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Sommario anno X numero 6 - giugno 2001

GASTRONOMIA - pag.21


La cottura del pesce


Prosegue la pubblicazione della rubrica di gastronomia curata dal professor Giancarlo Tomassi dell’I.P.S.S.A.R. "P. Artusi" di Roma.

Col nome di pesci, volgarmente ci si riferisce a tutti gli esseri viventi nelle acque salate e dolci, ma scientificamente distinguiamo i prodotti ittici in quattro principali classi:
PESCI Vertebrati che respirano per mezzo di branchie e sono provvisti esternamente di squame e di pinne (spigola, cernia, dentice, sarago, merluzzo, palombo, anguilla ecc.)
MOLLUSCHI Invertebrati il cui corpo è a tegumento molle generalmente protetto da guscio o conchiglia (ostriche, datteri di mare, vongole, telline, cozze, seppie, calamari, ecc.)
CROSTACEI Antropodi acquatici (aragoste, gamberi, ecc.)
ECHINODERMI Sono provvisti di un dermoschermo (ricci di mare).
La digeribilità della carne di pesce dipende essenzialmente dal contenuto in lipidi, essendo i pesci poveri di tessuto connettivo, per cui è favorita al massimo l’utilizzazione delle sostanze in esso contenute da parte del nostro organismo.
I pesci magrissimi e magri sono più digeribili di quelli semi-grassi e ancora più di quelli grassi.
Si definiscono magrissimi, i prodotti ittici che hanno un contenuto in lipidi inferiore all’1%, magri quelli che lo hanno inferiore al 3%, semigrassi inferiore al 10% e gli altri grassi.
Le tecniche di cottura della carne di pesce e le modificazioni chimico-fisiche in essa apportate da questi procedimenti sono simili a quelle esposte per le carni di animali domestici, soltanto che le carni dei pesci, essendo povere di tessuto connettivo e ricche di collagene, sono maggiormente soggette a sfaldarsi se nella cottura non vengono scrupolosamente osservati il grado delle temperature di cottura e il tempo occorrente, che variano in relazione alla confezione e alla mole del pesce usato.
Un’altra particolarità del pesce è data dalla ricchezza in collagene, il quale gelatinizza facilmente con la cottura e tanto più gelatinizza quanto più essa è prolungata, e quanto più gelatinizza tanto più dà via libera allo sfaldamento muscolare.
21gastronomia.jpg (22950 byte)La cottura a calore secco è, quindi, da preferire perché, oltre a rendere la confezione più appetibile, riduce al minimo la perdita in principi nutritivi.
Volendo servirsi del calore umido è consigliabile la cottura a vapore, che consente l’utilizzazione dell’alimento in maniera più completa.
Nella cottura in acqua, ossia nella lessatura, per evitare lo sfaldamento del tessuto muscolare con tutte le conseguenze che gli sono proprie, è bene salare ed acidulare, nella proporzione di circa due cucchiai di limone o di aceto per litro di acqua, il mezzo di cottura, per ottenere un abbassamento del suo ph (ph= è un simbolo usato in chimica per indicare l’acidità o l’alcalinità di una soluzione. Tutte le soluzioni che hanno un ph uguale a 7 si dicono neutre; per valori inferiori a 7 le soluzioni si dicono acide, mentre per valori superiori a 7 si dicono alcaline) che provoca una più rapida coagulazione delle proteine dei tessuti muscolari ed epidermici superficiali e, quindi, il rassodamento dei muscoli, che, così, non sono più liberi di disgregarsi.
Per evitare il disfacimento delle carni, bisogna immergere il pesce in acqua bollente e condurre la cottura a fuoco molto lento, circa 85° C.
È buona regola usare la pescera o, in mancanza, immergere il pesce nell’acqua appoggiato su un tessuto bianco, per poterlo tagliare a cottura ultimata senza romperlo.
Per quanto riguarda la scelta del metodo di cottura, in genere, è preferibile il calore secco per i pesci grassi e quello umido per i pesci magri.
La cucinatura in umido produce maggiore dispersione di sostanze nutritive; seguono, in ordine decrescente, quella a vapore, alla griglia e al forno, e la frittura.
Con la frittura, le proteine diminuiscono dello 0,1% ed i sali minerali del 3-4%; le vitamine del gruppo B, che con gli altri metodi di cottura diminuiscono di circa il 50%, sono ridotte al solo 20%.
Prima di friggere il pesce è necessario passarlo nell’uovo battuto e nella farina o soltanto in questa - in maniera che si formi su tutta la superficie una patina protettiva.
L’utilità di questa operazione preliminare è data dal fatto che durante la cottura si forma più facilmente una crosta che impedisce la fuoriuscita delle sostanze nutritive contenute nell’interno della massa.
Per i pesci grassi, cioè che hanno un tenore lipidico superiore al 10%, come l’anguilla di fiume e di mare, lo sgombro, il tonno non giovane, il salmone e l’aringa è consigliabile la cottura a calore secco (arrosto o alla griglia) in modo da formare una crosta protettiva esterna e venga allontanato un po’ di grasso, resteranno così teneri e succosi.
Per i pesci semigrassi o magri, cioè pesci che hanno meno dell’8% o 3%, come l’orata, la sogliola, il merluzzo, la cottura deve salvaguardare sia le proteine che le vitamine e i lipidi, quindi il tempo di cottura sarà breve, tale che consenta di ottenere una rapida coagulazione delle sostanze proteiche e la non dispersione dei grassi.
Un’ottima regola per calcolare il giusto tempo di cottura dei pesci consiste nel misurare lo spessore massimo di un pesce e cuocere 10 minuti ogni due centimetri e mezzo. La norma vale per qualunque sistema di cottura e qualunque tipo di pesce. Il tempo di cottura così calcolato va però raddoppiato nel caso si mettessero a cuocere pesci ancora allo stato congelato.
La cottura a vapore permette di limitare al massimo la perdita di sostanze solubili in acqua (proteine solubili, vitamine, sali minerali); infatti nella cottura in acqua bollente le perdite di Vit. B6 possono superare il 50%, quelle di B i e PP raggiungono il 40 e il 30% rispettivamente; le altre arrivano a perdere il 25% circa.
Nella lessatura si sono riscontrate perdite del 6-7% per le proteine.
Durante la cottura al calore secco (in forno, alla griglia) le perdite di sostanze proteiche non sono apprezzabili, mentre si sono riscontrate perdite significative soprattutto a carico della vitamina B6 e anche delle vitamine B1, B2, B12 e PP.
Un ottimo metodo per la cottura dei pesci al calore secco è quello detto al cartoccio. Consiste nel cuocere il pesce in forno dopo averlo avvolto in un foglio d’alluminio. È un sistema (adatto anche ad altri alimenti) che fornisce ottimi risultati perché conserva il sapore, l’aroma e la morbidezza del pesce.
La cottura in forno è adatta per pesci interi, mentre quella alla griglia è indicata per filetti, trance o pesci interi di piccola taglia.
La carne del pesce è generalmente povera di tessuto connettivo, perciò la cottura prolungata del pesce, specie in acqua, provoca lo sfaldamento e la disgregazione delle fibre muscolari.
Un periodo piuttosto breve di cottura è pertanto opportuno anche per evitare un’eccessiva coagulazione delle proteine, il che renderebbe tigliosa e di difficile digestione la carne del pesce.
La coagulazione deve avvenire piuttosto rapidamente, in modo da impedire la fuoriuscita dei liquidi cellulari che, oltre a contenere principi nutritivi, conferiscono succulenza alla carne. Nello stesso breve periodo il pesce deve cuocersi al punto giusto anche nelle parti più interne. Quindi, oltre a scegliere il tipo di cottura e a controllarne tempi e temperatura, è necessario preparare il pesce in modo tale da facilitare al massimo la penetrazione del calore.
Il filetto intero (per i pesci di taglia piccola) o il filetto a pezzi (per i pesci di taglia grossa) sono il tipico esempio di preparazione ottimale per la cottura del pesce.
Le operazioni preliminari alla cottura hanno proprio questo scopo, a parte naturalmente l’eliminazione di parti non commestibili o che potrebbero costituire fonte di sapori sgradevoli o di contaminazioni microbiche (pinne, squame, lische, testa, visceri). L’operazione più importante è quella della eviscerazione, cioè l’asportazione degli organi viscerali e della pulizia della cavità viscerale.
La scelta del metodo di cottura è influenzata dal contenuto in grasso del pesce; infatti, la pcaratteristica abbondanza di acidi grassi polinsaturi della serie n-3, il basso contenuto di colesterolo e quello relativamente alto di fosfolipidi, fanno del pesce un alimento particolarmente adatto nella prevenzione delle malattie cardiovascolari correlate all’arteriosclerosi. È nota infatti la bassa incidenza di queste sindromi presso le popolazioni ove il consumo di pesce è elevato (Eschimesi, Giapponesi).
Inoltre i lipidi del pesce contengono, più di ogni altro grasso alimentare, acidi grassi n-3, che prevalgono nettamente su quelli n-6. Questi hanno un’azione antitrombotica e vasodilatatrice.
È di massima importanza quindi nella cottura non disperdere il grasso del pesce.
Giancarlo Tomassi

La ricetta
Pesce spada al latte

Ingredienti per 4 persone:
4 fette di pesce spada da 250 gr. l’una,
1 limone grosso,
4 cucchiai di olio extra vergine d’oliva,
40 gr. di prezzemolo tritato,
½ l. di latte,
sale, pepe,

Procedimento:

Lavare le trance di pesce spada, disporle in un largo tegame provvisto di una griglietta estraibile (indispensabile perché non si rompa il pescespada al momento di scolarlo), unire il latte e tanta acqua fredda da ricoprirle interamente,, poco sale e due fette di limone. Far cuocere a bollore leggerissimo per circa 20 minuti. A cottura ultimata scolare le trance con la griglietta, lasciarle ben sgocciolare e farle scivolare delicatamente sul piatto di portata. Nel frattempo si sarà preparata una salsetta composta dal succo di limone, olio, sale, prezzemolo tritato e pepe ben emulsionata. Servire le trance del pesce ben calde, accompagnate dalla salsetta.


Sommario anno X numero 6 - giugno 2001