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Sommario anno X numero 6 - giugno 2001

 VISTO DA... - pag. 02


A margine delle elezioni romane
di Luca Ceccarelli

All’inizio, abbiamo l’"alleanza di trono e altare". Salvatore Rebecchini, eletto sindaco nel 1947 con i voti determinanti della destra, dopo la vittoria elettorale della Democrazia cristiana alle elezioni del 18 aprile del ’48 dedicherà la città al Sacro Cuore di Gesù, davanti a una folla di trecentomila persone. Rebecchini non se ne andrà fino al 1956, restando a tutt’oggi, il sindaco più longevo del dopoguerra. In quegli anni si ricostruisce, molto, con una speculazione edilizia che alcuni giudicarono oltre i limiti del malaffare. Tanto che l’Espresso di allora se ne uscì con la copertina (del ’57, tuttavia, quando il sindaco era Urbano Cioccetti) "Capitale corrotta, nazione infetta".
Siamo nel 1966, e sindaco di Roma, anzi, "primo magistrato dell’Urbe", per usare la terminologia eletta del Pontefice dell’epoca, Paolo VI, quando andò sul colle capitolino per rendere visita solenne alla città in occasione del Concilio Vaticano II, è Amerigo Petrucci. Democristiano. Colto, scapolo, Petrucci vive con la mamma ed è una curiosa figura di erudito, che nel tempo libero ama lucidare monete antiche e, forse per la fisiognomica, era soprannominato er Gattone. E che, tuttavia, non fu immune da traversie giudiziarie: nel 1968, ormai dimessosi da sindaco ed eletto in parlamento, fu arrestato per malversazioni nel campo dell’assistenza pubblica. Veniva accusato di utilizzare l’Opera nazionale maternità e infanzia per distribuire i sussidi a fini clientelari (in realtà fu poi assolto).
02cleliodarida.gif (10917 byte)Altro sindaco longevo sarà Clelio Darida (per i romani Crerio) detto la Volpe argentata.
Resterà per sette anni, senza lasciare una particolare impronta. Vale piuttosto la pena ricordare che, quando, nel 1973 il Papa Paolo VI annuncerà l’Anno Santo del 1975, il sindaco si impegnerà a far smantellare i manifesti con le immagini più scabrose. Non sapremmo dire, onestamente, se la promessa fu mantenuta. Resta il fatto che l’Anno Santo (contestato, allora, con veemenza, da molti settori del cattolicesimo progressista) venne celebrato nella quasi totale indifferenza.
02giuliocarloargan.jpg (7403 byte)Dal 1976 ai democristiani si sostituiscono le cosiddette "giunte rosse".
Ma, come spesso accade, il primo sindaco non sarà un rosso ma uno storico dell’arte, anzi, Giulio Carlo Argan, il principe degli storici dell’arte italiani, che qualcuno pensò bene di ricordare nei suoi ritratti fotografici di gioventù in fez e camicia nera. Durò solo tre anni, e poi si ritirò per motivi di salute ma resta l’esempio di un grande studioso prestato alla politica pur non sentendola come la propria effettiva vocazione.
A succedergli fu Luigi Petroselli che, per via della sua origine viterbese fu soprannominato Porsenna, con riferimento al re etrusco che tentò di espugnare Roma. Gran lavoratore, poeta, personaggio di grande carisma, sinceramente impegnato per il risanamento delle borgate, e per la risoluzione del problema della casa (a Roma in quegli anni vi erano ancora molti baraccati). L’estrema dedizione procura al sindaco una vastissima popolarità, ma il superlavoro gli costa la vita. Lo sostituisce il suo assessore al bilancio, Ugo Vetere (il cui nome verrà subito anagrammato in Tevere), un calabrese che, pur non avendo il carisma del suo predecessore, ne porta avanti onestamente l’operato: ma il piano di edilizia popolare ha una cubatura troppo alta, siamo ormai negli anni Ottanta, e da sinistra bisogna fare i conti con gli ambientalisti, e il vento è cambiato, e così nel 1985 i "rossi" devono fare le valige.
Torna un sindaco dc, l’andreottiano Nicola Signorello, ma stavolta la classe dirigente che si profila alle sue spalle è molto diversa da quella degli anni Sessanta: a parte Signorello, soprannominato Pennacchione (sembra, per il calore che metteva nell’affrontare le pubbliche cerimonie), i nuovi appartenenti alla cosiddetta gens julia fumano il sigaro havana, girano con macchine di lusso e frequentano i membri di Comunione e Liberazione. Ricordate Vittorio Sbardella, detto lo Squalo, o Pompeo Magno? Ignoriamo l’origine di questo secondo soprannome, sta di fatto che aveva l’ufficio nella via dedicata al grande Romano, e periodicamente vi teneva lezioni di politica ad incolpevoli giovani.
Alla fine Pennacchione-Signorello dovette cedere, e venne eletto sindaco proprio uno dei loro, Pietro Giubilo, detto il monaco, per via, forse, della sagoma triste, del volto sempre serio, e della precoce canizie.
02francocarraro.jpg (7745 byte)Sono gli anni, cosiddetti, di "ajo, ojo e Campidojo", che proseguiranno con il sindaco Carraro, ancorché milanese, e ostentante un’efficienza imprenditoriale in tempi non sospetti. Nel frattempo l’assessore alla casa Gerace, dall’eloquente soprannome Luparetta si lasciava andare a spropositi lessicali come "il pedigrille", "io stigmatizzo con voi", "ho avuto un vu parlé con lui".
Il quadro cominciò a mostrare qualche crepa, forse, in quel 2 ottobre del 1991 in cui, durante un seduta di giunta, il suddetto Gerace e il socialdemocratico Costi arrivarono quasi ad accapigliarsi per decidere se dare o no una licenza nel quartiere di Primavalle al titolare di un chiosco che aveva denunciato i suoi taglieggiatori. 02francescorutelli.jpg (5621 byte)
Ma è solo la prima goccia del nubifragio di tangentopoli, che vedrà mezza giunta sotto inchiesta ed aprirà la strada ai sette anni di Rutelli.
Sbardella è morto, un cancro se l’è portato via nel 1994. Ed oggi, anche se è storia recente, quel colorito notabilato, a ricordarlo pare tanto, tanto lontano.

 

 


Sommario anno X numero 6 - giugno 2001