Sommario anno XI numero 4 - aprile 2002
L'EVOLUZIONE
DELL'UOMO -
pag. 16
Ipotesi
di biologia evolutiva umana: il bipedismo ovvero il modo di camminare con
due sole gambe
Con
grande probabilità fu l’amore materno a innescare in un gruppo di
Ominidi la spinta evolutiva verso il genere Homo
(Pietro
Frangini) -
I Primati popolarono l’Africa da almeno 40-50 milioni di anni. Essi
resistettero, nella lotta per l’esistenza, contro animali più potenti e
feroci di loro come i mammiferi carnivori perché si adattarono a vivere
in un habitat particolare dove incontrarono poca concorrenza; l’habitat
era costituito dagli alberi della foresta e il loro stile di vita fu
quello arboricolo.
Nell’ambiente aereo della foresta si adattarono perfettamente
sviluppando gli arti prensili per aggrapparsi ai rami (che sarebbero poi
diventati mani) e, insieme, un notevole senso sociale conseguente alla
vita stanziale di gruppo.
Dai Primati, circa 15-20 milioni di anni fa, si staccò una linea
evolutiva che orìginò gli Ominidi là famiglia tassonomica alla quale
apparteniamo.
Anche gli Ominidi trassero dall’habitat arboreo tutto il necessario per
vivere: il cibo (foglie, germogli, bacche, insetti, uova, piccoli roditori
etc.) e l’acqua che trovavano nei germogli e nelle foglie di rigogliose
piante tendenzialmente igrofile ricche di soluzioni acquose e per tale
motivo non erano obbligati all’abbeveraggio giornaliero a fiumi e
sorgenti e questo rafforzò la loro sicurezza. Ma, secondo il parere dei
paleontologi, 5-6 milioni di anni addietro il clima cambiò in vaste zone
dell’Africa centro-orientale e meridionale; il clima si fece più arido
e portò alla rarefazione della foresta trasformandola in una savana
contenente al suo interno gruppi di alberi isolati e arbusti. Pure la
vegetazione arborea superstite cambiò; le piante tendenzialmente igrofile
della precedente foresta lasciarono il posto a specie arboree xerofile
adatte a climi più aridi e ricche perciò di cellulosa ma povere di
acqua.
Il cambiamento del clima e della vegetazione, avvenuto nel giro di poche
migliaia di anni, costrinse i nostri Ominidi a cambiare lo stile di vita
che da arboricolo assoluto diventò misto ed essi furono perciò obbligati
a traversare spesso la savana per passare da una macchia vegetativa ad
un’altra onde trovare gli alberi desiderati e per recarsi ogni giorno
all’abbeveraggio passando progressivamente a forme di nomadismo.
Nella savana però si nascondevano gli animali predatori che attaccavano
sopratutto gli individui più deboli come i piccoli specialmente se
isolati e questo accentuò sicuramente l’istinto sociale della comunità
che imparò a vivere ed a spostarsi in gruppi plurifamigliari organizzati
e comandati da un capo tribù che manteneva la guardia e lanciava
l’ordine di marcia o di fuga. Quando arrivavano gli ordini di
spostamento o di fuga, assai frequenti, bisognava ubbidire all’istante
perché era in gioco la vita stessa dei ritardatari. Nella comunità
ominide, tuttavia, vi erano membri che non potevano muoversi con facilità
come i malati e i piccoli in tenera età.
È da pensare che quando si verificava una situazione di pericolo i membri
malati venivano abbandonati al loro destino e questo era ininfluente ai
fini evolutivi della popolazione ma per quanto riguardava i piccoli la
situazione era completamente diversa; ovviamente la loro sopravvivenza era
fondamentale e dipendeva dal comportamento materno. Le femmine madri
potevano infatti scegliere tra due opzioni:
1) Abbandonare i figli e fuggire ma questo avrebbe portato rapidamente
all’estinzione della tribù e della relativa linea evolutiva.
2) Portare appresso i piccoli afferrandoli con gli arti anteriori e
tenendoli in braccio come già facevano durante l’allattamento al seno e
questo era il comportamento vincente e indispensabile per la sopravvivenza
della stirpe.
Ma spostarsi ogni volta per varie centinaia di metri e forse di più con i
figli in braccio significava camminare a tre o a due zampe; la presenza di
pietre sul terreno, di rovi, di arbusti e di erbe della savana (che in
certi periodi stagionali formavano una massa intricata alta quasi un
metro) impedivano la locomozione a tre zampe con i figli abbracciati
ventralmente e tale posizione avrebbe oltre tutto fatto perdere facilmente
l’orientamento verso il resto del gruppo; non restava, perciò, che
l’andatura eretta per la quale le madri erano biologicamente impreparate
anche se già sapevano restare in piedi per qualche istante e compiere
alcuni passi in quella posizione. Camminare o correre in posizione eretta
con i figli in braccio era perciò motivo di grande fatica e sofferenza
fisica che le madri potevano sopportare e vincere solo con grosso sforzo
di volontà. Le nostre antenate seppero, evidentemente, compiere questo
sforzo di volontà al fine di salvare la vita dei figli e si può perciò
ritenere che sia stato l’istinto materno a spingere gradualmente la
comunità verso la mutazione, culturale (o comportamentale) del bipedismo
che secondo gli antropologi segnò l’inizio dell’evoluzione verso gli
Ominidi dai quali sarebbe emerso successivamente il genere Homo.
Oltre che abbracciare i neonati durante la fuga le femmine madri dovevano
trascinare appresso i figli già grandicelli afferrandoli con la mano
nella mano e così anche i figli meno piccoli si abituarono
necessariamente all’andatura bipede.
Anche i maschi adulti, a loro volta, avevano necessità di usare il
bipedismo al fine di scrutare il terreno circostante restando sopra alle
erbe della savana, valutare la posizione degli animali predatori e dei
membri del proprio gruppo e infine per avere le mani libere onde scagliare
sassi e brandire bastoni. La spinta verso il bipedismo venne perciò da
tutti i membri della comunità primitiva ma, secondo la nostra opinione,
il contributo determinante scaturì dalle femmine madri e fu dovuto a
motivazioni riconducibili all’amore materno.
Il carattere del bipedismo (che già esisteva, allo stato incipiente, in
tutti gli Ominidi) si rafforzò decisamente attraverso una.progressiva e
severa selezione massale che premiò gli individui fenotipicamente meglio
predisposti e diventò, in tempi abbastanza lunghi, sempre più
perfezionato dando luogo ad una mutazione genetica completa attraverso
l’acquisizione di tante piccole mutazioni geniche utili.
Così, a nostro avviso, gli antenati dell’uomo adottarono
definitivamente il modo di camminare con due sole gambe liberando le mani
per fabbricare e impugnare utensili; ma la maggior parte degli Ominidi
restò quadrupede e continuò la linea evolutiva delle scimmie
antropomorfe.
A chi desideri approfondire
l’argomento si consiglia la lettura del testo “Uomini per caso” dei
proff. Olga Rickards e Gianfranco Biondi - Editori Riuniti 2002
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