Jules
et Jim di Francois Truffaut
(Roberto
Esposti) - A quarant’anni di distanza dalla prima, riesce in
questi giorni sugli schermi “Jules et Jim”, uno dei capolavori di
Francois Truffaut.
Truffaut, regista francese, capofila del movimento della “Nouvelle
vague”, gira “Jules et Jim” nel 1961 ispirandosi al romanzo
d’esordio di Henri Pierre Rochè (Adelphi), curioso scrittore che, alla
tenera di età di 74 anni, pubblica e centra il “menage à trois” più
delicato del Novecento. Proviamo a descriverne la trama con lo stesso
stile serrato del film:
Parigi, 1907: Jules, studente, austriaco, biondino, imbranato con le
ragazze, stringe una profonda amicizia con Jim, anch’egli studente,
francese, moro, alto e buon rubacuori. I due sono accomunati dai medesimi
gusti letterari e artistici, si danno sempre del lei e passano le giornate
divisi tra donne e muse.
Un giorno, in casa di un conoscente, viene loro mostrata la foto di una
statua antica, che li colpisce per il suo sorriso, sorriso che riconoscono
pochi giorni dopo nel volto di Catherine, ragazza di costumi aperti e
comportamento frizzante.
Jules esce con Catherine, la sposa, ma scoppia la guerra e i due amici
partono per fronti opposti. Si ritrovano, a conflitto finito, in uno
chalet sulle Alpi, dove la coppia vive con la piccola Sabine, loro figlia.
Jim arriva da loro, trova un idillio, ma Jules gli confessa le infedeltà
di Catherine; Jim ne chiede ragione alla donna e poi se ne innamora: da
quel momento Catherine oscillerà come un capriccioso pendolo tra l’uno
e l’altro. Un dramma fermerà questo pazzo moto, ponendo fine alla
storia.
“Le religioni del cuore sono capaci di strane delicatezze” è uno dei
pensieri più belli di Emile Zola, di “Therese Raquin”; una frase che
acquista un significato tenero e delicato nel dolore dei protagonisti di
questa storia.
Catherine, impersonata da una splendida Jeanne Moreau, è il fulcro del
film: è la musa e il buffone, la moglie e la puttana; infedele, ostinata.
Accanto a lei si alternano gli amici Jules (Oskar Werner) e Jim (Henri
Serre), uniti e divisi in Catherine e in un’amicizia che non li pone mai
in reale competizione, perché la meravigliosa “femme fatale” segue
solo i capricci del suo cuore (ma poi ce l’avrà un cuore?).
Francois Truffaut parlando del film lo descriveva come un sogno, quello
che abbiamo tutti di trovare l’amore eterno e non trovandolo mai ne
soffriamo (e qualche volta ne moriamo, persino): il film realizza appieno
la riflessione ed è una delle grandezze di un’opera che insegna come
poche alla parte razionale del nostro cuore come si possa vivere un
sentimento. L’occasione per
rivedere la pellicola sul grande schermo è data dal suo restauro,
operazione peraltro non molto riuscita, come si nota negli accoppiamenti
scena-colonna e nell’aspetto della scena stessa.
Comunque il montaggio di questo film resta una lezione per chi voglia far
cinema; la fotografia in bianco e nero sempre bella, sia nelle riprese sui
protagonisti che in quelle “en plein air”; ironica e trascinante la
musica, soprattutto nella “Tourbillon de la vie” di Bassiak cantata
dalla stessa Jeanne Moreau.
Un’occasione davvero unica per rivedere un monumento del cinema, un
archetipo culturale, una poetica lezione di vita.
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