Sommario anno XI numero 1 - gennaio 2002
CINEMA
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Il Pap'occhio vent'anni
dopo
(Luca
Ceccarelli). Recentemente
Tele+ ha ritrasmesso Il Pap’occhio. Questo film del 1980 diretto da
Renzo Arbore, dopo pochi giorni venne ritirato dalla proiezione con
l’accusa di “vilipendio alla religione di stato”, e successivamente
riproiettato con diversi tagli. Solo nel 1998 uscì nuovamente in VHS in
edizione integrale.
La storia, pressappoco, è la seguente: Giovanni Paolo II, preoccupato del
fatto che la chiesa cattolica perde di seguito, specialmente tra i
giovani, decide di fondare una televisione
cattolica: “TeleVaticano”, e decide di affidare lo spettacolo
inaugurale a Renzo Arbore. Quest’ultimo accetta, e coinvolge il cast de
L’Altra Domenica (Mario Marenco, Isabella Rossellini, Andy Luotto, le
Sorelle Bandiera e molti altri). Ma la sua impresa incontrerà la fiera
opposizione da una parte dei cardinali della curia romana, che boicottano
la trasmissione invitando i parroci ad inviare ai provini gli elementi più
mediocri, dall’altra dell’amico Roberto Benigni, che dall’alto della
sua fede comunista vede di malocchio la collaborazione di Arbore con il
Vaticano. Mentre le prove dello spettacolo procedono nella generale
confusione, e si susseguono le audizioni di improbabili artisti, Benigni
si accorda con un alto prelato per sabotare la trasmissione. Ma il
sabotaggio non riesce, e si arriva al giorno dell’inaugurazione, alla
presenza del Papa stesso e del presidente della repubblica Pertini. Il
finale è a sorpresa: un uragano spazza via tutti, lasciando spazio ad un
Deus ex machina tutto vestito di bianco che calza una fulva parrucca
bianca e scende, appunto, da una macchina, e porta tutti in Paradiso,
buoni e meno buoni.
Arbore
e Luciano De Crescenzo, che avevano firmato la sceneggiatura, raggiunsero
forse in questo film il punto massimo della loro parabola artistica. In
particolare, il personaggio di Papa Wojtila interpretato nel film da
Manfred Freyberger è magistrale, anche per l’estrema somiglianza tra
l’attore e il pontefice, allora ancora giovane e atletico. Non meno
esilarante è la rappresentazione dei cardinali come dei fieri reazionari,
capeggiati da un tal Richelieu discendente del famoso statista francese
(vestito come un cardinale del Seicento e munito di barba a pizzo come il
suo antenato), che vedono il Papa come un bambinone da tenere sotto rigida
tutela, e lo costringono a prendere lezioni di italiano da un querulo
insegnante di cui l’allievo si beffa perfidamente.
Renzo Arbore nel film recita la caricatura di sé stesso: uno showman
gaudente, che vive nel lusso, si circonda di fanciulle avvenenti e
sciocche, fuma spinelli, ignorante (“guardate questi scaloni affrescati
in marmo!” dice ai suoi amici entrando nei palazzi Vaticani), porta il
parrucchino per nascondere la calvizie ed è fissato con Elvis Presley. Al
contrario, Roberto Benigni viene presentato come un popolano che fuma
nazionali senza filtro, ama la compagnia di ragazze rustiche e adora i
rockers italiani, specialmente Bobby Solo (memorabile il suo monologo sul
Giudizio Universale, in cui si incontreranno il faraone Tutankamen e il
terzino della Sampdoria). E poi ci sono le numerosissime gag, tra le quali
varrà la pena di ricordare almeno quella della Figlia di Jorio:
Mariangela Melato che interpreta una “provinanda” focosa e
scarmigliata che recita un brano del dramma di D’Annunzio, con Arbore
che crede che la signorina in questione sia la figlia di un non meglio
precisato signor Jorio.
Eppure, oggi TeleVaticano esiste, anzi, ne esiste più di una: la
scalcinata TelePace, e la tv satellitare SAT2000, con una programmazione
di tutto rispetto, e il carattere profetico delle intuizioni degli autori
del film è inficiato solo dal fatto che, come sempre avviene quando si
prefigura il futuro, lo si fa con schemi e immagini che già si conoscono.
Eppure, quando si vede Ruggero Orlando (decano dei corrispondenti RAI
dagli Stati Uniti, di simpatie socialiste) commentare la parabola del
Figliuol Prodigo con la stessa bonomia ironica con cui commentava
l’assassinio di Kennedy e lo sbarco sulla luna mette a mio avviso in
rilievo un problema reale (e drammatico) delle Chiesa postconciliare: la
sua ossessione di “esserci” sempre ed ovunque.
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