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Sommario anno X numero 10 - ottobre 2001

 ARTE - pag. 17

Il Quartiere Coppedè a Roma

di Luca Ceccarelli

L’esperimento artistico-architettonico più originale intrapreso a Roma nei primi decenni del secolo passato è senza dubbio quello che si scorge nelle case della zona tra la Salaria e la Nomentana che prende il nome di Quartiere Coppedè. Il curioso appellativo deriva dal suo stesso inventore, l’architetto e scultore fiorentino Gino Coppedè, che lo progettò e ne guidò per la più parte la realizzazione, dal 1913 e poi, con una lunga interruzione dovuta alla Prima Guerra Mondiale, fino alla morte, avvenuta nel 1926.
Figlio di un artigiano mobiliere, esperto di intaglio del legno, Coppedè padroneggiava nello stesso tempo gli stili decorativi più in voga in Europa, come il Liberty e l’Art Déco, e il repertorio italiano dei secoli passati (con una predilezione per il Medio Evo, il Manierismo e il Barocco). Ne risulta un paesaggio unico: villini circondati da una discreta vegetazione, edifici in cui l’antichità greca, con i suoi motivi mitologici, si uniscono al medioevo, un medioevo che si immagina da fiaba, con le fate e i cavalieri corazzati. In altri edifici si nota una dominanza del contemporaneo Liberty, fondato sulla stilizzazione di determinati elementi della natura, come gigli, rose, campanelle, rami che si intersecano, uno stile a Roma piuttosto insolito, sormontato com’è dal cosiddetto "umbertino" neorinascimentale. Ma non è tutto: la Palazzina del Ragno, ad esempio, con i suoi archi disposti asimmetricamente e il faccione scolpito, vuole riecheggiare la statuaria assiro-babilonese (a cui del resto occhieggiava anche l’arte barocca).
Ma nel repertorio di Gino Coppedè c’era dell’altro: egli era stato allievo della scuola di Alfredo D’Andrade, l’architetto e restauratore d’origine spagnola che costituiva, in Italia, l’esempio principe per la falsificazione dei monumenti antichi (suo è il Borgo Medievale di Torino). È a questo filone di genialità capricciosa ed eclettica che dobbiamo lo sviluppo, nel Quartiere Coppedè, di svariate suggestioni scultoree e decorative, sempre peraltro con un’attenzione prevalente alla natura e all’elemento passionale, e ad una mitologia spesso decisamente rude. Il tutto senza negare spazio al sacro della religiosità cattolica: un’edicola con una Madonna con il Bambino si trova su una delle torri che fiancheggiano l’enorme arco che delimita l’accesso al quartiere, in piazza Mincio (un’altra è in via Brenta, sul muro di una casa simil medievale). E nemmeno alle eventuali suggestioni cinematografiche, se è vero che il portone di piazza Mincio 2, risalente al 1926, e dunque, probabilmente, l’ultima costruzione di mano del maestro Coppedè, è copiata fedelmente da una scena del film Cabiria del 1914.
Dopo la sua costruzione il Quartiere Coppedè è finito in un oblio generale, screziato qua e là dalla curiosità di qualche visitatore più o meno erudito. Il fatto è che le costruzioni fantasiose che Gino Coppedè vi volle realizzare, all’interno risultarono ben presto piuttosto scomode e invecchiate. Inoltre, l’innalzarsi di nuovi palazzi all’intorno nei decenni successivi, la fiumana di traffico automobilistico e la selva di insegne al neon sempre più vivaci fanno sì che il quartiere abbia un aspetto antiquato e un po’ spento. Un’operazione architettonico-urbanistica interessante ma che non teneva conto dei successivi sviluppi della città e della società (e chi lo faceva, allora?) ma che certamente era assai interessante, nel suo sincretismo e nella sua apertura al mito senza apparati ideologici (come sarebbe stato, di lì a poco, per l’architettura del fascismo).


Sommario anno X numero 10 - ottobre 2001