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Sommario anno XI numero 8 - agosto 2002

 CINEMA

Jules et Jim di Francois Truffaut
(Roberto Esposti) - A quarant’anni di distanza dalla prima, riesce in questi giorni sugli schermi “Jules et Jim”, uno dei capolavori di Francois Truffaut.
Truffaut, regista francese, capofila del movimento della “Nouvelle vague”, gira “Jules et Jim” nel 1961 ispirandosi al romanzo d’esordio di Henri Pierre Rochè (Adelphi), curioso scrittore che, alla tenera di età di 74 anni, pubblica e centra il “menage à trois” più delicato del Novecento. Proviamo a descriverne la trama con lo stesso stile serrato del film:
Parigi, 1907: Jules, studente, austriaco, biondino, imbranato con le ragazze, stringe una profonda amicizia con Jim, anch’egli studente, francese, moro, alto e buon rubacuori. I due sono accomunati dai medesimi gusti letterari e artistici, si danno sempre del lei e passano le giornate divisi tra donne e muse.
Un giorno, in casa di un conoscente, viene loro mostrata la foto di una statua antica, che li colpisce per il suo sorriso, sorriso che riconoscono pochi giorni dopo nel volto di Catherine, ragazza di costumi aperti e comportamento frizzante.
Jules esce con Catherine, la sposa, ma scoppia la guerra e i due amici partono per fronti opposti. Si ritrovano, a conflitto finito, in uno chalet sulle Alpi, dove la coppia vive con la piccola Sabine, loro figlia.
Jim arriva da loro, trova un idillio, ma Jules gli confessa le infedeltà di Catherine; Jim ne chiede ragione alla donna e poi se ne innamora: da quel momento Catherine oscillerà come un capriccioso pendolo tra l’uno e l’altro. Un dramma fermerà questo pazzo moto, ponendo fine alla storia.
“Le religioni del cuore sono capaci di strane delicatezze” è uno dei pensieri più belli di Emile Zola, di “Therese Raquin”; una frase che acquista un significato tenero e delicato nel dolore dei protagonisti di questa storia.
Catherine, impersonata da una splendida Jeanne Moreau, è il fulcro del film: è la musa e il buffone, la moglie e la puttana; infedele, ostinata. Accanto a lei si alternano gli amici Jules (Oskar Werner) e Jim (Henri Serre), uniti e divisi in Catherine e in un’amicizia che non li pone mai in reale competizione, perché la meravigliosa “femme fatale” segue solo i capricci del suo cuore (ma poi ce l’avrà un cuore?).
Francois Truffaut parlando del film lo descriveva come un sogno, quello che abbiamo tutti di trovare l’amore eterno e non trovandolo mai ne soffriamo (e qualche volta ne moriamo, persino): il film realizza appieno la riflessione ed è una delle grandezze di un’opera che insegna come poche alla parte razionale del nostro cuore come si possa vivere un sentimento.  L’occasione per rivedere la pellicola sul grande schermo è data dal suo restauro, operazione peraltro non molto riuscita, come si nota negli accoppiamenti scena-colonna e nell’aspetto della scena stessa.
Comunque il montaggio di questo film resta una lezione per chi voglia far cinema; la fotografia in bianco e nero sempre bella, sia nelle riprese sui protagonisti che in quelle “en plein air”; ironica e trascinante la musica, soprattutto nella “Tourbillon de la vie” di Bassiak cantata dalla stessa Jeanne Moreau.
Un’occasione davvero unica per rivedere un monumento del cinema, un archetipo culturale, una poetica lezione di vita.

 CINEMA

Sommario anno XI numero 8 - agosto 2002