Notizie in... Controluce Notizie in... Controluce
 Versione digitale del mensile di cultura e attualità dei Castelli Romani e Prenestini

sei il visitatore n.

 

home | indice giornali | estratti | info | agenda | cont@tti | cerca nel sito | pubblicità

 


Sommario anno XI numero 4 - aprile 2002

 Enrico Fermi e La Pila Atomica - pag. 23

7 - Il mistero della fissione e Chicago Pile-1


Siamo arrivati alla settima parte di questa rubrica curata da Nicola Pacilio e dedicata ad Enrico Fermi e la Pila Atomica. La rubrica impegnerà l’autore e Controluce, a partire da ottobre 2001, in coincidenza con il centenario della nascita (29 settembre 2001), via via per un intero anno fino al 2 dicembre 2002 quando sarà commemorato il 60mo anniversario del primo esperimento, con la pila atomica, della produzione di energia nucleare.
Nicola Pacilio si occupa di Storia e Filosofia della Scienza ed è libero docente in fisica del reattore nucleare in Italia (Roma) e negli Stati Uniti (Università di California - Berkeley).


Lawrence, Fermi e RabiRagazzi, è fatta!  Vedemmo questa enorme pila di grafite e uranio: era alta circa 30 piedi (poco meno di 10 metri). Avevano già provato alcuni esperimenti preliminari: erano ormai pronti per quello finale. Ricordo distintamente le istruzioni di Enrico Fermi a Walter Zinn, volte a far estrarre le barre di controllo di un altro piede. Sulla base degli esperimenti precedenti, i più consapevoli sapevano che questo sarebbe stato il giorno della verità. Andando incontro alla prima reazione a catena della storia della umanità, questo era il giorno, l’ora e forse il minuto. Si potevano sentire i rivelatori di radioattività emettere un ticchettio come coppe di champagne ravvicinate in un grande vassoio. Tintinnavano sempre più intensamente fino a diventarie una vera e propria soneria. A quel punto sono stati disattivati i rivelatori e attivati i galvanometri: la macchia di luce di questi ultimi ha cominciato a salire, con rabbiose impennate, fino a raggiungere la metà della scala. A quel punto, Fermi ha detto con voce ferma:”Inserire la barra di controllo.” Immediatamente dopo l’inserimento, lo spot  di luce del galvanometro è tornato a livello zero. La reazione a catena e il rilascio dell’energia nucleare erano stati innescati, controllati e spenti. Fischi, grida, applausi.

La fissione del nucleo di uranio. Si era di fatto creata una vera e propria caccia per la identificazione del nuovo elemento, agone quasi sportivo in cui al posto della medaglia d’oro olimpica sarebbe arrivato il Premio Nobel.  Le teste di serie della disputa scientifca erano due donne, Lise Meitner e Irène Joliot-Curie (figlia della famosa Madame Curie), per anni rivali acerrime. La Meitner aveva lavorato in un sodalizio durato 30 anni con il chimico Otto Hahn, presso l’Emil Fischer Institute di Berlino. La collaborazione  durò fino al 1938 quando Lise Meitner, che era israelita, fu costretta a lasciare Berlino e fuggire in Olanda: per non tornare mai più in Germania. Tuttavia Hahn continuò i suoi raffinati esperimenti di separazione chimica dei materiali radioattivi che risultavano dal bombardamento neutronico: in collaborazione con un nuovo collega F. Strassman. Nella lunga (per molte ragioni) estate del 1938 un fisico del talento di Ernest Lawrence, l’inventore del ciclotrone, annunciava che era del tutto non realistico aspettare energia utilizzabile dal nucleo dell’atomo così come poteva esserlo il raffreddamento delle acque marine e la conseguente estrazione di calore per usi pratici. Einstein, Planck, Bohr - le teste di serie della lista mondiale dei fisici - credevano fermamente che la fissione fosse impossibile in circostanze comuni. Eppure alla fine di quell’anno Hahn e Strassman trovarono che, mescolate con l’uranio irradiato con neutroni, si distinguevano chiaramente minute quantità di bario: un elemento che pesa poco più della metà dell’uranio. Era la prova che il nucleo di uranio poteva frammentarsi in due parti, invece di formare un elemento più pesante dell’uranio stesso.  Poco prima del Natale 1938, Hahn e Strassman prepararono un articolo, pubblicato dalla rivista Naturwissenschaften  del gennaio 1939: erano talmente riluttanti nell’opporsi alle dottrine prevalenti di grandi della fisica che, malgrado l’incontrovertibile evidenza, si rifiutavano di trarre conclusione dalla loro scoperta. Ecco che cosa scrivono: Come chimici garantiamo la presenza del bario. Come chimici nucleari, e quindi associati da vicino ai problemi della fisica, non siamo in grado di decidere se intraprendere o meno questo passo in contraddizione con tutti gli esperimenti precedenti della fisica nucleare.  

Un termine preso a prestito dalla biologia. Hahn scrisse immediatamente a Lise Meitner descrivendo accuratamente i risultati di laboratorio. Le implicazioni di questi esperimenti erano di immediata trasparenza per la Meitner, che stava trascorrendo le vacanze natalizie a Kungelv nei Paesi Bassi, insieme al giovane nipote O.R. Frisch. Frisch era un giovane fisico fuggito dalla Germania per andare a lavorare con il grande Niels Bohr, presso l’Istituto di Fisica di Copenhagen. Discutendo avidamente il rapporto tecnico inviato da Hahn, durante lunghe passeggiate sulla neve, zia e nipote formularono il modello teorico della frammentazione del nucleo di uranio. E scrissero una lettera alla rivista inglese Nature  che venne pubblicata pochi giorni dopo l’articolo di Hahn e Strassman. In questa lettera si faceva per la prima volta menzione del vocabolo fissione  preso a prestito dalla biologia dove descrive il processo attraverso il quale le cellule si dividono. Si fa anche menzione (udite, udite!) che al processo di fissione si aggiunge la contemporanea liberazione di una ingente quantità di energia. Da quel momento, gli eventi precipitarono. Frisch tornò in grande fretta a Copenhagen per riferire le nuove scoperte a Niels Bohr, che partiva il giorno stesso per gli Stati Uniti. Alle parole di Frisch, Bohr si era schiaffeggiata la fronte urlando: ”Perché, perché abbiamo trascurato per tanto tempo questa ipotesi!” La discussione tra i due fu talmente accesa tra i due da rischiare di far perdere a Bohr la nave in rotta verso New York. Sulla banchina del porto della città americano, un illustre personaggio aspettava l’arrivo del fisico danese: il suo nome era Albert Einstein, altro rifugiato del nazi-fascismo, ormai ricercatore presso l’ Istituto di Studi Avanzati di Princeton.

Senza mai dare le spalle a Re Gustavo V di Svezia. Finalmente venne la telefonata da Stoccolma. Il segretario della Accademia Svedese delle Scienze annunciò a Enrico che gli era stato conferito il Premio Nobel per la fisica e ne lesse la motivazione. Al Professor Enrico Fermi di Roma, per la sua identificazione dei nuovi elementi radioattivi prodotti con il bombardamento  tramite neutroni,  e la scoperta, fatta in relazione a questo lavoro, delle reazioni nucleari indotte dai neutroni. Quattro anni e mezzo di ricerca paziente; i tubetti di berillio e di emanazione (questo è la denominazione attribuita all’epoca al radio, NdR ), quelli che si erano rotti e quelli rimasti interi; le strenue gare di corsa lungo il corridoio dell’Istituto Fisico per portare d’urgenza un elemento dopo l’altro ai contatori; i tentativi di trovare la spiegazione teorica dei processi nucleari e i numerosi tentativi per verificare la correttezza delle teorie; la fontana dei pesci rossi e i blocchi di paraffina; tutto aveva contribuito a far ottenere a Enrico un premio altamente apprezzato. Il premio non era stato nemmeno diviso tra Enrico e un altro fisico, come avevamo creduto probabile.
Quando venne il turno di Enrico, Sua Maestà Gustavo V di Svezia gli strinse la mano e gli consegnò un astuccio con la medaglia, un diploma e una busta. Con i tre oggetti in mano, Enrico ritornò sui suoi passi con sicurezza apparente, camminando all’indietro come un gambero, poiché è di prammatica non voltare mai le spalle a un re. Di questa impresa fu assai più orgoglioso che del Premio Nobel e seguitò a vantarsene per molti anni.
(Laura FERMI, Atomi in famiglia. La mia vita con Enrico Fermi.  Mondadori 1954)

La liberazione di una quantità enorme di energia. Lunedì, 16 gennaio 1939, Bohr sbarca a New York. Visitando l’istituto, a Princeton, ha l’occasione di parlare dell’esperimento Hahn-Strassman, con John A. Wheeler, un giovane fisico di 27 anni. Wheeler organizza subito un meeting a Princeton per il mercoledì successivo, 18 gennaio: speaker  principale Niels Bohr, argomento la fissione nucleare. Purtroppo, Enrico Fermi, che ha teorizzato progettato e realizzato le prime indagini sull’argomento, non può essere presente. Sbarcato a New York appena tre settimane prima di Bohr, ha riavviato i suoi studi alla Columbia University di New York, dopo aver ricevuto il Premio Nobel a Stoccolma: Fermi ha deciso di non ritornare nell’Italia fascista e ha condotta la famiglia nella città americana. È un giovane collega di 25 anni, chiamato Willis Lamb, a portargli notizie delle clamorose rivelazioni di Bohr a Princeton: la ricercatissima soluzione del romanzo giallo, durato ben 5 anni, della corretta interpretazione degli esperimenti a via Panisperna. Fermi progetta immediatamente un esperimento per confermare i nuovi risultati, ma non ha neppure il tempo di attenderne l’esito. Ha infatti un appuntamento con Bohr a Washington per giovedì 26 gennaio, nel corso di una conferenza sulla fisica teorica. Fermi non ha apparentemente alcun dubbio che abbia avuto luogo un evento di fissione. 

Fischi, grida, applausi e qualche cruccio. ll sorriso di Fermi esprimeva soddisfazione estrema. ‘Ragazzi - disse - questo è quanto!’ Eugene Wigner estrasse da qualche segreto ripostiglio una bottiglia di Chianti. Fu svuotava celermente e firmata da tutti i presenti. Un po’ in disparte, io osservavo le espressioni del viso di tutti i personaggi. Fermi era posato e rilassato, Szilard era invece cupo e preoccupato: mi aveva più volte detto, dalle ripercussioni internazionali dell’esperimento e della bomba.

Le rosee prospettive del futuro presidente della DuPont. Ma, più di ogni altro, ho ancora impresso il viso di Crawford Greenewalt. Aveva l’espressione di chi ha visto per la prima volta l’arcobaleno. Aveva assistito a un miracolo, niente di meno di un miracolo, la porta dorata di una nuova era.


Sommario anno XI numero 4 - aprile 2002