marino
Insigni
personaggi castellani: Jacopa de’Settesoli 1
(Alberto
Crielesi) - I pochi dati biografici su
Jacopa de’Settesoli, riguardano principalmente la grande riforma
spirituale francescana e le immense ricchezze feudali di suo marito, il
nobile romano Graziano Frangipane del ramo de’Settesoli. Questa progenie
– ben distinta dai Frangipane de Chartularia (nei pressi del Colosseo) e
da quelli dei De Gradellis (in Trastevere) - traeva il curioso appellativo
- Settesoli o Sette zone - dalla sua dimora fortificata,
all’estremità meridionale del Palatino, nota nell’antichità come il Settizonio,
monumento di sette piani, fatto erigere dall’Imperatore Settimio Severo
per celebrare le sue vittorie in Oriente.
Jacopa de’Normanni nacque a Roma intorno al 1190 da una
egualmente illustre famiglia residente a Trastevere. Il casato,
d’origine normanna, vantava tra i suoi membri quel cardinal Stefano che
aveva indotto gli eremiti di S. Maria di Palazzolo sul Lago Albano ad
abbracciare un Ordine monastico vero e proprio concordando con l’Abate
delle Tre Fontane alle Aquae Salviae l’incorporazione della
chiesa di Palazzolo all’abbazia romana e l’accettazione da parte dei
suoi frati della Regola di S. Bernardo. Tornando su Jacopa, da un
documento del 1210, risulta che aveva già sposato Graziano Frangipane e
che dal loro matrimonio erano nati due figli, Giacomo e Giovanni. Graziano
morì prematuramente nel 1217, affidando alla propria vedova
l’amministrazione dei numerosi castelli e dei possedimenti sparsi per
tutta Roma e nella campagna romana come Cisterna, Ninfa, Terracina, Torre
Astura ecc. Era, com’è noto, di sua proprietà, anche Marino,
alla cui comunità, la nobildonna e suo figlio Giovanni, con un atto del
31 maggio1237 – probabilmente uno degli ultimi atti pubblici firmati da
Jacopa prima di ritirarsi ad Assisi - concesse un particolare statuto: lo
stesso castello che suo figlio Giovanni, non avendo discendenti, avrebbe
destinato in testamento nel 1253 ai monasteri dei Ss. Andrea e Saba di
Roma e “Santa Maria” di Grottaferrata ed ai poveri di Marino e che gli
esecutori testamentari, il Cardinale Giovanni Orsini e Fra Tommaso, Priore
di Santa Sabina, vendettero per la somma di 13 mila libre di provisini
romani al Cardinale Matteo Rosso Orsini, procuratore dei poveri di
Marino fu un certo Pietro da Vicovario (Vicovaro).
Ma riprendendo il filo, Jacopa aveva incontrato Francesco a Roma,
nel 1219, durante una predicazione. Ella, donna fatta e vedova di sì
illustre casato, aveva guidato con ferma mano il frate d’Assisi per le
vie dell’Urbe, come se fosse un figlio, appena maggiore dei suoi. Da
allora, Jacopa de’Settesoli era diventata la più valida collaboratrice
del neonato movimento francescano nella città dei Papi. Fu lei ad
ottenere dai Benedettini di S. Cosimato in Trastevere la cessione
dell’ospedale di San Biagio, che divenne il primo luogo romano dei
Minori. Nel 1231, immediatamente dopo la canonizzazione di Francesco,
l’ospedale fu trasformato nel convento di S. Francesco a Ripa per
iniziativa della stessa Jacopa de Settesoli – secondo altre fonti dagli
Anguillara - e Papa Gregorio IX. L’attuale cappella di San Francesco che
ricalca grossomodo la cella dove dimorò il Santo contiene una pietra che
il Poverello usava come cuscino ed un paio di sue immagini (XIII Secolo)
attribuite al pittore Margaritone D’Arezzo volute, secondo la
tradizione, sempre dalla pia Jacopa.
Attiva e risoluta, pur essendo devota e premurosa, Jacopa si poteva
quasi dire un uomo, e, infatti, mentre Francesco chiamava sempre Chiara
con il nome di sorella, appellò Jacopa, per la sua forza d’animo e la
sua integrità - considerate all’epoca qualità prettamente virili -
affettuosamente con il nome di fratello: Frate Jacopa.
Ella gli dimostrò grande dedizione e rimase sua carissima amica
per tutta la vita. Secondo San Bonaventura, un giorno Francesco le regalò
un agnellino, figura del Salvatore, che la seguiva fedelmente dappertutto
e belava ogni mattina per svegliarla. Jacopa lo allevò, lo tosò, e con
la sua lana tessé una tunica a Francesco. Era questo il carattere di
Jacopa, che da ogni cosa sapeva trarre profitto e utilità.
Nonostante avesse l’opportunità di vivere lussuosamente, ella
seguì il modello di perfezione suggerito da Francesco, conducendo una
vita austera e mettendo a sua disposizione i suoi beni ed il suo potere.
Sarebbe voluta entrare nel Secondo Ordine, ossia quello di Chiara, ma
doveva ancora prendersi cura dei figli.
Nel 1221 Francesco, probabilmente ispirato da lei, fondò
l’Ordine dei “Fratelli e Sorelle della Penitenza”, o “Terzo
Ordine”, per i laici che desideravano condurre una vita santa, pur
rimanendo a vivere nel mondo.
Il ritratto. Su richiesta di Jacopa, fu eseguito un ritratto di
Francesco, ancora vivente, quando il Poverello dopo il grande miracolo
della Verna s’era recato a Rieti per ritentare presso i medici della
corte pontificia la cura del suo mal d’occhi, che minacciava di
condannarlo ad una cecità completa. L’immagine - sicuramente una copia
cinquecentesca in tela su tavola - è tuttora conservata nell’eremo di
Greccio, il paese dove il Santo inaugurò la popolare tradizione del
Presepe.
In questa immagine, il Poverello si asciuga le lagrime con un
pannolino bianco che tiene nella destra, mentre mostra la sinistra nella
cui palma, come sul dorso del piede sinistro, nereggia, il Sigillo di
Cristo (la Stimmata). La figura del Santo è piccola, macilenta,
disegnata in piedi, ma un po’ curva, commoventissima, piena di
misticismo.
Un’iscrizione informa: “Vero ritratto del Serafico Patriarca
San Francesco d’Assisi, fatto eseguire dalla pia donna romana Giacoma
de’ Settesoli, vivente lo stesso Patriarca, che si venera nella di lui
Cappella del S. Ritiro di Greccio”
La morte di Francesco. Quando Francesco sentì
avvicinarsi la sua ultima ora, disse ad un frate di scrivere una lettera
per Jacopa, per informarla della sua morte imminente e chiedendole di
raggiungerlo alla Porziuncola, recandogli una veste per la sepoltura,
candele per il funerale: “A donna Jacopa, serva dell’Altissimo,
frate Francesco, poverello di Cristo, augura salute nel Signore e
comunione nello Spirito Santo.
Sappi, carissima, che il Signore benedetto mi ha fatto la
grazia di rivelarmi che è ormai prossima la fine della mia vita. Perciò,
se vuoi trovarmi ancora vivo, appena ricevuta questa lettera, affrettati a
venire a santa Maria degli Angeli. Poiché se giungerai più tardi di
sabato, non mi potrai vedere vivo. E porta con te un panno di colore
cenerino per avvolgere il mio corpo e i ceri per la sepoltura ”.
Alla fine della lettera, poi, esprimeva un desiderio:
“Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita
darmi quando mi trovavo malato a Roma”.
Proprio mentre i frati stavano cercando qualcuno che portasse la
lettera a Roma, Francesco presentì che Jacopa stava già recandosi da
lui. Immediatamente dopo, si udì bussare alla porta della minuscola
capanna adiacente la cappella, che fungeva da infermeria... Ella era
arrivata con i suoi figli. Per lei, alla Porziuncola, fu tolta la
clausura, che non era mai stata soppressa nemmanco per Chiara.
Jacopa aveva portato tutto ciò che Francesco desiderava, inclusi i
dolci, fatti con mandorle, zucchero ed altri ingredienti, noti allora a
Roma e nel circondario, col nome di mortariolum2
e che qualcuno ha voluto individuare, come una variante - ma forse
più per l’assonanza del nome - con i nostrani “mostaccioli”3 .
Gli recò anche una veste da lei stessa tessuta e che poi servì
come veste mortuaria, un cuscino di seta rossa con ricamati i leoni di
casa Frangipane e le aquile imperiali e ed il suo velo nuziale di seta
bianca lavorato a rombi e gigli su cui erano ricamate con lettere in seta
e oro le parole: “ama, ama, ama”.
Jacopa gli rivelò che, mentre stava pregando a Roma, una voce
divina l’aveva avvertita che presto lui sarebbe passato presto ad altra
vita, e che le avrebbe chiesto di portargli le cose che ella gli aveva
appena recato. Dopo il transito del Santo, quando il corpo di Francesco
restò nudo sulla nuda terra, Frate Jacopa deterse con quel lino il sudore
della morte dal suo volto. Né parve strano che per quel gesto ella usasse
un ricordo del suo terreno amore.
Partecipando così al funerale e, come raccontano I Fioretti,
fu la stessa Jacopa a sostenere le spese di sepoltura di Francesco. Dopo
il funerale di Francesco, Jacopa tornò a Roma, dove visse per più di
dieci anni dedicandosi a opere di pietà, e di carità.
In seguito, decise di fare testamento, lasciando tutte le sue
proprietà al figlio Giovanni, essendogli l’altro, Giacomo, morto nel
1230 - e chiedendo di essere sepolta ad Assisi ove un paio d’anni prima
della morte si trasferì ed ove morì nel 12394 . Seguì nel sepolcro il suo
Maestro nella chiesa inferiore della “Basilica di San Francesco”,
sotto il pulpito, vicino all’altare che sovrasta la tomba di Francesco.
Nel 1932, i suoi resti furono trasferiti nella Cripta del Santo, di
fronte all’altare fra le due scalinate, in un’urna, protetta da una
griglia metallica nera, con un’iscrizione sopra:
“fr. jacopa de septemsoli”,
ed un’altra al di sotto di essa:
“hic requiescit iacopa sancta nobilisque romana”
Note:
1)
Appunti tratti da: Jacopa de’Settesoli, note varie, A.
Crielesi, Dispensa Corso, Arte e Spiritualità, Pontificio
Ateneo Antonianum, anno accademico 2001-2002.
2)
“Illam autem comestionem vocant romani mortariolum quae fit de
amygdalis et zucario et de aliis rebus”, da Frate Leone, Specchio
di perfezione, trad. Pennacchi F., Sancasciano 1925, s. c. 112.
3)
I “mortarioli”, dagli ingredienti (mandorle e zucchero ecc.),
fanno pensare a dei dolci simili alla pasta di mandorle ottenuta lavorando
con un mortaio (mortarium), in tutti i modi, a livello di
curiosità, riporto la “ricetta laziale” dei nostri mostaccioli,
delizia, in special modo, del periodo natalizio:
Ingredienti:
60
gr di farina, 100 gr di noci sgusciate, pepe, 100gr di miele, l’albume
di 2 uova, cannella.
Preparazione:
Impastare la farina con il miele, gli albumi, le noci, il pepe e la
cannella. Lavorarlo, poi stenderlo sulla tavola. Tagliare delle strisce
rettangolari o romboidali, metterle sulla piastra del forno e far cuocere
a calore moderato per una ventina di minuti. Togliere dalla piastra quando
saranno completamente raffreddate.
4) Nonostante il rinvenimento di testamenti, riportati dal Sabatier nello
Specchio di Perfezione pp. 273-277 dove si parla di Jacoba de
Roma, che vanno dal 1258 al 1288, gli storici stanno piuttosto con il
Wadding il quale asserisce aver letto in antichi manoscritti mostratigli
ad Assisi, esser morta Jacopa de’ Settesoli nel 1239. È da scartare
tuttavia alcuni presunti documenti, inerenti l’amministrazione di
Marino, che la citano insieme al figlio Giovanni verso il 1273 in quanto a
quella
data il castello era già degli Orsini e Giovanni Frangipane morto.
parco
dei monti simbruini
No
del Tar per lo scioglimento del Consiglio
(Giancarlo Giombetti) - Il Tar del Lazio ha annullato il
provvedimento della Giunta regionale dell’agosto scorso con il quale è
stato sciolto il Consiglio direttivo del Parco dei Monti Simbruini. Il Tar
ha accolto il ricorso dei consiglieri “defenestrati”, annullando il
provvedimento “per vizi procedimentali” e nel merito ritenendo
“pretestuose” le motivazioni che lo sostenevano.
“Esprimo grande soddisfazione– ha dichiarato Giovanni Hermanin,
capogruppo della Margherita al Consiglio regionale – per la decisione
assunta dal Tar contro un provvedimento del tutto immotivato che aveva
come unico scopo quello di mettere le mani di Storace sulla gestione dei
Parchi. Adesso mi aspetto la stessa decisione sugli altri Consigli
direttivi dei Parchi dei Castelli, dei Lucretili e della Riserva dei Monti
Cervia e Navegna.
Quello che avevamo definito “il golpe d’agosto”, in parte è
stato respinto. Adesso occorre la mobilitazione dei cittadini per impedire
l’altra decisione assunta e cioè il taglio di 18.000 ettari dei
Parchi.”
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