Remore,
difficoltà e possibilità nel trattamento con oppiacei dei malati
terminali
Il presente articolo si sviluppa in note successive che prenderanno in
esame:
1) Alcune premesse al tema; 2) Pericoli reali e pericoli esagerati
dell’uso medico degli analgesici oppiacei; 3) La situazione legale: il
caso dell’Olanda; 4) La situazione legale: il caso degli USA; 5) La
situazione legale in Italia; 6) Il problema religioso; 7) Conclusioni..
L’autore, Giovanni Ceccarelli, quasi settantenne, è medico
pediatra specializzato in bioetica presso l’Università Cattolica del
Sacro Cuore in Roma. Per trent’anni si è occupato dello studio dei
farmaci sia a livello dell’Università - ha insegnato Farmacologia
Clinica preso le Scuole di specializzazione in Farmacologia e Medicina
Interna della Sapienza - sia nell’Industria - è stato direttore Medico
per l’Italia di Pfizer e di società dl gruppo Schering.
Nella vita, se uno vuole capire,
capire veramente come stanno le cose di questo mondo,
deve morire almeno una volta.
Giorgio Bassani: Il giardino dei Finzi Contini
NOTA 2: PERICOLI REALI E PERICOLI ESAGERATI DELL’USO DEGLI OPPIACEI NEL
MALATO TERMINALE
Nella precedente “Nota 1” abbiamo visto che l’uso dei farmaci del
gruppo della morfina (oppiacei) è un caposaldo nella terapia del dolore
che spesso affligge i malati terminali; abbiamo visto però, anche, come
l’uso di questi farmaci sia sovente limitato - e quindi inadeguato a
togliere il dolore - a causa di remore di varia natura.
Non è il caso di soffermarsi qui su alcuni aspetti più squisitamente
medici del problema del dolore nei malati terminali. Basterà ricordare
che l’efficacia della morfina e dei suoi derivati è notevole in
moltissimi casi, anche se alcuni tipi di dolore reagiscono meno bene di
altri alla terapia con questi farmaci.
Non si può fare a meno di rammentare, però, che - come per tutti i
farmaci - anche per la morfina l’efficacia dipende ovviamente dalla dose
e dalla frequenza di somministrazione. Queste devono essere stabilite
sulla base di studi adeguati e corretti; per essere tali, questi studi di
valutazione devono essere condotti in situazioni che ripetano quelle di
impiego clinico; ciò significa che non è possibile trasferire i
risultati ottenuti - ad esempio- in pazienti affetti da un certo tipo di
dolore (per esempio: dolori di tipo acuto) ad altri pazienti che soffrano
di un dolore di tipo diverso (per esempio dolori dovuti a condizioni
croniche). Bisognerà anche ricordare che la dose di morfina orale deve
essere superiore, anche di parecchie volte, a quella della stessa morfina
per iniezione, a causa di fenomeni che implicano una diversa
trasformazione del farmaco ad opera dell’organismo in dipendenza delle
varie vie di assunzione..
Un altro elemento medico che spesso condiziona l’uso degli oppiacei nel
malato con dolore cronico grave è il timore connesso ad una possibile
depressione respiratoria indotta dal trattamento. Questo timore è
certamente reale, ma nel caso in esame è fortemente esagerato e
sovrastimato. Addirittura, ci sono dati che indicano come il dolore grave
e protratto sia un potente antagonista degli effetti di depressione
respiratoria da oppiacei e comunque una depressione respiratoria da
oppiacei è molto rara in pazienti con dolore severo.
Non c’è dubbio, l’ho già accennato, che i timori connessi a
fenomeni di dipendenza da oppiacei condizionano molto a livello culturale
l’uso di tali farmaci nel paziente terminale con dolore grave, anche se,
proprio perché si tratta di un paziente terminale, tali timori dovrebbero
essere considerati nel loro peso reale, connesso e correlato al singolo
caso. Va al riguardo segnalato che una indagine recente ha mostrato che
negli Stati Uniti si è verificato nel corso degli anni ’90 un
considerevole, anche se ancora non adeguato alle necessità, aumento
dell’impiego medico di oppiacei analgesici, valutato in base a
criteri attendibili (dal 1990
al 1996 si è avuto un aumento del 59% dell’uso di morfina; del 23% di
quello dell’ossicodone e del 19% dell’idromorfone, addirittura del
1168% del fentanil - si tratta di tre farmaci simili alla morfina negli
effetti analgesici e che spesso la sostituiscono nella terapia del dolore
nei malati terminali); solo l’impiego medico della meperidina, di cui è
conosciuta la breve durata di azione e alcuni effetti collaterali, è
diminuito nello stesso lasso di tempo del 35%); accanto a questo aumento
degli impieghi medici, l’aumento di drug abuse (cioè,
sostanzialmente, di abitudine al farmaco) nello stesso periodo è stato
soltanto del 6.6% all’anno, variando in relazione ai differenti farmaci
(-29% per l’ossicodone ma +3% per la morfina), per cui gli Autori dello
studio concludono che “la tendenza ad un maggiore uso medico di
analgesici oppiacei per la terapia del dolore non sembra contribuire ad aumentare il rischio da oppiacei sulla salute pubblica”.
L’aumentato utilizzo dei farmaci antidolore - e quindi degli oppiacei -
viene considerato dall’OMS un parametro importante e forse il principale
indicatore del migliorato trattamento del dolore. Spiace constatare al
riguardo che l’Italia, come è stato sempre segnalato dal Comitato
Nazionale di bioetica, è tuttora in coda alla classifica europea per tale
parametro e agli ultimi posti nella classifica mondiale. Sempre secondo il
Comitato Nazionale per la bioetica, negli ospedali italiani in base a
recenti dati statistici circa il 50% dei degenti soffre per dolore non
controllato. Nella precedente nota di questa serie, abbiamo visto come
secondo i dati OMS il consumo pro capite di morfina in Italia per
usi medici - quindi per la terapia del dolore - è notevolmente inferiore
a quello che si verifica in altri Paesi europei, anche di tradizione
simile alla nostra (tale consumo è pari al 23% di quello della Spagna, al
5% di quello del Portogallo); addirittura il consumo in parola è in
Italia solo il 2% di quello della Danimarca.
Certamente, in queste condizioni, parlare - come sovente si fa anche ad
opera di esperti autorevoli- di “ospedali senza dolore” è poco più
di un auspicio. In effetti, progetti per realizzare l’ospedale senza
dolore sono stati elaborati (il che non significa “attuati”) in
vari Paesi Europei e d’America. Un progetto su scala nazionale è stato
messo a punto al riguardo in Francia, dove il Ministère de la Santé
ha diramato direttive a tutti gli ospedali perché vengano attuate precise
misure per combattere il dolore (si veda al sito: www.santé.gouv.fr/douleur/2-lutte/34_980307.htm).
In Italia “recentemente” il Ministero della Sanità ha “riunito una
commissione” con il “compito di studiare” le modalità per “andare
verso” l’Ospedale senza dolore che “si auspica” possa
“preludere” al “lancio di un simile progetto” anche nel nostro
Paese. Sottolineo i termini da me posti tra virgolette: di solito nel
nostro Paese l’uso di una simile terminologia implica tempi di
attuazione ben superiori a quelli ritenuti medi per la vita umana.
[Continua]
Ieri è morto un mio carissimo amico,
padre Densi Cleary, rosminiano. È morto nella lontana Durham, nel nord
dell’Inghilterra, dove la sua fede e il suo senso del dovere e dell’obbedienza
lo avevano portato da molti anni. Era un uomo buono, un grande filosofo
cattolico e un insegnante quale è difficile trovare. Qualunque sia la
vostra fede, o qualunque sia la vostra non fede, vi prego di ricordarlo un
attimo: vi assicuro, sarà un attimo che guadagnerete. Grazie. Gianni
Ceccarelli
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