Notizie in... Controluce Notizie in... Controluce
 Versione digitale del mensile di cultura e attualità dei Castelli Romani e Prenestini

sei il visitatore n.

 

home | indice giornali | estratti | info | agenda | cont@tti | cerca nel sito | pubblicità

 

 

Sommario anno X numero 8 - agosto 2001

 CINEMA - FILOSOFIA - pag. 17


Angoli cinematografici a Roma e nel Lazio
di Luca Ceccarelli

È noto a tutti che l’ambientazione dei film deve scendere spesso a patti con la realtà. È successo, così, che Il cappotto, film del 1952 di Alberto Lattuada ispirato a Gogol, con una notevole interpretazione di Renato Rascel, sia stato girato a Pavia perché tale città, in Italia "è la più simile a Pietroburgo". Viceversa, si sa delle laboriose ed immense ricostruzioni di monumenti romani che, qualche decennio fa (ma anche più di recente) sono stati realizzati negli studi romani di Cinecittà, per girare colossals holliwoodiani. Ciò che forse si conosce di meno, è che Roma e i suoi dintorni hanno offerto, nel corso dei decenni, una quinta privilegiata alle riprese di pellicole tra le più insospettabili. Il vantaggio di Roma è senza dubbio quello di rappresentare molti stili architettonici di secoli diversi, tuttavia i monumenti più celebri non possono prestarsi a camuffamenti: il Colosseo deve restare Colosseo; Fontana di Trevi anche (a Fontana di Trevi, lo ricordiamo, è legato il titolo di un film minore del 1960, che vede tra i protagonisti un giovane Claudio Villa); lo stabilimento Ciriola, sul Tevere, idem. È difficile, insomma, operare una mistificazione, che viceversa passa facilmente inosservata per quanto riguarda luoghi e monumenti secondari e paesaggi lontani dalla capitale.
Potrà essere di qualche interesse sapere che in via Monaci, nei pressi di piazza Bologna, c’è un palazzo in cui alla fine degli anni Cinquanta fu uccisa una donna, una certa Maria Martirano. Forse perché sull’appartamento gravavano questioni giudiziarie, fiscali, di successione, non è stato né venduto né affittato: è rimasto com’era al momento del delitto, con la tavola apparecchiata di un pasto iniziato e il lavandino sporco di sangue. L’ideale, insomma, per girare film dell’orrore, polizieschi violenti, thrillers.
Ma andiamo ad altri esempi, uscendo dalla cinta urbana di Roma.
La stazione dell’Acqua Acetosa, presso gli omonimi impianti sportivi, lungo la ferrovia secondaria che da piazzale Flaminio porta a Viterbo, è stata utilizzata spesso per ambientazioni cinematografiche non laziali. Addirittura, con l’aggiunta di qualche fico d’india falso e il suono di uno scacciapensieri, è stata utilizzata per ambientazioni cinematografiche siciliane: la scena tipo è con il magistrato che viene a prendere possesso della cittadina che scende dal treno, mentre alla stazione ci sono un ferroviere con la faccia da cui traligna l’omertà, e un cacciatore con il fucile che aspetta di partire.
Sempre a nord di Roma, sulla via Flaminia, c’è Grottarossa. Il nome della località deriva da una vecchia cava di pozzolana abbandonata, con una pozza stagnante e maleodorante. Un ambiente completamente selvaggio e inospitale, assai adatto, con opportuni fuochi e nebbie artificiali provocate dai fumogeni, per ambientazioni infere (per esempio la palude Stige), oppure per film che vedono come protagonisti Maciste o Ercole.
Le grotte di Salone, invece, sul raccordo anulare, nei pressi della via Tiburtina, vicino a Settecamini, sono la quinta ideale per il genere medievale-fantastico, con vichinghi, spelonche, antri, nani e uomini immensi e barbuti che mangiano con voracità impressionante, in un paesaggio senza un fiore o una fronda verde.
Nella zona tra Mazzano Romano, Montegelato e Calcata, zona ricca di praterie, rocce e fiumicelli, negli anni Sessanta sono nati gli spaghetti-western. Vi sono stati girati numerosi western all’italiana, la valle del Treja, all’occorrenza si è così trasformata in Texas, Arizona, Colorado...
Il castello Piccolomini di Balsorano, nei pressi di Sora, al confine tra la Ciociaria e l’Abruzzo, arroccato sulla montagna appenninica, è stato spesso utilizzato per ambientare film di orrore con mostri e vampiri ambientati in Transilvania. Un particolare ulteriormente macabro è nel fatto che per alcuni anni, il custode che faceva gli onori di casa era sordomuto.
Il lago di Fogliano, un laghetto non molto profondo nei pressi di Latina, utilizzato spesso per ambientazioni orientali (Gange, Pirati della Malesia, Nilo, con relative palme, e Cleopatra di turno), deve tra l’altro la sua gloria all’ambientazione di Rocco e i suoi fratelli di Visconti, uscito nel 1960, per il quale l’amministrazione provinciale milanese aveva negato l’autorizzazione per remore moralistiche. Le dune di sabbia vennero spostate, le palme vennero tagliate, e si piantò un cartello con scritto: "Idroscalo di Milano", per dare un margine di verosimiglianza allo scenario. Si girava solo all’imbrunire, utilizzando quella che nel linguaggio cinematografico è chiamata "luce a cavallo": la luce del giorno che scompare a cavallo con quella della notte che scende. Si trattava delle scene finali del film, per le quali il regista richiese un particolare impegno, e molte riprese con "luci a cavallo". Alla fine, il tanto abusato laghetto di Fogliano aveva reso un ottimo servizio al maestro del realismo Visconti.


Il Vangelo dei Cani
Aforismi dei Primi Cinici, Stampa Alternativa
di M.G.

In questo tascabile, piccolo compendio di filosofia cinica, vi sono racchiuse delle straordinarie massime di saggezza; acre ironia, prassi polemica, contestazione irriducibile, furono difatti alcuni degli ingredienti della "più inaudita inversione dei valori" operata dai cinici nella cultura classica. Diogene fu difatti il cane più caratteristico di una philo-sophia di povertà ed austerità, fondata improntata all’autonomia ed all’autarchia dell’uomo rispetto al divino. Questa falsificazione dei valori costituiti divenne nei cinici soprattutto un ritorno alla natura, un abbandonare appunto tutte quelle convenzioni umane, così da "sostituire il falso oro con l’oro vero della genuinità naturale", come ci dice Parinetto nella sua premessa. Una povertà (ritenuta "naturale virtù") liberatrice era stata infatti assunta in positivo come "l’unico rimedio"; come disse il Laerzio (Vite dei Filosofi, VI, 103-105), i cinici "asseriscono che occorre vivere in semplicità, con cibi indispensabili alla sussistenza e indossando solamente un mantello, sprezzando ricchezza (ritennero difatti "miserrimi coloro che ereditavano beni sterminati"), gloria, nobiltà". Quanto al nutrimento, "assumono per cibo solo verdure e bevono solamente acqua fresca, talora s’accontentano di modeste abitazioni, perfino d’una botte come Diogene" (immagine che giunse anche nella stessa alchimia rinascimentale). "Gli altri cani", diceva Diogene, "mordono nemici, io invece mordo amici, per salvarli" (Stobeo, Antologia, 13, 44). A chi poi, ridendo di lui, gli chiese perché camminasse all’indietro, così rispose: "non vi vergognate di rimproverarmi di camminare all’indietro, voi che andate a rovescio nel cammino della vita?" Un vero vangelo, però di "cani", infatti "durante un banchetto gli gettarono degli ossi, come a un cane. Diogene, andandosene, pisciò loro addosso, come un cane" (D.Laerzio, VI, 46). Diogene, tuttavia, elogiò qualcuno, colui che, infatti, "disposto al matrimonio, non si sposa; pronto a salpare, non naviga ; adatto alla politica, non fa politica; incline alla famiglia, non fa famiglia; potendo essere vicino ai potenti, se ne sta lontano".


Sommario anno X numero 8 - agosto 2001