera alla comunicazione”. Amici che fino ad allora avevano condiviso il tozzo di pane o “il tiro” di un mozzicone dimenticarono le esperienze vissute insieme ed instaurarono un nuovo tipo di rapporto basato sul disprezzo reciproco. Amici che fino ad allora avevano avuto gli stessi obiettivi (e li avrebbero avuti anche per il futuro), solo per avere fatto una semplice scelta di campo ed avere aderito a schieramenti diversi, sarebbero stati capaci di uccidersi! Questo “problema” si trascina da anni e, ancora oggi, impedisce un sano rapporto da “avversari” e non da “nemici” tra coloro che si trovano, idealmente o attraverso azione politica attiva, nei due schieramenti politici italiani. Non dobbiamo mai dimenticare che i nostri obiettivi generali sono uguali a quelli degli altri e che il litigio o la sopraffazione possono determinare l’annullamento di tutto ciò a cui aspiriamo. “Per non dimenticare il passato e per vivere meglio il futuro!”
Nella pagina: Ricordi - Acquerelli del campo di concentramentoeseguiti da un prigioniero

STORIA - pag. 21

Sommario anno XI numero 12 - dicembre 2002