Per
non dimenticare il passato e per vivere meglio il futuro! (di Armando Guidoni)
Lager di Biala Podlaska
Un giorno lontano di gelo
nella lontana Polonia,
la guerra perduta, la patria lontana,
l’onore, la nostalgia,
gli occhi di casa, perduti …
E poi i compagni che cedono,
l’un dopo l’altro, smarriti,
con gli occhi bassi e balbettano,
“ma sai … pensa … ci credi …
in fondo non c’è più nulla …”
“salvarsi”
La fredda foschia nel cervello
lo smarrimento nel cuore
e poi la certezza:
“salvarsi” vuol dire rispondere NO
E allora io che non c’ero
(ma c’ero)
e rido della retorica
e delle brillanti uniformi
vi dico:
Signori ufficiali, voi siete
l’Italia pulita
l’Italia che seppe
- che sa - rispondere, NO
8
settembre 1943. La inesistente fiducia del nostro Stato Maggiore nelle
capacità dei nostri soldati portò ad una serie di decisioni assurde. Una
delle più note, e citate nelle pagine di storia, fu quella di chiedere
alle “forze alleate” di bombardare la città di Frascati nel tentativo
di mettere fuori gioco il comando tedesco di Kesserling, invece di tentare
di catturarlo con un’azione di forza. Quattro ondate di bombardieri
provocarono, come sappiamo, la morte di numerosi civili e la distruzione
della città ma non del comando tedesco che si trovava appena fuori dal
centro abitato e che non fu affatto colpito dal bombardamento. Altre
decisioni sbagliate coinvolsero il nostro esercito che era impegnato su
diversi fronti all’estero. Gran parte delle nostre truppe si trovava nel
fronte balcanico, zona strategica per noi, aldilà del Mare Adriatico.
C’erano 35 Divisioni italiane, più di settecentomila uomini, che si
videro improvvisamente contrapposte a 20 Unità tedesche. L’armistizio
firmato l’8 settembre arriva improvviso, dopo un mese di trattative
segrete con gli alleati: “Il Governo Italiano, riconosciuta
l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante
potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi
sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower,
comandante in capo delle Forze Alleate Anglo-americane. La richiesta è
stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le Forze
Anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra
provenienza”. Il segreto sulla trattativa era però stato mantenuto
anche con i numerosissimi alti ufficiali italiani nei Balcani che si
trovarono, completamente impreparati e privi di ordini precisi, a
contrapporsi con quei soldati che la propaganda della guerra, fino al
giorno prima, aveva descritto come i migliori al mondo. Le situazioni
cruente che si generarono furono numerosissime e tragiche. A Cefalonia, ad
esempio, la Divisione “Acqui”, dopo essere stata sopraffatta dai
tedeschi, fu passata per le armi. Perdettero così la loro vita ben 6.000
valorosi italiani. I settecentomila italiani furono sconfitti in pochi
giorni da una forza tedesca sicuramente inferiore ma più organizzata.
Alle decine di migliaia di morti si aggiunsero una moltitudine di
prigionieri, deportati in Germania. Forze lavoro che furono costrette
anche a sostenere la produzione bellica tedesca e che, peraltro, non
poterono sostenere, invece, i loro parenti e amici nei circa due anni di
prosieguo di quella follia planetaria che vide, oltretutto, una
dichiarazione di guerra del “Regno del Sud” dell’Italia contro la
Germania.
In
Albania, tra le sei divisioni là dislocate, c’era anche la 343°
Divisione di fanteria “Divisione Forlì”. Precisamente, la Divisione
si trovava a Korca e la cattiva organizzazione dell’esercito italiano
fece, anche lì, da “scivolo” agli eventi che si susseguirono. In quel
contingente c’era anche un sottotenente, nostro concittadino castellano
di Monte Compatri, Aldo Urbani, che conserva gelosamente e fieramente la
memoria di quei giorni. Spesso, quest’uomo di 82 anni, alto, un aspetto
fiero e carico di dignità, ricorda quell’esperienza che ha segnato in
maniera altamente positiva la sua dignità d’uomo e in maniera altamente
negativa ha minato la sua resistenza fisica con una sequenza di sofferenze
indescrivibili. Nella sua “cassetta dei ricordi” trova posto il suo
berretto da ufficiale, una gavetta di alluminio, tutta la corrispondenza
che gli era pervenuta, libri scritti dai suoi compagni di prigionia,
poesie, ritagli di giornali e riviste, ecc. Ma la cassetta più grande si
trova immersa nei suoi ricordi, periodicamente rinfrescati nel corso di
incontri che lui ha con i suoi amici sopravvissuti. “Vado a
Montecatini all’incontro annuale dei reduci dalla prigionia“ dice
Aldo “Il mese scorso, purtroppo è morto il caro Toccafondi. Eravamo
in 145 ed ora siamo rimasti solo in 18! Ci stimiamo molto perché nessuno
di noi ha mai ceduto al ricatto che ci veniva proposto. Al primo rifiuto
è seguita una decimazione ed al secondo rifiuto siamo stati deportati
verso il Nord, nell’Europa centrale, sempre più su. Subivamo un
trattamento disumano: viaggi di settimane rinchiusi e stipati nei carri
bestiame senza mai scendere (immaginatevi le condizioni igieniche), con
razioni di cibo scarse ed indecenti, con il freddo che si faceva sempre più
intenso a mano a mano che avanzava l’inverno. I patimenti e le malattie
determinavano così continui decessi dei nostri compagni. E ad ogni nuovo
campo veniva riproposto il ricatto: se vuoi tornare a casa devi aderire e
giurare per la Repubblica di Salò”. Ebbene, Aldo non cedette alla
violenza esercitata su di lui. Tra le sue carte si trova anche un
promemoria che Aldo Urbano inviò alla Procura Militare e che ripropongo
qui appresso perché dal freddo linguaggio formale del documento emerge
comunque il carico di emozioni che in quei giorni sono state vissute da
Aldo e da tanti soldati, non solo italiani, gettati in quella tragica
tempesta distruttiva e mortifera. Il documento è “il racconto” della
decimazione di 25 ufficiali e soldati italiani
della Divisione “Forlì” avvenuta a Korca (Albania) il 18
settembre 1943 da parte di militari tedeschi.
“L’8 settembre 1943, all’annuncio dell’armistizio, tutti
gli ufficiali del mio Battaglione cercarono di far comprendere ai
nostri soldati, che si abbandonavano a esplosioni di gioia e di ottimismo,
che in così gravi frangenti era necessaria tanta calma con altrettanto
buon senso. L’invito fu accolto.
Dopo
due-tre giorni, si presentarono in caserma alcuni militari tedeschi, con
un sottufficiale, per fornirci ampie assicurazioni circa il nostro rientro
in Italia. Fino al 15 settembre le notizie relative al nostro futuro erano
del tutto contrastanti. Il 16 settembre entrarono in caserma alcune
autoblindo e carri armati tedeschi: ci fu ordinato di consegnare tutte le
armi di reparto, leggere e pesanti; l’ordine fu ovviamente eseguito
senza esitazione, essendo rimasti completamente privi di direttive e
tagliati fuori da ogni comunicazione con i comandi superiori. Nel
pomeriggio del 17 settembre i tedeschi, che nel frattempo avevano ricevuto
notevoli rinforzi, ordinarono al mio Reggimento di lasciare la caserma per
raggiungere il locale campo di aviazione, alla periferia del paese. Qui
giunti venimmo immediatamente circondati da reparti tedeschi
opportunamente armati (!) ed obbligati a rimanere in attesa di
disposizioni. Fu ordinato al comandante del reggimento, magg. Vera Delio,
di schierare al centro del campo i tre battaglioni. All’imbrunire venne
al campo, illuminato per la circostanza da potenti riflettori, un
ufficiale tedesco a bordo di una autoblindo con mitragliatrice a quattro
canne, scortato da un nutrito gruppo di militari e da un interprete.
L’ufficiale, dopo aver messo in evidenza il tradimento subito dalla
Germania da parte del governo Badoglio, ci invitò ad arruolarci nei
reparti combattenti tedeschi, con lo stesso trattamento, precisava, dei
militari dalla Wermacht (!). Non posso essere estremamente certo, ma
ritengo che soltanto due ufficiali ed alcuni soldati dettero il proprio
assenso. Vennero quindi messi in disparte. L’ufficiale tedesco, a
seguito del netto e plebiscitario ritiuto, invitò il nostro Comandante a
metterci in evidenza la estrema gravità del gesto e la necessità di un
nostro ripensamento, lasciandoci comprendere le estreme conseguenze cui
saremmo andati incontro. Brevissimo tempo per decidere: A
QUESTO SECONDO INVITO IL RIFIUTO FU TOTALE. Furono
immediatamente sguinzagliati numerosi soldati tedeschi che nel giro di
pochi minuti presero a caso 25 uomini (quattro ufficiali e 21 soldati)
iquali, disposti in fila indiana, vennero condotti fuori dal campo. Noi
fummo rinchiusi nei capannoni del campo di aviazione per trascorrervi la
notte, che ovviamente fu insonne anche perché verso le ore due si udì un
lungo crepitio di mitraglie. Il mattino seguente, 18 settembre, uno dei
soldati del gruppo dei “25” riuscì a raggiungerci nel campo, essendo
miracolosamente scampato alla decimazione. Raccontò che la sera
precedente, dal campo di aviazione furono condotti in una vicina altura,
denominata S. Thanas, nei pressi di una chiesetta e di una scuola. Prima
obbligati a scavare delle fosse e poi passati per le armi. Analoga
conferma ci fu resa dal cappellano militare, padre Miranda Martino, che ci
raggiunse il giorno seguente”.
Ma non tutti fecero la stessa scelta. Nel lager di Biala Podlaska furono
molto numerosi coloro che non resistettero alla violenza del ricatto e, o
per fame o per ideale, scelsero di aderire alla RSI. Immediatamente e
spontaneamente si generò una “barriera di odio” fra i badogliani e i
fascisti. La barriera di odio divenne anche una “barriera alla
comunicazione”. Amici che fino ad allora avevano condiviso il tozzo di
pane o “il tiro” di un mozzicone dimenticarono le esperienze vissute
insieme ed instaurarono un nuovo tipo di rapporto basato sul disprezzo
reciproco. Amici che fino ad allora avevano avuto gli stessi obiettivi (e
li avrebbero avuti anche per il futuro), solo per avere fatto una semplice
scelta di campo ed avere aderito a schieramenti diversi, sarebbero stati
capaci di uccidersi! Questo “problema” si trascina da anni e, ancora
oggi, impedisce un sano rapporto da “avversari” e non da “nemici”
tra coloro che si trovano, idealmente o attraverso azione politica attiva,
nei due schieramenti politici italiani. Non dobbiamo mai dimenticare che i
nostri obiettivi generali sono uguali a quelli degli altri e che il
litigio o la sopraffazione possono determinare l’annullamento di tutto
ciò a cui aspiriamo. “Per non dimenticare il passato e per vivere
meglio il futuro!”
Nella pagina: Ricordi - Acquerelli del campo di
concentramentoeseguiti da un prigioniero
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