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Sommario anno XI numero 12 - dicembre 2002

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I Fioretti e il Social Forum di Firenze
(Luca Ceccarelli) - Il diciannovesimo capitolo dei Fioretti di San Francesco fa riferimento ad un episodio relativo alla fase più tarda della vita del santo, che, funestato da una malattia agli occhi, venne consigliato dal cardinale Ugolino di Rieti, suo amico e protettore, di recarsi a Rieti “dov’erano ottimi medici d’occhi”.
A Rieti, la folla ad attenderlo era immensa, e il santo, ormai malandato di salute, non si sentì di andarle incontro. Preferì pertanto rifugiarsi in una chiesa di campagna nelle vicinanze della cittadina. Ma la popolazione scoprì il rifugio di Francesco, e andò a cercarlo lì. Questa cura di campagna aveva annesso un vigneto, e con la folla immensa che accorreva a visitare il santo e a cercare da lui parole di conforto, accadde «che la vigna della chiesa tutta si guastava e l’uve erano tutte colte. Di che il prete forte si dolea nel core suo, e pentessi ch’egli avea ricevuto santo Francesco nella sua chiesa». Francesco comprese il pensiero del prete, anche se quest’ultimo evidentemente non si era permesso di rivelarglielo apertamente, lo mandò a chiamare e gli domandò molto amorevolmente quanto vino rendeva la vigna, e quando il prete gli rispose che rendeva “dodici some” (che naturalmente, con l’invasione della folla erano andate tutte perdute) Francesco gli disse: «Io ti priego, padre, che tu sostenga pazientemente il mio dimorare qui alquanti dì, però ch’io ci truovo molto riposo, e lascia torre a ogni persona dell’uva di questa tua vigna per lo amore di Dio e di me poverello; e io ti prometto dalla parte del mio Signore Gesù Cristo, ch’ella te ne renderà uguanno venti some». Il prete accettò, San Francesco continuò a stare nella chiesa e a ricevere le persone, molte delle quali se ne ripartivano illuminate dalle sue parole, e a volte sceglievano addirittura di dedicarsi alla vita consacrata. Nel frattempo, la vigna veniva privata di quasi tutta la sua uva, di cui non rimasero che alcuni grappoli. Ma quando questi pochi grappoli superstiti vennero raccolti e vendemmiati, ne uscirono fuori le venti some promesse. «Maravigliosa cosa! La vigna fu al tutto guasta, sicché appena vi rimasono alcuni racimoli d’uve. Viene il tempo della vendemmia, e ‘l prete raccoglie cotali racimoli e metteli nel vino e pigia, e secondo la promessa di santo Francesco, ricoglie venti some d’ottimo vino».
La grande folla che accorse da San Francesco nella cura di campagna vicino Rieti era una massa di ladri che ha devastato la vigna, oppure una folle di persone bisognose di conforto, che nel santo di Assisi trovavano la pace interiore? Forse un po’ dell’uno e un po’ dell’altro: ci furono conversioni ma anche qualche furto di uva. Ma alla fine, davanti alla meraviglie operate dal santo, anche le ferite alla vigna si rimarginano più facilmente. Anche dal punto di vista del curato.
Come si evince da questo racconto, l’importante è il punto di vista da cui le cose si guardano. Il Social Forum che si è recentemente concluso a Firenze veniva presentato da molti come una calamità, che avrebbe portato una serie di devastazioni ai monumenti plurisecolari e agli esercizi commerciali. Qualcuno, perfino, se lo augurava per poterci speculare politicamente. E i timori non erano del tutto infondati, dal momento che le dichiarazioni di alcuni portavoce di dubbia rappresentatività apparivano alquanto bellicose, speculari del resto a quelle di alcune frange delle forze di polizia, interessate più alla repressione che al mantenimento dell’ordine.
E invece, anche se qualche piccolo disagio per gli abitanti c’è stato, si è parlato di pace, giustizia sociale, ecologia, e, non a caso, anche di nuovi orizzonti della spiritualità e di rinnovamento della Chiesa. E quando si ascoltavano gli esponenti della Rete di Lilliput parlare di commercio equo e solidale si sentivano echeggiare nei loro discorsi contenuti molto affini a quelli dei documenti di dottrina sociale della Chiesa cattolica, dai Padri della Chiesa fino alle encicliche dei papi dell’epoca contemporanea. Verrebbe da stupirsi, a tal riguardo, del fatto che quando determinati principi restano in astratto, sui documenti del magistero vaticano, vanno bene a tutti, compresi i più accesi fanatici del liberismo in economia. Quando invece vengono sperimentati nel concreto, arriva qualcuno che accusa i loro promotori di astrattezza. È evidente che i conti non tornano, ma ora, se non altro, cominceranno a venir meno le accuse  generalizzate di rozzo teppismo.
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Sommario anno XI numero 12 - dicembre 2002