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Sommario anno XI numero 5 - maggio 2002

 SCIENZA E DIVULGAZIONE
Humanae litterae, humanae scientiae

(Luca Nicotra) - Come tale, la cultura non può identificarsi né con la scienza né con l’esercizio delle facoltà verbali vantato dalle discipline sermocinali. Non esiste né una cultura letteraria, né una cultura scientifica, bensì "la cultura", che di per sé è generale, anche se non necessariamente generica, potendo raggiungere diversi livelli di approfondimento, se è vero che la cultura è la necessità inderogabile, propria di ogni uomo, di crearsi un’immagine intellettuale del mondo circostante nei suoi più variegati aspetti (fisici, sociali, economici, giuridici, politici, religiosi, eccetera), nonché un repertorio di idee che gli consentano di capire il mondo (nel senso del termine latino capere = prendere, afferrare) e regolare la propria condotta in esso. In tal senso, la cultura è "rappresentazione" del mondo in cui viviamo, in altri termini sostituzione del reale con modelli mentali. E non può essere altrimenti, poiché tutto ciò che ci circonda è mediato alla nostra mente attraverso modelli di vario tipo, ovvero "oggetti mentali" che necessariamente dobbiamo sostituire agli "oggetti reali", per essere elaborati dal nostro cervello. Né tantomeno è accettabile, a rigore, sentire parlare di cultura matematica, cultura fisica, cultura medica, cultura letteraria, cultura filosofica, anche se nell’uso quotidiano tutti noi lo facciamo. Sarebbe più corretto parlare di "erudizione" nelle scienze matematiche, fisiche, in letteratura, in filosofia, e così via, intendendo indicare con tale dizione una circoscritta, anche se approfondita, collezione di conoscenze, una parte delle quali soltanto può essere estratta come cultura e quindi come contributo alla "formazione dell’immagine del mondo".
L’avvento delle nuove tecnologie informatiche, sollevando l’uomo dalle fatiche più routinarie e manuali, ripropone oggi, in nuova chiave, l’idea di un secondo Rinascimento, centrato questa volta non più sul culto dei classici antichi, bensì sul nuovo culto delle scienze matematiche (non si sottovaluti il rischio, tuttavia, di riproporre nel futuro, quasi per nemesi storica, una situazione duale di quella passata).
Alla luce delle precedenti riflessioni, suscita qualche perplessità, massimamente in chi non abbia esclusiva dimestichezza con il mondo letterario, sentire usare ancora il termine Umanesimo riferendolo, senza alcuna esitazione, alle sole "humanae litterae" e caricandolo di significati che ben oltrepassano la sua origine storica e pertanto oggi inaccettabili.
Dice Francesco Guarini: "Il sapere e la virtù sono propri dell’uomo e perciò gli antichi li dissero humanitas". E "studia humanitatis" o "studia humaniora", cioè quelli più degni dell’uomo, furono chiamati gli studi delle "humanae litterae", ovvero delle lingue per eccellenza, il greco e il latino, "quae exhornant et perficiunt hominem" (Coluccio Salutati), vale a dire che arricchiscono e perfezionano l’uomo.
A tal punto è naturale domandarsi perché "il sapere e la virtù" fossero riferiti soltanto alle "humanae litterae". Forse che siano sufficienti queste per raggiungere l’uno e l’altra? E la scienza non è sapere, e non rende l’uomo "virtuoso" nel senso del Guarini, cioè fiducioso nelle proprie forze e non obliterato in Dio, come l’uomo medioevale?
Certamente l’uso del termine Umanesimo, in quel senso restrittivo, ha una sua origine storica e soltanto in tale origine la sua giustificazione. La riscoperta, in parte sotto l’aspetto quantitativo, ma soprattutto sotto quello qualitativo (nascita della filologia come critica testuale), degli autori classici, greci e latini, durante tutto il secolo XV, non fu accompagnata che in minima parte dalla riscoperta della scienza antica. Questa, peraltro, si era arenata, per quanto riguarda le scienze fisiche, alle paludose posizioni aristoteliche, che, com’è noto, non incoraggiavano ulteriori ricerche, e, per quanto riguarda le scienze matematiche, alle grandi conquiste della Scuola Alessandrina di Euclide, Archimede, Apollonio e Diofanto, che tuttavia erano poco e mal conosciute. Si pensi, per esempio, alle false interpretazioni di Leonardo a proposito della quadratura del cerchio data da Archimede: Leonardo non afferra la distinzione tra l’espressione teorica esatta dell’area del cerchio e il calcolo approssimativo di essa, dato dal sommo Siracusano. La riscoperta del ricco materiale scritto dei prosatori, dei poeti e dei filosofi antichi, greci e latini, certamente non poteva non polarizzare, assieme a un vago sentimento nostalgico della passata grandezza, l’attenzione degli spiriti migliori dell’epoca. Da qui il formarsi tenace del "pregiudizio classico o come meglio potrebbe dirsi l’archeofilismo, per cui nulla ci par buono se non è vecchio" (C. Lombroso op. cit.). È naturale, quindi, che la rivalutazione della "dignità umana" (humanitas) avvenisse attraverso la lettura e lo studio meticoloso, fin quasi maniacale, della produzione letteraria greco-latina. L’etichetta "humanae litterae", a questa assegnata, testimonia il sentimento di orgogliosa rivalutazione delle proprie capacità terrene, che l’uomo dell’epoca pensava di potere riconquistare attraverso lo studio dei classici, dopo la lunga parentesi ascetica medioevale.
Se l’uomo del Quattrocento era ampiamente giustificato nella sua concezione dell’Umanesimo, appare quanto meno anacronistico e fazioso riferire oggi a tale termine il medesimo significato di allora. Eppure, ancor oggi, nessuno o quasi sfugge all’uso di espressioni ricorrenti quali "discipline umanistiche" o "educazione umanistica", attribuendo loro il significato di studi liberali, colti e raffinati che gli si dava un tempo. In tale accezione, quei termini sono usati per indicare la funzione formativa che nobilita quelle discipline, in contrapposizione alle discipline tecnico-scientifiche, alle quali è attribuito un ruolo secondario di istruzione settoriale, di tipo professionale e tecnico, tanto che molti assegnano alle prime il carattere privilegiato di cultura, concedendo alle seconde un ruolo più semplice e limitato di formazione tecnico-scientifica, indirizzata unicamente al conseguimento di capacità esecutive specifiche (si vedano in proposito le obiezioni precedentemente sollevate).
Ma la riesumazione critica della scienza antica e gli enormi progressi della scienza moderna, da Galileo ai nostri giorni, pongono a disposizione dell’uomo contemporaneo un materiale ancora più vasto di quello letterario ereditato dall’antichità classica, attraverso il quale è ben manifesta la presenza dell’uomo con il suo sapere e la sua virtù. "Qualunque sia il criterio adottato, si giunge sempre alla conclusione che nel nostro periodo storico l’entità delle attività di ricerca scientifica aumenta di un fattore due solo ogni 40 anni. Un’altra osservazione che ha il pregio di mettere in evidenza non solo la rapidità di sviluppo, ma anche l’entità raggiunta al giorno d’oggi dalle attività di ricerca, è che il numero di giornali e riviste scientifiche che vengono stampati nel mondo era nel 1800 dell’ordine del centinaio, nel 1850 aveva superato il migliaio, nel 1900 si aggirava intorno a 10000 e nel 1960 si è giunti a circa 100000" (Edoardo Amaldi - Conferenza tenuta in occasione dell’adunanza solenne dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Roma, 1963).
Si dice spesso, a ragione o a torto a seconda di ciò che s’intende dire, che la scienza è anonima. Se con ciò si vuole affermare che la scienza non è l’espressione del modo di vedere soggettivo di questo o quello scienziato, essa è senz’altro anonima e tale dev’essere, a differenza della letteratura, che è espressione di singole individualità ed è generalmente intimamente legata alle singole culture nazionali. Al contrario, non esiste una scienza del tal scienziato o del tal altro, così come non esiste una scienza italiana o tedesca o inglese o americana. E se talvolta si sente parlare di scienza galileo-newtoniana, s’intende semplicemente indicare la scienza moderna, nata dall’opera di Galileo e Newton, in contrapposizione all’antica scienza aristotelica. Analogamente, talora le espressioni "scienza italiana" e similari sono certamente usate, ma semplicemente con riferimento ai particolari indirizzi di ricerca e quindi ai contributi dei rispettivi paesi, inseriti pur sempre nell’unico edificio della scienza, comune a tutti i popoli. In tal senso la scienza, a differenza di molta parte della letteratura, è un formidabile e granitico elemento di coesione e collaborazione fra i popoli della terra, ed è l’espressione culturale che per eccellenza sviluppa nei suoi adepti una mentalità aperta e planetaria. Se, invece, per anonimato della scienza s’intende la mancanza di paternità, l’affermazione è evidentemente falsa. Nessuna cosa, a memoria d’uomo, nasce dal nulla. Un trattato di fisica o di chimica o di medicina o di qualunque altra branca della scienza racchiude le conoscenze accumulate in secoli di ricerche, le quali hanno avuto ed hanno ciascuna un padre, al pari di un romanzo, di una poesia, di un lavoro teatrale, di un’opera filosofica. E se usualmente non vengono ricordate che le paternità più illustri, ciò è soltanto per dovere di chiarezza e semplicità. Se in un trattato si dovessero ricordare i nomi di tutti i ricercatori alle cui ricerche sono dovuti i risultati o le teorie ivi contenute, si dovrebbe continuamente interrompere la trattazione, per inserire enormi note storiche. Certamente, da questo punto di vista, il lavoro dello scienziato è molto meno gratificante di quello del letterato, che vede apposto sempre il proprio nome accanto all’opera sua, per modesta che sia.
Se si pensa a quanti anni di fatica intellettuale e anche fisica (basti pensare alle ricerche sperimentali) rendono possibile un solo risultato scientifico serio, anche se modesto, si può comprendere allora che dietro il conciso resoconto che dello stato delle conoscenze dà un qualsiasi trattato, c’è la presenza di un gravoso lavoro umano. Non esiste, dunque una scienza che non sia una scienza degli uomini, vale a dire costruita dagli uomini.
Dove, allora, oggi, più che nel faticoso contributo al progresso dell’umana conoscenza può avere l’uomo una misura della sua "humanitas", delle sue forze e nello stesso tempo un accostamento sempre più intimo a Dio, la cui opera egli si sforza con ogni mezzo di conoscere sempre più profondamente? E allora, se l’uomo rinascimentale poteva giustamente parlare di "humanae litterae", l’uomo contemporaneo, con altrettanto e forse maggior orgoglio, può parlare di "humanae scientiae".

 SCIENZA E DIVULGAZIONE

Sommario anno XI numero 5 - maggio 2002