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Sommario anno X numero 8 - agosto 2001

STORIA - pag. 21


Dal Baltico all’Egeo
di Gianni Dolfi

Una ricostruzione del Baltico con i nomi omericiL’eventualità che i racconti Omerici possano avere radici nel Baltico è sempre più alta
Ancora una volta l’attenta lettura e la giusta interpretazione di opere di antichi scrittori, motivate dalla grande passione con quella voglia di arrivare quanto più vicino possibile alla Verità, portano a risultati a dir poco clamorosi che faranno certamente discutere ma che comunque porteranno un grosso contributo alla conoscenza delle nostre origini. Secondo un recente studio (Omero nel Baltico di Felice Vinci - Fratelli Palombi Editori)  che ha portato significativi riscontri, la guerra di Troia potrebbe essere stata combattuta in un remoto passato sulle rive del Baltico. Sono venuto a sapere di questo straordinario lavoro intrapreso da Felice Vinci, nato a Roma 54 anni fa, ingegnere nucleare, dirigente industriale con un grande interesse per la mitologia greca, sfogliando una rivista nella sala d’attesa dell’Aeroporto di Fiumicino dove ero in procinto di imbarcarmi per l’Egitto con mia moglie per una vacanza-studio. L’interessante ricerca, prende spunto da una sorprendente affermazione di Plutarco nell’opera "De facie qua in orbe lunae apparet" dove l’isola di Ogigia, nella quale Ulisse viene trattenuto a lungo dalla dea Calipso, è situata "a cinque giorni di navigazione dalla Britannia". Senza mettere in discussione le conoscenze geografiche del momento, Vinci si mette al lavoro e dopo poco tempo i risultati sono a dir poco sorprendenti. L’eventualità che i racconti Omerici possano avere radici nel Baltico è sempre più alta. Certo è difficile accettare lo sconvolgimento del consueto panorama Omerico ma se la nuova ipotesi è supportata, come lo è, da dati inconfutabili, che senso ha rimanere abbarbicati su vecchie posizioni tenute in piedi più da teorie che da dati certi?
OmeroLa stessa figura Omerica appartiene alla leggenda. Sette città, Atene, Argo, Chio, Colofone, Rodi, Salamina e Smirne si contendono la natalità del poeta, la leggenda ce lo raffigura vecchio, cieco girovago e mendico, il nome poi potrebbe non appartenere all’etimologia greca. Si sa che visse tra il XII e il VI secolo a.C. e, secondo Erotodo, sarebbe vissuto 4 secoli prima di lui quindi nel IX secolo. Anche se considerato il primo poeta epico molte delle sue opere non corrispondono alla realtà come ad esempio la sua presunta gara poetica con Esiodo. Zenotodo cominciò nel III secolo a dubitare della paternirà di alcuni versi dell’Iliade e dell’Odissea. Ellanico e Xenone ipotizzarono che l’Odissea fosse stata scritta da un’altro autore 100 anni dopo l’Iliade. Aristarco di Samotracia invece, sosteneva che Omero avesse scritto i due poemi uno in giovinezza, l’altro in vecchiaia. Probabilmente Omero non è mai esistito, e i due poemi, Iliade e Odissea fanno parte di un tesoro di tradizioni e conoscenze tramandate da più poeti e cantori erranti e poi riunite nelle due opere che tutti noi conosciamo e che fanno parte dei più grandi capolavori dell’umanità. I riscontri geografici dei due poemi Omerici sono stati da sempre motivo di perplessità. La pur scrupolosa descrizione dei luoghi dove si sono svolte le vicende della saga Omerica, quasi sempre avvolti in una fitta nebbia, non trova riscontro nel Mediterraneo, dove per millenni la tradizione si è affannata per poterli identificare in modo convincente, ma si adatta invece in modo stupefacente nell’area Baltica e Scandinava. Prendiamo ad esempio la grande battaglia descritta con dovizia di particolari nei capitoli centrali dell’Iliade e la cui durata, due giorni e una notte di accaniti combattimenti, lascia un po’ perplessi. L’episodio può essere del tutto naturale se verificatosi in un contesto nordico nel periodo del solstizio estivo dove il chiarore notturno, tipico di quelle latitudini, consente a Patroclo di combattere senza sosta fino al giorno successivo. La stessa ubicazione di Itaca, indicata da Omero come la più occidentale delle isole dell’arcipelago di cui fanno parte Dulichio, l’isola "lunga" (dal greco "dolichòs"), Same e Zacinto, non può essere identificata con quella Itaca del Mar Ionio che si trova a nord di Zacinto, ad est di Cefalonia e a sud di Leucade. Una attenta osservazione dell’area Baltica meridionale ci consente di individuare un arcipelago danese che ben  si adatta a quanto riportato dalla tradizione. Le isole più importanti sono appunto tre: Langeland ("Isola lunga" come Dulichio "dolichòs"), Æerø (l’isola di Same) Tåsinge (Zacinto). L’ultima isola verso l’occidente, "là verso la notte", ora chiamata Lyø, collocata esattamente secondo le indicazioni Omeriche, è proprio l’isola di Itaca. Contrariamente a quella greca corrisponde alla descrizione non solo per la posizione ma anche per riscontri topografici e morfologici inoltre nel gruppo di isole è presente anche "l’isoletta nello stretto tra Itaca e Same" dove i pretendenti tesero l’agguato a Telemaco. Il Peloponneso poi, descritto come un’ampia pianura, non trova riscontro nell’area Egea. La Scheria (guarda caso nell’antica lingua nordica "skerja" significa "scoglio"), mitica terra dei Feaci dove approda Ulisse e dove avviene lo strano fenomeno del fiume che invertendo la corrente trascina il nostro eroe all’interno del territorio, non può riconoscersi nell’area mediterranea dove questo fenomeno provocato dalle maree è inesistente ma è invece presente nell’area nord atlantica dove favorisce l’ingresso delle navi nei porti situati all’interno dei fiumi. Altra situazione che non può verificarsi nel Mediterraneo ma è frequente nei mari del nord è l’incontro con le "rupi erranti" da identificarsi con gli iceberg che vanno pericolosamente alla deriva minacciando le navi in transito. A proposito di navi, secondo una caratteristica strutturale riportata da Tacito : "La foggia delle navi in ciò differisce dalle nostre, chè entrambe le estremità sono costituite da una prua, dunque sempre disponibile all’approdo....e, a seconda delle circostanze, il remeggio si può cambiare da una parte o dall’altra". Una conferma archeologica è il ritrovamento della cosiddetta barca di Alsen, la più antica imbarcazione nordica, databile al VI secolo a.C. giunta fino a noi in ottime condizioni con le caratteristiche sopra descritte e straordinariamente simili a quelle delle imbarcazioni Achee. Omero nelle sue opere descrive le navi come "amphièlissai" cioè "curve da ambo le parti". Furono queste stesse navi che a seguito del crollo dell’ "optimum climatico" portarono i biondi navigatori con la loro cultura e i loro miti nell’Egeo dove nel XVI secolo a .C. diedero il via non solo alla Civiltà Micenea ma diedero un grosso contributo allo sviluppo di altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Un eccezionale reperto rinvenuto in una palude della Danimarca nel 1902 e datato al XIV secolo a.C., conosciuto come il "carro del sole" è ritenuto uno dei simboli dell’età del Bronzo nel Nord. Esso rappresenta un cavallo con le zampe poggiate su due assi di ruote a quattro raggi. Trainato da questo insolito veicolo, un disco, anch’esso poggiante su ruote a quattro raggi, mostra una facciata coperta di una sottile lamina d’oro decorata con motivi a spirale e a cerchi concentrici, l’altra faccia invece mostra soltanto la superfice bronzea. Sulla simbologia di tale straordinario reperto gli studiosi sono tutti d’accordo: il disco dorato rappresenta il sole che, trainato dal cavallo, percorre la volta celeste mentre con l’altra faccia bronzea è rappresentata la notte.
CarroQuesta antica testimonianza ricca di simbolismi, ora conservata nel Museo Nazionale di Copenaghen, non può non richiamare alla mente il carro trainato da quattro cavalli con il quale Elio, il dio greco del sole portava la luce del giorno agli Dei e agli uomini. Concludendo il mio pensiero và all’Ing. Vinci, a quante volte si sarà sentito dire "pensi a fare il suo mestiere e lasci il nostro a noi !" e allora mi riviene in mente quanto scritto da un mio ex amico archeologo che all’inizio della carriera scriveva, come introduzione a una guida di una mostra archeologica, questa bella frase (che una volta affermato ha subito dimenticato): "Il nostro discorso, le nostre scoperte, per molti saranno ostiche. Lo sappiamo: ogni scoperta, agli inizi, più è grande e più trova oppositori ed increduli. Soprattutto se non nasce tra i libri polverosi delle Università o dalle ‘Botteghe degli stregoni dell’archeologia’ dove non c’è posto per i ‘non addetti ai lavori’. Non dimentichiamo però che spesso sono proprio i "non addetti ai lavori" quelli che, guidati dall’amore per quello in cui credono, danno un grosso e disinteressato contributo al cammino della scienza.


Sommario anno X numero 8 - agosto 2001