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Sommario anno X numero 8 - agosto 2001

CURIOSITÀ STORICHE - pag. 19


Ripa Greca
di Luca Ceccarelli

Una stampa della zona di Ripa Greca a Roma

Se in uno di questi giorni d’estate ormai piena, alla controra, si scende per via del Teatro di Marcello fino alla solitaria e robusta San Nicola in Carcere, e poi, superando gli edifici novecenteschi dell’anagrafe, si arriva all’area del Foro Boario, con i templi detti di Vesta e della Fortuna Virile (in realtà il secondo è, probabilmente, dedicato a Portunus, dio fluviale, il primo, quello rotondo, a Ercole Vincitore), ci si viene a trovare nella zona che, dal VI secolo dopo Cristo, prese il nome di Ripa Greca (ed esiste ancora oggi via della Greca). Di greci a Roma non ne mancavano nemmeno prima (intendendo per greci tutti gli abitanti dell’Oriente bizantino), tuttavia, per i duecento anni intercorsi tra la metà del secolo VI, quando l’impero bizantino vinse la lunga guerra con i goti, e la metà del secolo VIII, si è parlato, per Roma, di un’atmosfera "grecizzante". In realtà, questo è vero per quanto riguarda le istituzioni, ed in parte al culto, non si deve pensare ad una penetrazione in profondità della civiltà bizantina nella comunità romana.
Senza dubbio, diverse tra le nuove famiglie nobili erano di origine greco-bizantina, e d’altra parte più di un papa di questo periodo fu greco. E i greci si videro assegnate numerose chiese nella città di Roma: ricordiamo tra le altre San Saba, Santa Maria in Campo Marzio, Sant’Erasmo. I greci risiedevano sull’Aventino, ma è sul Palatino che erano ubicati gli uffici e la guarnigione della milizia. Ed è qui che fu eretta la chiesa di San Teodoro, alla fine del VI secolo.
Alle pendici del Palatino si incontra la chiesa di Sant’Anastasia, già citata come Titulus Anastasiae nel Concilio di Simmaco del 499. Anastasia era una nobile donna romana, che ebbe come maestro San Crisogono, e subì il martirio nel 304 sotto l’imperatore Diocleziano. Nel VI secolo fu una basilica di corte, e la mattina di Natale era una delle tre stazioni papali.
Un’altra chiesa assegnata ai greci, nel VII secolo, è quella dedicata da Papa Leone II a San Sebastiano e a San Giorgio al Velabro (ora San Giorgio al Velabro). Papa Zaccaria, un papa greco (741-752), fece trasferire dalla Cappadocia la testa del veneratissimo martire San Giorgio, che venne collocata all’interno della chiesa, che divenne per questo frequentatissima e meta di pellegrinaggi. Può essere paradossale, ma la chiesa che è stata costruita con più ritardo è quella che assunse il nome di Santa Maria in Schola Greca, in fondo alla Ripa Greca.
Già nel III secolo pare che fosse in funzione una piccola cappella, qui dov’era l’annona romana. Ma è certo che nel VI secolo il complesso era divenuto una diaconia, con annessa una piccola chiesa. Ricordiamo che dalla fine del IV secolo d. C., con il venir meno dell’annona, del mantenimento della numerosa popolazione di Roma dovettero farsi carico le diaconie, ossia istituzioni ecclesiali guidate da un vescovo, alle cui obbedienze vi erano alcuni diaconi. San Fabiano (papa dal 236 al 250) divise l’Urbe in sette diaconie, ma successivamente aumentarono.
Nell’VIII secolo vi fu un nuovo afflusso di greci, che fuggivano dalla persecuzione iconoclasta di Leone Isaurico. Adriano I nel 782, fece ricostruire la chiesa, che da questo momento prese il nome di il nome di Kosmidion per via delle splendide decorazioni.
In prossimità di Santa Maria in Cosmedin, sorgono il tempio erroneamente attribuito a Vesta (in realtà di Ercole Vincitore) e il tempio detto della Fortuna Virile (in realtà, sembra sia da attribuirsi al dio fluviale Portunus). Il secondo, nell’872 è stato trasformato in chiesa cattolica, e dedicato a Santa Maria Egiziaca, per essere presto ceduto ai pellegrini armeni, che vi avrebbero impiantato la loro chiesa con annesso l’ospizio.
Certamente il ritiro dell’Impero romano d’Oriente dal territorio dell’Urbe (che ha significato la fine di una presenza istituzionale dei greci a Roma) ha avuto un’influenza decisiva nel far assottigliare la presenza greca a Roma e il rito bizantino. A questo si sono aggiunte traversie storiche (guerre, carestie, pestilenze) che funestarono Roma nel X secolo e oltre. Fatto sta che, una dopo l’altra, le chiese di cui parliamo, vennero assorbite nel rito latino. Il cuore pulsante di Roma tende a collocarsi sempre più lontano dalla zona di Ripa, che si fa paludosa e resta abitata solo da barcaioli, pescatori, mugnai e altre persone che avevano a che fare con il fiume per le loro attività, oltre ad alcuni ebrei, prima della creazione del ghetto (metà del ‘500). San Teodoro passò alla nobile Arciconfraternita del Sacro Nome di Gesù, nota anche come i "sacconi bianchi". Nel piccolo convento annesso a San Giorgio al Velabro, dal 1938 sono ospitati i monaci dell’Ordine di Santa Croce. Nel 1993 la chiesa è stata anche oggetto di un attentato dinamitardo, che ne ha danneggiato gravemente il portico, poi egregiamente ricostruito. La chiesa di San Giorgio è famosa soprattutto per i matrimoni che vi si celebrano ogni domenica. Santa Maria in Cosmedin, che nel 1435, per iniziativa di Eugenio IV, era passata per un breve periodo ai benedettini, finché nel 1513 Leone X non aveva ripristinato la collegiata, sotto San Pio V venne trasformata in parrocchia. Da allora la chiesa fu sottoposta ad una serie di modifiche, anche per i cambiamenti della liturgia, mentre la zona intorno era divenuta malsana. Solo un primo intervento del Settecento, che riportò il terreno circostante al livello della Chiesa, e un restauro complessivo, negli anni Novanta dell’Ottocento, hanno riportato il tempio al suo antico splendore. Tuttavia, se oggi si va a Ripa Greca, ci si accorge che, a Santa Maria in Cosmedin, ogni domenica si celebra la messa con il rito bizantino. In seguito alle deliberazioni del Concilio Vaticano II, nella seconda metà degli anni Sessanta la chiesa è stata concessa infatti concessa ai Greco-Melkiti che risiedono a Roma.
San Teodoro al Palatino è stata offerta dal Papa in segno di pacificazione, qualche mese prima del suo recente viaggio in Grecia, all’Arcidiocesi greco-ortodossa d’Italia. E a Santa Anastasia si celebra la messa, oltre che in rito latino, anche in rito copto-alessandrino.La Ripa, con i suoi dintorni, è tornata, o sta tornando Ripa Greca, o, piuttosto, dell’Oriente cristiano, che va incontro all’Occidente, stavolta, non da invasore.


Sommario anno X numero 8 - agosto 2001