frascati
Tusculum
Riemerge una città
(Luca
Ceccarelli) - Tusculum era una città latina che divenne
colonia romana nel III secolo, pur conservando una larga autonomia.
Durante la tarda età repubblicana e in epoca imperiale fu una meta di
soggiorno dei patrizi romani. Nel corso del Medio Evo si trasformò nella
sede fortificata della famiglia dei Conti, finché nel 1191 la città non
venne distrutta e rasa al suolo dai romani con il benestare
dell’Imperatore Enrico VI (il cui padre, Federico Barbarossa, non aveva
mai acconsentito alla sua distruzione). La popolazione superstite di
Tusculum si rifugiò attorno alle chiese di Santa Maria e San Sebastiano
in Frascata, così dette perché la popolazione vi aveva diritto “di
frasca”, ossia, di tagliare la legna dei boschi. Da qui nacque nel Medio
Evo il nuovo borgo di Frascati, che nel XIV secolo venne cinto di mura.
Di Tusculum per moltissimo tempo non si parlò più, anche se le
numerose ville che vennero edificate a partire dal Cinquecento, quando il
paese divenne dominio della Santa Sede, accrebbero l’importanza della
città di Frascati.
L’esposizione che si è svolta nelle Scuderie Aldobrandini di Frascati,
curata da Giovanna Cappelli e Susanna Pasquali dedicata a Tusculum.
Luigi Canina e la riscoperta di un’antica città, che è durata fino
al 10 novembre, con l’Alto Patrocinio della Presidenza della Repubblica,
ha proposto un’abbondante messe di materiali archeologici rinvenuti
nell’area dove sorgeva l’antica città, oltre a documenti che,
corredati da un’esposizione chiara ed esaustiva, mostrano come, a
partire dal XVII secolo l’antica Tusculum sia lentamente
riemersa, come una specie di Atlantide, dalla sepoltura a cui l’avevano
condannata il tempo e le catastrofi storiche. Del suo nuovo volto comincia
ad esserci traccia nelle carte topografiche del Seicento e del Settecento,
in cui il nucleo abitato circondato dalle mura appare circondato da ville.
Ne abbiamo un esempio in un’incisione di Jean Bleu del 1704, in una di
Matthäus Greuter del 1620, in Havart de Rogissart (1709) e nelle
topografie del celebre Athanasius Kircher (1671), a cui è stato dedicato
recentemente un convegno qui ai Castelli. Nel XVII e nel XVIII secolo ci
fu un’intenso dibattito a distanza tra eruditi su dove fosse ubicata
l’antica Tusculum, e furono ipotizzati diversi
luoghi in corrispondenza di ruderi tra Frascati e Grottaferrata.
La villa Rufinella si chiama così perché il suo nucleo originario fu
sistemato dai Rufini nel tardo Cinquecento. Passata di mano più di una
volta, nel 1741 essa divenne la residenza estiva della Compagnia di Gesù,
e il Collegio Romano dei gesuiti incaricò di restaurarla il celebre
architetto Luigi Vanvitelli, che le diede l’aspetto attuale. Gli scavi
che vennero effettuati nei decenni successivi rivelarono che Tusculum
aveva sede proprio in corrispondenza della Rufinella e dei possedimenti
limitrofi. L’importanza della scoperta di Tusculum fu enorme,
soprattutto per comprendere l’assetto urbanistico delle città
dell’Antica Roma.
Nel 1773 la Compagnia di Gesù, com’è noto, venne sciolta, e i suoi
beni, compresa la Rufinella e i nuovi reperti archeologici, vennero
incamerati dalla Camera Apostolica pontificia. Qualche anno dopo, con
l’espansione dell’Impero napoleonico, la villa passò a Luciano
Bonaparte, che ne fu proprietario fino al 1820. Sotto l’Impero gli scavi
ricevettero un nuovo impulso, tanto che il celebre antichista Antonio
Nibby poté pubblicare una rappresentazione topografica del Tuscolo, con
la pianta della cittadella, i resti dei due teatri e un tratto
dell’antica via, che non si discostava molto da quello confermato dalle
planimetrie effettuate in epoca contemporanea. Di questo periodo, nella
mostra è stato proposto un disegno ad inchiostro di seppia su carta di
Charles Chatillon raffigurante i membri della famiglia Bonaparte
(dello stesso Chatillon è stato esposto un acquerello nella mostra su
carta che raffigura la Rufinella).
Nel 1820 la Rufinella e i suoi possedimenti passarono ai Savoia, che
diedero nuovo impulso alla prosecuzione degli scavi, finché nel 1826
l’architetto e incisore Luigi Rossini presentò una serie di tavole con
i nuovi ritrovamenti, tre delle quali sono state esposte nella mostra.
L’impulso maggiore agli scavi lo diede Maria Cristina di Borbone, vedova
di Carlo Felice, che promosse la villa a sua residenza estiva dal 1838 al
1842, ribattezzandola Villa Tusculana. La villa e gli scavi furono
visitati dal Papa Gregorio XVI, grande appassionato di archeologia, e la
visita è immortalata in un acquerello di Salomon Corrodi conservato al
Castello d’Agliè ed esposto nella mostra. Ebbene, fu proprio la
principessa Maria Cristina ad incaricare della direzione degli scavi Luigi
Canina, giovane architetto piemontese assai esperto di archeologia. Sotto
la sua direzione l’area del foro venne resa visitabile, e il Canina, con
il patrocinio della principessa, promosse anche l’edizione della Descrizione
dell’antico Tuscolo, del 1841, una raccolta di tavole in cui
venivano riprodotti, in stampe davvero pregevoli, i nuovi reperti. Alcune
tavole, presenti nella mostra, erano di mano del Canina, altre di un
incisore di grande valore Eugenio Landesio, come la Veduta
dell’anfiteatro tusculano e la Veduta del Teatro Tuscolano.
Con il lavoro di ricognizione e di riproduzione del Canina (che morirà
nel 1856 a soli 39 anni) abbiamo l’ultima e decisiva stagione di
ritrovamenti dell’Ottocento, prima che i terrenti passassero, nel 1873,
dai Savoia agli Aldobrandini Borghese. Interessanti sono, tuttavia, anche
le acquisizioni di una scuola archeologica spagnola che in anni recenti ha
formulato un’ipotesi interessante sulla vera identità della presunta
villa di Cicerone (che già il Canina sapeva non essere realmente tale).
Sembra che si tratti di un tempio non dissimile da quello della Fortuna
Primigenia di Palestrina, e da altri templi pagani le cui rovine
costellano il Lazio.
lettera
a controluce
Democrazia
(Luigi Baldassarre) - Ho letto l’articolo
“Il Paese di Nessuno – 2” di Alessandra
Felici sul numero scorso di CONTROLUCE…… apprezzandone il
contenuto e condividendo appieno l’analisi sui motivi del degrado
politico -amministrativo della nostra comunità. Vorrei soltanto
aggiungere e rafforzare l’idea che la “politica”, nel significato più
profondo della parola, è uno strumento utile per realizzare idee e
progetti a favore di uno Stato, Regione, Provincia o di una qualsiasi
comunità, piccola o grande che sia.
Accade spesso, però, specialmente nell’immaginario collettivo dei
piccoli Centri, come il nostro, credere che questa debba essere ideata e
gestita unicamente dai
Partiti, i quali, quasi sempre, si configurano
con gli Amministratori locali.
Ciò potrebbe anche
essere accettabile a patto che sia gestita
da persone dotate di valori etici, cioè, di una istintiva
percezione del giusto e dell’onesto.
Sebbene alcuni politici, (
quasi sempre politicanti…) abbiano queste nobili prerogative, non sempre
riescono a mantenere ferma quella dirittura morale che li dovrebbe
contraddistinguere, in quanto cadono quasi sempre,
nella spirale, a dir poco “pericolosa”, di una gestione troppo
personale, influenzando negativamente sulle legittime aspirazioni civili
della società... Questo modo malsano di concepire e usare la politica
umilia e rallenta la crescita delle coscienze! Per evitare questa infelice
situazione, secondo il mio modesto parere, si dovrebbe espandere,
allargare la gestione stessa
della politica, coinvolgendo
l’intera comunità… Ma per realizzare ciò bisogna crederci, puntare
verso questo obiettivo, volerlo veramente, senza confondere
e mescolare l’interesse personale con il bisogno collettivo,
staccando, innanzitutto, la spina della furbizia e della riserva mentale.
(È chiaro che questo principio vale anche per tutte
quelle “istituzioni e organizzazioni sociali “ esistenti sul
territorio...).
Occorre, perciò,fare uno sforzo culturale per uscire da questa
situazione perversa che non è facile, riconosco, ma neanche impossibile: è questione, ripeto, di credere, di
volere e di essere propensi, innanzitutto, ad ascoltare,mettendo da
parte l’arroganza e la presunzione di chi crede di poter comandare a
proprio piacimento, sol perché occupa una determinata carica
elettiva……
Con questa mia modesta e breve analisi, non mi illudo di aver dato la
soluzione al problema, bensì spero di stimolare tutti gli uomini di buona
volontà ad una riflessione seria ed accorata, senza faziosità di parte.
Concludo e ribadisco che: la mancanza di attuazione di una “politica
democratica”, a qualsiasi livello, intesa come reale partecipazione
popolare di ascolto, di coinvolgimento e di operatività, porta la
società tutta ad una difficoltà nel camminare con le proprie gambe,
nell’immaginare e nell’organizzare quelle giuste condizioni di
vivibilità e di qualità
della vita come scelta responsabile e consapevole.
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